1. La   PAS – L’elaborazione di Richard Gardner. 2. Le critiche  della comunità scientifica e le conseguenti difficoltà di un univoco riconoscimento legislativo. 3. La valutazione della PAS nelle recenti sentenze della Cassazione n. 5847 e 7041 del 2013  – Due diverse vicende processuali – Univoci principi. 4. Il decreto della corte d’appello di Brescia n. 103 del 17 maggio 2013, emesso a seguito del rinvio della Corte di Cassazione (sentenza n. 7041 del 2013) 5. Il ruolo dell’avvocato – L’auspicio di una riforma deontologica in materia di diritto di famiglia - La necessaria sinergia tra le diverse professionalità coinvolte nelle vicende giuridiche di destrutturazione della famiglia.  
              
  
  1. LA PAS – L’elaborazione di Richard Gardner (1)  
La PAS - dall’acronimo di Parental  Alienation Syndrome: termine coniato nel 1985 dal suo ideatore, Richard Gardner(New York, 28 aprile 1931 – Tenafly, 25 maggio 2003) -  è una dinamica psicologica disfunzionale assai controversa che coinvolgerebbe i figli minori quasi esclusivamente in presenza di traumatiche situazioni di conflittualità tra i genitori, tipiche delle vicende patologiche dell’unione matrimoniale (separazione e divorzio), ove si generano dolorosi processi di destrutturazione familiare.
Secondo Gardner, la PAS discenderebbe da una sorta  di «programmazione» dei figli imposta da un genitore patologico (genitore cosiddetto «alienante») che porterebbe i  figli a perdere il contatto con la realtà degli affetti e a mostrare una  costante ed ingiustificata avversione  verso l’altro genitore (genitore cosiddetto «alienato»).
Le tecniche di «programmazione» del genitore «alienante» comprenderebbero l’uso frequente di espressioni tese a delegittimare la figura dell’altro genitore; false accuse d'incuria e anche (nei casi peggiori) di violenza nei confronti del figlio: la costruzione di una sorta di «realtà virtuale familiare», finalizzata  a produrre nel bambino ingiustificati sentimenti di diffidenza, idiosincrasia e persino paura  verso il genitore «alienato».  Il genitore «alienante»  utilizza il figlio come proprio confidente allo scopo di separarlo dall’altro genitore e di  «cementarlo»  a sé. Il figlio, conseguentemente, sarebbe indotto ad allearsi con il genitore che si mostra «sofferente» e vittima dei comportamenti del coniuge, finendo così  per essere contagiato da tale sofferenza, al punto da esprimere, in un modo solo apparentemente autonomo, paura o disprezzo nei confronti del  genitore «alienato».
Il bambino, quindi finisce per fornire il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. È proprio questa combinazione di fattori che determinano la PAS: l'indottrinamento da parte di un genitore in pregiudizio dell'altro e l'allineamento del bambino con il genitore ''alienante'.
La teoria di Gardner suggerisce di basare la diagnosi di PAS sull’osservazione di otto presunti sintomi primari nel bambino:

  1. la campagna di denigrazione, nella quale il bambino scimmiotta i messaggi di disprezzo del genitore «alienante» verso quello «alienato».
  2. la razionalizzazione debole dell’astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o, anche, solamente superficiali.
  3. la mancanza di ambivalenza: il genitore rifiutato è descritto dal bambino come «completamente negativo» laddove l’altro è visto come «completamente positivo».
  4. il fenomeno del pensatore indipendente attraverso il quale il bambino sostiene di essere una persona che sa ragionare senza influenze e di aver elaborato da solo i termini della campagna di denigrazione senza input del genitore «alienante».
  5. l’appoggio automatico al genitore «alienante» : una presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore «alienante», qualsiasi genere di conflitto venga a crearsi.
  6. l’assenza di senso di colpa, per il quale tutte le espressioni di disprezzo nei confronti del genitore «alienato» trovano costante  giustificazione nel fatto di essere meritate.
  7. gli scenari presi a prestito: l’utilizzo di un campionario di espressioni ed affermazioni per descrivere le colpe del genitore escluso, che non possono ragionevolmente provenire direttamente dal bambino e che normalmente non appartengono al  patrimonio linguistico-cognitivo di un bambino.
  8. infine, l’estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato, che coinvolge, nell’alienazione, la famiglia, gli amici e le nuove relazioni affettive (una compagna o un compagno) del genitore rifiutato.


 2.      Le critiche  della comunità scientifica e le conseguenti difficoltà di un univoco riconoscimento legislativo. (1)    
Allo stato, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), che rappresenta uno dei sistemi di classificazione descrittiva dei disturbi mentali più utilizzato  sia nella clinica che nella ricerca, non annovera la PAS come sindrome o malattia: di conseguenza la maggioranza della comunità scientifica e legale internazionale non la riconosce come disturbo sociopatologico.
Gardner ha insistito sulla necessità di affrontare la PAS attraverso una serie di interventi psicoterapeutici e provvedimenti giudiziari integrati e strutturati  a seconda della gravità della sindrome. Il suo approccio prevede delle sanzioni specifiche contro il genitore alienante che, nei casi più gravi, possono comportare il trasferimento dell’affidamento e della residenza del figlio nella casa dell’altro genitore. Nel caso in cui i tribunali non provvedano  ad adottare tali provvedimenti, Gardner ritiene che non vi sia  possibilità di trattare efficacemente la PAS.
 
