ART. 27

"La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle Leggi militari di guerra."

ART. 13

"La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'Autorità Giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla Legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla Legge, l'Autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all'Autorità Giudiziaria e, se questo non li convalida nelle successive 48 ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone, comunque, sottoposte a restrizione della libertà. La Legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva."
A questo punto, ricordiamo la vicenda della Englaro, così come quella del Welby; le stesse, infatti, pongono degli interrogativi che esigono delle risposte certe ed inequivocabili, ossia: esiste nel nostro Ordinamento giuridico un inderogabile diritto all vita, oppure, questo diritto, in determinate condizioni umane (malattie terminali, coma...) può essere derogato con una semplice pronuncia di un eventuale Magistrato adito?

Per rispondere a tale quesito occorre partire dalla Legge fondamentale su cui si regge lo Stato italiano, qual'è la Costituzione Italiana.

L'art. 2 della Costituzione Italiana così dispone:"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale".

Il richiamo a questi "diritti inviolabili" ha la sua radice in una lunga tradizione storica e filosofica che si estende dal diritto naturale fino alla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo.
L’idea di fondo é che esistono dei diritti naturali, dei diritti, cioè, che appartengono per natura all’uomo e, perciò, precedono l’esistenza stessa dello Stato, che, dunque, non li crea, ma, appunto, deve riconoscerli e, soprattutto, garantire concretamente, attraverso le Leggi ordinarie.

In altri termini, il diritto positivo, cioè l’insieme delle norme poste dallo Stato, deve conformarsi alle norme del diritto naturale che precedono qualsiasi legislazione positiva.
I diritti naturali, proprio in quanto costitutivi della natura umana, non sono legati ad una determinata cittadinanza, italiana piuttosto che francese, tedesca piuttosto che albanese, ecc.
Non si tratta, dunque, di diritti del cittadino, ma di diritti dell’uomo.
Il riconoscimento é importantissimo perché obbliga la Repubblica Italiana a garantire a tutti, anche a coloro che non siano cittadini italiani, questi diritti fondamentali.
Sul piano filosofico le risposte sono state le più disparate.
Sul piano politico e giuridico il riferimento fondamentale è rappresentato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dalle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948, a cui la Costituzione Italiana fa riferimento quando parla di diritti inviolabili.

Essa all'art. 3 statuisce che: "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona".

Da ciò discende che il diritto alla vita è incondizionato, inderogabile ed indisponibile.

Siffata enunciazione normativa pone dei limiti concretamente:

a) un limite al legislatore, il quale non può emanare norme che scalfiscano l'inviolabilità della vita umana;
b) un limite alla magistratura la quale non può, con Sentenza, subordinare l'indisponibilità della vita umana al principio dell'autodeterminazione della persona; infatti, ognuno dispone della sua vita come crede.
Ancora, secondo una qualificata dottrina l'eutanasia, ossia la "morte ex lege" non potrebbe compiersi nemmeno con Leggi di revisione costituzionale, atteso che queste Leggi incontrano il limite di non poter modificare la forma repubblicana, “a disegnare la quale concorre proprio il principio personalistico”, che afferma il primato dell’uomo nei confronti dello Stato e lo colloca al centro dell’ordinamento giuridico.
Pertanto, si può concludere che qualora in Italia ci fossero Leggi che regolassero l'eutanasia, queste sarebbero del tutto incostituzionali.

Nemmeno il principio di autodeterminazione personale (...se un giorno entrassi in coma vorrei che mi fosse staccato il respiratore...) potrebbe giustificare il ricorso alla "dolce morte" in quanto nella eutanasia, al contrario del suicidio, la decisione finale sulla morte è rimessa al terzo e non già all’interessato, e non si può consentire che sia trasferita ad altri la disponibilità della vita umana, che peraltro non compete nemmeno allo Stato.