Il Brasile è stato il primo stato ad emanare una legge che istituisce la fattispecie giuridica di “alienazione genitoriale”, definendola «una forma di abuso morale» e prevedendo sanzioni per chi la metta in atto (Lei n. 12.318, de 26 de agosto de 2010).
 
L’Italia non ha ancora riconosciuto legislativamente  la cosiddetta “alienazione genitoriale”. Tuttavia, la legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), superando lo schema precedente che prevedeva di massima l’affidamento esclusivo ha contribuito, senza dubbio, ad ostacolare comportamenti tesi ad estromettere radicalmente uno dei genitori dalla vita del minore.
Successivamente, sono stati presentati due disegni di legge nei quali si fa espresso riferimento alla PAS: il DDL n. 957 del 2008 e il DDL n. 2454 del 2010.
Con la  relazione al DDL N. 957,  nell’illustrare il disegno di legge si affermava : ''il nuovo intervento normativo, inoltre, ha dovuto ancora tenere conto della necessità di porre fine a quei frequenti tentativi di manipolazione da parte di un genitore- di regola quello che ha maggiori spazi di convivenza - miranti ad eliminare completamente l'altro dalla vita dei figli, inducendo in essi il rifiuto di ogni contatto, un malessere indotto che va sotto il nome di Sindrome di alienazione genitoriale . Il testo del DDL prevedeva rilevanti modifiche all’art. 709 ter c.p.c., nonché l’introduzione di un terzo comma del seguente tenore: “ il comprovato condizionamento della volontà del minore, in particolare se mirato al rifiuto dell’altro genitore attivando la sindrome di alienazione genitoriale, costituisce inadempienza grave, che può comportare l’esclusione dell’affidamento”.
Con la relazione al DDL n. 2454 del 2010, nel ribadire in larga parte il contenuto del DDL del 2008 si precisava altresì: “A prescindere dall'ufficializzazione o meno della PAS – e dai riconoscimenti del mondo accademico – sono ormai ampiamente riconosciuti nel mondo giuridico i problemi legati alla manipolazione dei figli, quale che ne sia il titolo e la definizione tecnica, e i gravissimi danni che provocano nei figli, soprattutto quando arrivano ad indurre il rifiuto degli incontri con il genitore alienato...''.
Invero, si tratta di iniziative che non hanno avuto esito positivo  ed  hanno incontrato l’opposizione e la censura di molti organismi ed associazioni che si occupano della tutela dei minori. Difatti, le teorie e i risultati delle ricerche di Gardner sull’argomento della sindrome da alienazione genitoriale sono oggetto di critica sia dal punto di vista legale sia sul piano strettamente clinico, in ragione dell’asserita mancanza di validità e affidabilità scientifica. Alcune affermazioni controverse di Gardner sono state finanche utilizzate per accusarlo di presunto appoggio alla pedofilia.
 
Negli USA, in un articolo dell’autunno 2001 a firma di Carol Bruch, docente di diritto presso la facoltà di Legge dell’Università della California a Davis, la PAS, «come è stata sviluppata e descritta da Richard Gardner» viene definita «senza logica né base scientifica».
Un altro giudizio  oltremodo negativo, sulla Pas è stato formulato in uno studio a cura di Erika Rivera Ragland e Hope Fields (entrambi procuratori, rappresentanti dello Stato nei processi) intitolato “Parental Alienation Syndrome: What Professionals Need to Know” pubblicato nella rivista(National Center for Prosecution of Child Abuse” (NCPCA) della NDAA. Il lavoro dei procuratori Ragland e Fields è diviso in due parti.
Nelle conclusioni della prima parte si legge: “In breve, la PAS è una teoria non verificata che può avere conseguenze a lungo termine per il bambino che cerca protezione e rivendicazione legale nei tribunali”.
Nelle conclusioni della seconda parte, gli autori scrivono: “La PAS è una teoria non dimostrata in grado di minacciare l'integrità del sistema di giustizia penale e la sicurezza dei bambini vittime di abusi...”
In questo studio, è stato persino  affermato che la PAS ha come scopo quello di essere “uno strumento in mano ad un genitore per screditare le accuse di abuso sessuale da parte del figlio e del genitore alienante”.
 
In Spagna,  una ricerca compiuta nel 2008, dai clinici Antonio Escudero, Lola Aguilar Redo e Julia de la Cruz Leiva, ha concluso per la  mancanza di rigore scientifico del concetto di PAS, intesa «[...] solo come un costrutto di natura argomentativa elaborato attraverso fallacie quali pensiero circolare, ragionamento per analogia, ricorso al principio di autorità, intendendo come tale il creatore del concetto stesso di PAS».
Nel 2009 fu pubblicato uno scritto della psicologa Consuelo Barea  e della sua collega argentina Sonia Vaccaro. Nel libro, El pretendido Síndrome de Alienación Parental ? un instrumento que perpetúa el maltrato y la violencia (pubblicato in Italia nel 2011 con il titolo PAS. Presunta Sindrome di Alienazione Genitoriale), si sostiene che la PAS è un «costrutto pseudo-scientifico»  che, utilizzato in ambito giudiziario, genera «situazioni di alto rischio per i minori e provoca un’involuzione nei diritti umani di bambine e bambini e delle madri che vogliono proteggerli».
Nel 2010, infine, la Asociación Española de Neuropsiquiatría si è espressa con un pronunciamento ufficiale  contro l’uso clinico e legale dell’espressione "Sindrome di Alienazione Genitoriale". In tale pronunciamento la PAS è definita «un castello in aria» e si raccomanda agli iscritti di non utilizzarla in quanto mancante «di fondamento scientifico e presenta gravi rischi nella sua applicazione in tribunale».
 
Tuttavia, va rilevato che Gardner aveva fornito svariati elementi al fine di poter distinguere i casi di PAS da casi di abuso o incuria realmente commessi, nei quali la diagnosi di PAS non sarebbe applicabile:
I sintomi dei figli in caso di abuso realmente subito dal genitore rifiutato, rientrano solitamente nell’area del disturbo post – traumatico da Stress(DSM, IV, 1994) e difficilmente mostrano qualcuno degli otto sintomi tipici della PAS.
I genitori alienati sono poco collaborativi nel sottoporsi a valutazioni, poco attendibili nei loro resoconti , premurosi nel proteggere i figli dai pericoli del genitore bersaglio e denunciano i presunti abusi solo dopo la separazione.
I genitori di figli realmente abusati dal genitore respinto, invece, tendenzialmente, lasciano che i figli ricordino spontaneamente gli abusi subìti, riconoscono il rischio dell’indebolimento del rapporto tra genitore abusante e figli e le denunce di abuso risalgono a periodi precedenti alla separazione.
I genitori bersaglio della PAS abitualmente sono attendibili nei loro resoconti, si sono sempre preoccupati del benessere familiare e le denunce di abuso riguardano solo figli  e non gli altri familiari.
I genitori rifiutati e realmente abusanti, al contrario, di solito sono poco attendibili nei loro resoconti, si sono  preoccupati poco del benessere familiare e la denuncia di abuso si estende anche ad altri membri della famiglia.
 
   
3.      La valutazione della PAS nelle recenti sentenze della Cassazione n. 5847 e 7041 del 2013  – Due diverse vicende processuali – Univoci principi. (2)      
Fatto questo imprescindibile excursus sull’elaborazione della PAS e sui principali rilievi critici sollevati in sede scientifica e giuridica, occupiamoci delle due sentenze innanzi richiamate, partendo, in primis, della più complessa vicenda processuale sottoposta al vaglio di legittimità della Suprema Corte di Cassazione, decisa con la sentenza n. 7041  del 2013.
Svolgimento del processo
“I coniugi G. e D., dalla cui unione era nato il figlio L, a seguito di una crisi insorta dopo pochi anni di convivenza, si separavano consensualmente del febbraio del 2005. Nell’ambito degli accordi omologati dal Tribunale di Padova era stabilito l’affidamento in via esclusiva del minore alla madre, con una regolamentazione dei rapporti del piccolo L. con il padre che prevedeva una loro progressiva intensificazione in relazione alla crescita del bambino. I rapporti tra il minore e il genitore non affidata­rio si rivelavano presto soggetti ad ingravescente involuzione, tanto, che il D., attribuendone la causa alla condotta della moglie, adiva il Tribu­nale per i minorenni di Venezia che, nel contraddit­torio fra le parti (la G., nel costituirsi, a aveva riconosciuto che il figlio si rifiutava catego­ricamente di incontrare il padre, escludendo, tutta­via, una propria responsabilità a tale riguardo), all'esito dell'espletamento della disposta consulenza tecnica d'ufficio, con decreto del 2 ottobre 2009 pronunciava la decadenza dalla potestà genitoriale della madre sul minore, che veniva affidato al servi­zio sociale del Comune di ( ), pur rimanendo collocato, presso la stessa G., ivi residente. In data 6 luglio 2010 il D. presentava ricorso al Tribunale per i minorenni di Venezia, chiedendo l’allontanamento del figlio dalla famiglia materna, con collocamento presso di sé, ovvero presso propri congiunti o i servizi sociali, diversi da quelli già individuati, rivelatisi inadeguati, e co­munque l’adozione di provvedimenti idonei a favorire il ripristino dei rapporti del figlio con esso padre con i parenti paterni. La G., costituitasi, pur avanzando istanza dì provvedimenti intesi a favorire  il rapporto del mino­re con il padre, chiedeva il rigetto delle richieste del coniuge, nonché, di essere reintegrata nella pote­stà genitoriale. Con decreto del 10 dicembre 2010 il Tribunale adito rigettava tanto la domanda di modifica del col­locamento dei minore, tanto quella - avanzata dalla G. - di revoca della dichiarazione, della deca­denza dalla potestà, disponeva che L. fosse affidato al Servizio sociale del Comune di ( ), cui demandava, anche in collaborazione con altre istituzioni, di vigilare e sostenere il percorso di riavvicinamento del minore al padre, da attuarsi mediante il già disposto sostegno specialistico sia per il fi­glio che per ciascun genitore.”
Avverso tale provvedimento il D. e la G. proponevano reclamo ai sensi dell’art. 739 c.p.c.
“Il primo deduceva che, poiché la permanenza del fi­glio presso la famiglia materna comportava un ina­sprimento della situazione patologica, già diagnosti­cata in precedenza dal consulente tecnico d’ufficio, e definita come “sindrome da alienazione parentale” il bambino doveva essere collocato in un ambiente di­verso e maggiormente idoneo a favorire il riavvicinamento alla figura paterna.
La G., in via incidentale, insisteva per la reintegra nella potestà genitoriale, chiedendo il ri­getto delle richieste del marito, specificando che il riavvicinamento fra il bambino e il padre dovesse re­alizzarsi attraverso il supporto psicoterapeutico e un’opportuna regolamentazione dei loro incontri.
La Corte di appello di Venezia, disposta consu­lenza tecnica d’ufficio, affidata allo psichiatra già nominato in precedenza, acquisite le relazioni dei servizi che davano conto degli sviluppi della situazione, prendeva atto che il miglioramento dell’atteggiamento dei figlio nei confronti del padre era meramente effimero, vale a dire riscontrabile solo in concomitanza di accertamenti nell’ambito di procedure in cui si profilava il pericolo di una de­cisione sfavorevole per la madre. Constatava quindi che, nonostante fossero state rispettate le prescri­zioni tra i percorsi terapeutici già stabiliti, l’equilibrio psicofisico del minore risultava minato ed esposto a grave pericolo in relazione alla condi­zione patogenetica in cui versava, determinata da un forte conflitto di fedeltà nei confronti della madre. Veniva evidenziato come la mancata identificazione della figura paterna, e, soprattutto, l’immotivato e comunque ingiustificato rifiuto di rapporti con il padre, fossero da attribuirsi a un’evidente alleanza collusiva tra la madre e L. e che, ad onta del­la già dichiarata decadenza dalla potestà genitoria­le, la G. avesse mantenuto un potere assoluto sul figlio, che non risultava in alcun modo utilizza­to per rivalutare la figura paterna e per favorire la ricostruzione di un rapporto con il padre evidente mente, ritenuto “inutile e dannoso”.
  Si riteneva, pertanto, che soltanto una diversa col­locazione del minore potesse scongiurare l’ormai qua­si cristallizzato rifiuto e odio dello stesso verso la figura paterna, e si rilevava altresì come l’età ormai adolescenziale di L. da un lato accre­scesse il pericolo di uno sviluppo alterato irreversibilmente dalla situazione patogenetica sopra indi­cata; dall’altro consentisse, senza gravi traumi, una collocazione in un ambiente scolastico/educativo, do­tato della necessaria specializzazione ed equidistan­te dai genitori.
Si disponeva quindi, riservando ogni decisione, sulle domande proposte con il ricorso incidentale all’esito della verifica, dopo un anno, della nuova regolamentazione, che il minore fosse affidato al pa­dre ed inserito in una struttura residenziale educa­tiva, prescrivendo la programmazione di incontri con entrambi í genitori, sulla base di uno specifico e dettagliato programma psicoterapeutico.
Per la cassazione di tale provvedimento la G. ­propone ricorso, affidato a due motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso, parimenti illustrato da memoria, il D.”
 
Non ci soffermiamo sul rigetto da parte della Suprema Corte dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata nel controri­corso e fondata sull’assenza del carattere di decisorietà del provvedimento impugnato, inteso a disciplinare in maniera temporanea e non definitiva gli aspetti relativi al collocamento del minore e ai suoi rapporti con entrambi i genitori.
Ci occupiamo, senza altri indugi, delle censure mosse dalla ricorrente nei confronti della valutazione della PAS, oggetto del nostro approfondimento.
Motivi della decisione
“(....) Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito a un fatto decisivo e controverso per il giudizio, sotto i seguenti pro­fili:la Corte territoriale, pur recependo integralmente le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, fondate sull’accertamento diagno­stico, nei confronti del minore, della “sindrome da alienazione parentale” (PAS), non ha esaminato le censure, specificamente proposte, sia in relazione alla validità, sul piano scientifico, di tale contro­versa patologia, sia in merito alla sua reale riscon­trabilità nel minore e in sua madre.
Con il secondo mezzo si denuncia violazione di legge ed omessa motivazione in merito a un fatto con­troverso e decisivo per il giudizio, consistente nel­la mancata verifica dell’attendibilità scientifica della teoria posta alla base della diagnosi di “sin­drome da alienazione parentale”.
Orbene, la Suprema Corte, esaminando attentamente la decisione della Corte d’Appello e  verificando  che il provvedimento impugnato si era basato esclusivamente sulla diagnosi di PAS,  ritiene entrambi i motivi fondati:
 “Dalla lettura della relazione, depositata dal medico psichiatra al quale la Corte di appello aveva affidato il compito di accertare “le condizioni psi­cofisiche attuali del minore, per verificare se la prosecuzione delle condizioni di vita e delle modali­tà dei rapporti parentali in essere possa compromet­tere ulteriormente la sua salute e quale sarebbe, sotto lo stesso profilo, l’eventuale pregiudizio che gli conseguirebbe dall’inserimento in diverso ambien­te, endo-familiare o comunitario/educativo (che il genitore non decaduto dalla potestà può ricercare - fra quelli più adeguati alle necessità educative e allo stile di vita che intende assicurare al figlio - e proporre ai CTU, per opportuna valutazione) con in­dicazione delle più opportune modalità di attuazio­ne”, emerge una chiara conferma della diagnosi di PAS (già in precedenza formulata, del resto, dallo stesso consulente).”
“Nell’elaborato in questione (…) illustrato il pericolo dello sviluppo, in età post­adolescenziale, di un quadro patologico attinente a grave “Disturbo di Personalità, o a Disturbo Disso­ciativo di tipo disaffettivo, ovvero a Psiconevrosi Depressiva”, si conclude nei seguenti termini: L’attento accertamento commissionato dalla Corte di appello di Venezia, Sezione per i Minorenni porta, i­nequivocabilmente a confermare, nella vicenda in at­tenzione di causa, la sussistenza di PAS, disfunzione ad intensa connotazione psicopatologica, che deve es­sere al più presto delimitata e interrotta al fine di tutelare il processo evolutivo del minore in atten­zione, oggi già compromesso e prodromico, sic stanti­bus rebus, di futuro sviluppo psicopatologico".
“Il decreto in esame, richiamando le valutazioni­ del consulente tecnico d’ufficio, e ritenendo che non si tratti di “assecondare le propensioni affettive (o meglio distruttive) del minore, già unilateralmente indirizzate”, bensì di “individuare le condizioni più rispondenti al suo preminente interesse all’accesso alle figure genitoriali di riferimento”, afferma, ci­tando la consulenza tecnica d’ufficio, che il mante­nimento dell’attuale collocamento  di L. “non garantirà in termini certi ed irreversibili lo scio­glimento di quel legame patogeno esistente tra madre e figlio, legame alla base dei rilevato conflitto di fedeltà che sul piano tecnico urge risolvere”. Ben si vede come il provvedimento adottato assume proprio nell’ottica della teoria incentrata sulla PAS, una valenza clinica e giuridica assieme, nel senso che l’interesse del minore viene perseguito, al di là dei principi della bigenitorialità e della ne­cessità dell’ascolto del minore (inteso non solo come mero recepimento delle sue istanze, anche affettive, ma come necessità di motivare adeguatamente provvedimenti adottati in difformità alle sue esternazioni), attraverso una serie di misure intese a prevenire, in funzione terapeutica, l’aggravamento di una patologia in atto”.
 (…….) Deve quindi ritenersi che, come si afferma nel ricorso, il provvedimento impugnato sia, intimamente correlato alla diagnosi di PAS formulata dal consu­lente tecnico d’ufficio, e che, essendo la statuizio­ne adottata dalla Corte di appello rispondente a pre­tese esigenze terapeutiche, la sua validità, sotto il profilo non della scelta di merito, bensì del percor­so motivazionale che la sorregge, dipenda esclusiva­mente da quella della valutazione clinica, posto che da una diagnosi in versi errata non può derivare una terapia corretta.”
Passando all’esame delle censure dedotte, deve rilevarsi che la loro fondatezza discende dall’intreccio di due principi, parimenti disattesi, costantemente affermati da questa Cortein presenza di elaborati peritali che, interamente recepiti dal giudice del merito, siano stati sottoposti a specifi­che censure, soprattutto quando, come nel caso in e­same, venga in considerazione una teoria non ancora consolidata sul piano scientifico, ed anzi, come si vedrà, molto controversa.”
“Deve invero evidenziarsi che la ricorrente, nel pieno rispetto del principio di autosufficienza, ha richiamato le critiche mosse alla relazione deposita­ta dal consulente, tecnico d’ufficio, alla diagnosi dallo stesso formulata e, soprattutto, alla validità, sul piano scientifico, della PAS.”
(…) “Le esposte critiche non sono state esaminate nel provvedimento impugnato, così violandosi il principio secondo cui il giudice del merito non e tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria ade­sione alle conclusioni del consulente tecnico d’uffi­cio, potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, soltanto nel caso in cui non siano mosse alla consu­lenza precise censure, alle quali, pertanto, è tenuto a rispondere per non incorrere nel vizio di motiva­zione(Cass., 6 settembre 2007, n. 18688; Cass. l° marzo 2007, n. 4797, Cass., 13 dicembre 2006, n. 28694).
(…) “L’altro principio, parimenti disatteso e non meno importante, riguarda la necessità che il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche (Cass., 14759 del 2007; Cass., 18 novembre 1997, n. 11440), ovvero avvalendosi di idonei esperti, verifichi il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale (Cass., 3 febbraio 2012, n. 1652; Cass., 25 agosto 2005, n. 17324).”
“Il rilievo secondo cui in materia psicologica, anche a causa della variabilità dei casi e della natura induttiva delle ipotesi diagnostiche, il processo di validazione delle teorie, in senso popperiano, può non risultare agevole, non deve indurre a una rasse­gnata rinuncia, potendosi ben ricorrere alla comparazione statistica dei casi clinici.
Di certo non può ritenersi che, soprattutto in ambito giudiziario, possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali poten­zialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudente­mente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare.
Per le ragioni indicate il ricorso deve essere accolto e il decreto impugnato va cassato. Il giudice del rinvio, che si individua nella Corte di appello di Brescia, esaminerà il reclamo senza incorrere nell’evidenziato vizio motivazionale, provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità.”
 
In sostanza, la Suprema Corte di Cassazione, ritenendo che nella fattispecie la decisione della Corte d’Appello era stata fondata esclusivamente sulla diagnosi di PAS formulata dal consulente d’ufficio,  ha censurato il difetto motivazionale del decreto della Corte d’Appello che,  a cospetto di specifiche censure alla diagnosi dallo stesso formulata e, soprattutto, alla validità, sul piano scientifico, della PAS, per un verso non ha provveduto ad esaminare le critiche sollevate in sede di impugnazione e, per l’altro verso, anche a prescindere dalla citate contestazioni, non ha compiuto, nemmeno attraverso l’ausilio di esperti, la necessaria verifica  sul fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale.
 
Analizziamo adesso la vicenda processuale decisa con la sentenza 12 febbraio – 8 marzo 2013 n. 5847.
Svolgimento del processo
“In un giudizio di separazione personale dei coniugi M.R. e B.F., la Corte di appello di Catania, con sentenza 11 giugno 2010, in parziale accoglimento dell’appello proposto da M.R. e riformando la impugnata sentenza 20 giugno 2008 del Tribunale di Catania, ha affidato i due figli minori alla madre, con divieto provvisorio di contatti con il padre, le ha assegnato l’abitazione e ha posto a carico del B. l’obbligo di versarle un assegno mensile di € 800,00 per il mantenimento dei figli; ha confermato la prima decisione che aveva dichiarato abbandonata la domanda di addebito della separazione e condannato l’appellato alle spese del giudizio. Dalla ricostruzione fatta dalla corte di appello, per quanto ancora interessa, risulta che il tribunale aveva disposto l’affidamento condiviso dei figli collocandoli presso il padre e disciplinato la frequentazione con la madre e, con successivo decreto 12 settembre 2008, ne aveva limitato gli incontri con i figli; aveva assegnato al marito la casa coniugale e posto a carico della moglie M. l’obbligo di versare un assegno di mantenimento per i figli.
I giudici di appello, anche sulla base di una relazione del servizio di psichiatria della Asl di Siracusa, hanno ritenuto che il comportamento negativo dei figli verso la madre fosse stato provocato dalla condotta ostruzionistica del marito che aveva ostacolato gli incontri e ingiustificatamente screditato la figura della madre nei loro confronti, in tal modo danneggiandone l’equilibrio psichico; hanno quindi ritenuto che l’affidamento condiviso fosse pregiudizievole per i minori, che hanno affidato pertanto alla madre in via esclusiva”
Avverso la suddetta sentenza B.F. propone ricorso per cassazione articolato in sette motivi. La Suprema Corte di Cassazione li rigetterà tutti, ma in queste sede ci occuperemo soltanto  del terzo motivo:  quello attinente alla valutazione della PAS.
Motivi della decisione
“(.....)Nel terzo motivo è dedotto il vizio di motivazione per essere la decisione sull’affidamento stata assunta sulla base di una relazione svolta ad altri fini dal Servizio di psichiatria della Asl, cioè nell’ambito di un percorso di mediazione familiare attivato dal tribunale per i minorenni, ed irritualmente acquisita d’ufficio dalla Corte di appello senza tenere conto di altri elementi istruttori in atti.
Il motivo è infondato. La corte di appello, utilizzando la predetta relazione della Asl che diagnosticava una sindrome da alienazione parentale dei figli ed evidenziava il danno irreparabile da essi subito per la privazione del rapporto con la madre, si è limitata a fare uso del potere, attribuito al giudice dall’art. 155 sexies, comma 1, c.c., di assumere mezzi di prova anche d’ufficio ai fini della decisione sul loro affidamento esclusivo alla madre.Essa, inoltre, ha fondato la decisione anche su altri elementi non specificatamente censurati dal ricorrente, concernenti il giudizio negativo circa le attitudini genitoriali del B. (desunto anche dalla reiterata condotta ostruzionistica posta in essere al fine di ostacolare in ogni modo gli incontri dei figli con la madre), dandone conto in una motivazione priva di vizi logici e quindi incensurabile in questa sede.La corte di appello ha comunque auspicato la futura ripresa dei rapporti tra il padre e i figli, demandando al servizio di psichiatria dell’Asl competente di Siracusa di predisporre un idoneo progetto in tal senso (....)”
Orbene, è lapalissiano che, nel caso in esame, la decisione della Corte d’Appello, confermata dalla Suprema Corte di Cassazione, non si era fondata esclusivamente sulla diagnosticata sindrome da alienazione parentale, bensì anche su altri elementi non specificamente censurati dal ricorrente, di cui la Corte d’Appello, come affermano gli Ermellini,  dava conto in una motivazione priva di vizi logici e, quindi, incensurabili in sede di legittimità.
 
Riassumendo, ad avviso di chi scrive, la Suprema Corte in entrambe le decisioni  delinea le linee guida da seguire in sede di merito, allorquando ci si imbatte (come purtroppo spesso accade)  in miopi  conflitti tra i coniugi  che si ripercuotono specificamente nei rapporti genitori – figli. A cospetto di un costante comportamento ostruzionistico di un genitore che tende a delegittimare sistematicamente la figura genitoriale del coniuge sino ad indurre ingiustificatamente i figli ad allontanarsi fisicamente ed affettivamente dall’altro genitore, le decisioni che ne discendono dovranno essere fondate sul compiuto accertamento di dette circostanze di fatto che dovranno emergere all’esito dell’istruttoria (nella quale lo zelo difensivo e la competenza del legale avranno sicuramente un ruolo determinante) non potendo, simili provvedimenti, allo stato, in assenza di un riconoscimento scientifico della PAS, essere fondati esclusivamente sulla diagnosi di Sindrome di Alienazione Parentale, emessa in sede di consulenza tecnica d’ufficio e non supportata nemmeno da una comparazione statistica dei dati clinici.
 
4. Il decreto della corte d’appello di Brescia n. 103 del 17 maggio 2013, emesso a seguito del rinvio della Corte di Cassazione (sentenza n. 7041 del 2013). (3)
 
Difatti, il provvedimento  emesso dalla Corte d’Appello di Brescia – sezione minorenni – del 3-17 maggio 2013  n. 103 (proprio a seguito del rinvio della Suprema Corte di Cassazione), si  è uniformato pedissequamente ai suesposti principi.
La Corte d’Appello di Brescia, nel redigere la motivazione che sorregge l’intera  pronuncia, si è per l'appunto soffermata sul contegno assunto dalla madre nella vicenda in questione, valutando il sostegno fornito al minore per assicurargli il suo diritto alla bigenitorialità.
“(…) Con il ricorso presentato dal D. in data 06.02.2008, volto ad ottenere la decadenza dalla potestà della G., questi lamentava di non vedere il figlio da dieci mesi e che la madre, nonostante fosse stato previsto il pernotto del bambino presso il padre, consentiva che questi lo vedesse prima dell’interruzione definitiva solo nel garage della sua abitazione. Nel corso dell’audizione dei genitori la madre del minore ammetteva di aver rifiutato al padre il pernotto presso di lui e di conseguenza anche il trascorrere delle vacanze perché il bambino non l’aveva mai  chiesto. Il tribunale dava atto che l’atteggiamento della G non aveva in alcun modo favorito il rapporto del figlio con il padre, ma lo aveva ostacolato al punto che, disposto dallo stesso ufficio giudiziario una specifica disciplina di visite, la madre aveva violato tale programma, portando con sé il bambino per le vacanze estive (….)”
“(….) Dalla relazione dei Servizi Sociali di Cittadella del 19 giugno 2010 si apprende che il programma di incontri predisposto  sulle indicazioni del tribunale veniva accettato dai genitori, ma che l’atteggiamento del bambino si rivelava quanto mai preoccupante tanto che questi nel rifiutare ogni forma di comunicazione con il padre giungeva al punto di scagliargli contro un libro che questi gli aveva portato in dono; altra volta mimava una sberla nei confronti dello stesso e gli dava un calcio senza che la madre presente, desse segni di disapprovazione.”
“Non migliore è stato il risultato ottenuto dal Servizio Sociale di Padova, sostituito a quello di Cittadella (…). Il bambino non veniva portato dalla madre agli incontri con il padre nello spazio neutro individuato dai servizi, fissati nel mese di giugno e di luglio, assenze giustificate dalla G. con uno stato di malessere del figlio (….)
“La madre in molte circostanze si è manifestata come un soggetto apparentemente collaborativo con gli esperti che hanno seguito la vicenda, ma nella sostanza non ha accompagnato psicologicamente il figlio alla ripresa dei rapporti con il padre (…)”
“ La G., subito dopo la sentenza della Corte di Cassazione, ha prelevato il figlio dalla casa paterna, gli ha impedito di frequentare la scuola in cui era iscritto, ha tentato di ottenere l’iscrizione presso la scuola di Cittadella, ha disatteso il programma del servizio sociale affidatario, ha impedito al figlio di trascorrere parte dei giorni festivi pasquali con il padre portandolo con sé in Toscana da alcuni parenti.”
Sulla scorta della disamina di tale contegno, la Corte d’Appello di Brescia, nel solco delle linee guida che la Suprema Corte di Cassazione ha tracciato con le richiamate pronunce n. 5487 e 7041 del 2013, ha così statuito:
Indipendentemente dalla loro qualificazione dal punto di vista medico, la descrizione dei comportamenti del bambino sulla quale tutti hanno concordato consente di ritenere che i suoi agiti, se non ricomposti, porterebbero a disturbi che impedirebbero a (…) di crescere e sviluppare tutte le sue notevoli capacità intellettuali ed espressive. Non si tratta solo di conservare al bambino la bigenitorialità da intendersi come patrimonio prezioso di cui i figli debbono poter disporre, ma di evitare che attraverso il rifiuto si vada strutturando una personalità deviante. Si tratta anche di preservare il bambino dal dolore perché le gravi manifestazioni di rifiuto emerse nel passato sono anche espressione di sofferenza. Per tale ragione va confermato l’affidamento al servizio sociale per la predisposizione di un progetto di sostegno psicologico del bambino e di aiuto alla genitorialità in quanto solo attraverso l’abbassamento del conflitto della coppia si può sperare che il bambino acquisisca sicurezza e serenità. Poiché la madre non lo ha garantito in questo percorso, ma al contrario lo ha ostacolato, la predetta non può ritenersi il genitore più idoneo a favorire la crescita del bambino, per cui il collocamento principale dello stesso va disposto presso il padre che ne esercita la potestà. Va tuttavia garantito a (…) anche la frequentazione dell’ambiente materno che certamente ha costituito  per anni il  centro dei suoi affetti: affetti che non gli possono essere negati, salvo il rischio di porlo in situazione di grave sofferenza. Pertanto va disposto un calendario di visite “materne” molto nutrito che consenta di conservargli l’ambiente della prima infanzia (…).”
 
Ebbene, la decisione in esame conferma che  il  mancato  fondamento scientifico della PAS non impedisce al giudice l’accertamento di tutti gli elementi che inducono il minore a vivere uno stato di sofferenza in grado di ripercuotersi irreversibilmente sulla sua crescita, a cospetto del quale è doveroso adottare tutti i provvedimenti indispensabili a tutela dello sviluppo psico-fisico del bambino, tenendo conto della responsabilità che i genitori hanno assunto con il loro contegno nei conflitti  sorti in seno alle vicende di destrutturazione familiare.
 
5.      Il ruolo dell’avvocato – L’auspicio di una riforma deontologica in materia di diritto di famiglia - La necessaria sinergia tra le diverse professionalità coinvolte nelle vicende giuridiche di destrutturazione della famiglia. (2)
A prescindere dalla classificazione di simili comportamenti e della valutazione delle  relative conseguenze, che si manifestino o meno in disturbi mentali scientificamente riconosciuti, il vissuto delle aule di giustizia nelle vicende di separazione e divorzio ci delinea  una sempre più diffusa casistica di deprecabili contegni  posti in essere da parte di uno dei coniugi (in prevalenza della donna), tesi ad ostacolare il diritto del minore alla bigenitorialità.
Non si può tacere sul ruolo emblematico  che riveste l’avvocato nella delicatissima materia  del diritto di famiglia, ove è indispensabile una spiccata competenza, autorevolezza ed autonomia. Bisogna essere consapevoli, oggi più che mai, che l’operato dell’avvocato può contribuire in maniera determinante alla composizione dei conflitti. Giammai il difensore può svilirsi a tal punto da accettare il ruolo di mero esecutore delle istanze del proprio assistito, soprattutto allorquando vengono formulate richieste e rivendicazioni palesemente contrarie agli interessi dei minori. E’ necessario saper mantenere sempre alta la capacità di valutazione e rimodulazione delle richieste del proprio cliente. L’avvocato contribuisce in prima persona all’attuazione dei “fini di giustizia”. Si tratta di una funzione di estrema dignità e rilevanza. La plausibilità e la congruità di una domanda  va esaminata  rispetto al contesto giuridico e giudiziario in cui deve essere proposta.
Il difensore non può perdere  di vista che gli interessi del figlio non necessariamente coincidono con quelli dei genitori. In questi casi, l’avvocato è chiamato a ricordare  ai suoi mandanti che il suo orientamento sarà a sostegno, precipuamente,  dell’interesse del minore ed  è tenuto a dare  consigli in tal senso ai suoi clienti, affinché modifichino il loro comportamento. La violazione di questi  principi comportamentali dovrebbe, a parere di chi scrive, essere deontologicamente sanzionata ed in merito sono state già formulate al CNF diverse proposte (dall’Osservatorio Nazionale del diritto di Famiglia, dall’AMI e dell’AIAF), tese ad una modifica del codice deontologico con particolari previsioni nell’ambito del diritto di famiglia.
Nel contempo, l’avvocato è chiamato ad una proficua collaborazione con tutte le professionalità che intervengono in simili vicende. Nessun giudice  dovrà mai  considerare un procedimento di separazione o divorzio, allorquando sono coinvolti gli interessi dei minori, come una mera “questione di routine”. E’ indispensabile, altresì, che lo psicologo-psicoterapeutica CTU abbia maturato una particolare esperienza in questo campo con una buona conoscenza anche delle dinamiche processuali,  in modo da poter  svolgere  un importante ruolo di mediazione dei conflitti, tenendo sempre presente che dovrà giungere alla formulazione del proprio parere attraverso un’analisi integrata dei dati, rispettando i criteri della logica scientifica con il riferimento a  tecniche e teorie che rappresentino un sapere condiviso all’interno della comunità scientifica. Infine, lo psicologo- psicoterapeuta CTP è chiamato, prima di ogni cosa, così come l’avvocato, a conservare la propria autonomia professionale rispetto ai committenti, ricordandosi di avere precipui doveri deontologici ed etici nei confronti dei minori.
                                                                                         Avv. Massimiliano Gatto
Bibliografia:
(1).Buzzi I. (1997) La sindrome di alienazione genitoriale. In Cigoli V., Gulotta G.& Santi G. (a cura di), Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Giuffré, Milano, II Ed., pp 177-188.
Salluzzo Mario Andrea  (psicologo, psicoterapeuta del Dipartimento di salute mentale ASL RM) - La sindrome di alienazione genitoriale (PAS): psicopatologia e abuso dell’affidamento nelle separazioni- Interventi di confine tra psicologia e giustizia  - da Link – Rivista scientifica di psicologia n. 8 – gennaio 2006 – pagg. 6 – 18.
Vaccaro Sonia; Barea Consuelo, PAS. Presunta Sindrome di Alienazione Genitoriale, Firenze, ed. it. 2011.
Wikipedia: voci: Sindrome di Alienazione Genitoriale; Richard Gardner.
(2). gattostudiolegale.blogspot.com - La sindrome da alienazione genitoriale (PAS) - Le sentenze della Cassazione n. 5847 e n. 7041 del 2013 - Il  delicato ruolo dell'avvocato  e la necessaria sinergia tra tutte le professionalità coinvolte nei processi di destrutturazione della famiglia (pubblicazione del 30.03.2013)
(3). gattostudiolegale.blogspot.com - PAS: il decreto della Corte d'Appello di Brescia n. 103 del 17 maggio 2013 a seguito del rinvio della Cassazione (sentenza n. 7041 del 2013) -  (pubblicazione del 01 agosto 2013)