In relazione alla questione se il figlio maggiorenne possa ottenere dai genitori un contributo economico, occorre valutare e commentare la disciplina relativa agli alimenti.

La questione giuridica, al cui soluzione consente di esprimere parere motivato, é relativa all'interpretazione di pochi articoli del codice civile (433-448) che evito di trascrivere ma che esaminerò ed illustrerò brevemente nel loro contesto di applicazione.

Gli alimenti possono essere richiesti - nell'ordine - al coniuge, ai figli, ai genitori e, solo in loro mancanza, ai nonni[1]; in difetto, possono essere richiesti ai generi e alle nuore, ai suoceri e, infine, anche alle sorelle, soltanto da chi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio sostentamento.

L'elencazione é tassativa e progressiva, nel senso che il primo soggetto in grado di adempiere esclude gli altri e ciò in ragione dell'intensità del vincolo familiare.

Desidero subito chiarire che l'obbligazione alimentare a carico dei genitori ha carattere residuale rispetto al più generale obbligo di mantenimento: ciò significa che, quand'anche il figlio maggiorenne[2] abbia raggiunto l'autonomia economica e poi l'abbia perduta, i genitori non saranno più gravati dall'obbligo di mantenimento, bensì da quello di prestare gli alimenti.

Ciò, peraltro, non é sufficiente per dichiarare i genitori obbligati alla prestazione alimentare, atteso che occorre verificare se sussistano in capo al richiedente i due presupposti fondamentali dello "stato di bisogno" e dell'"incapacità di provvedere autonomamente ai propri bisogni".

Per quanto concerne il primo profilo, si deve affermare che versa in stato di bisogno chi non é in grado di far fronte dignitosamente alle esigenze fondamentali della propria vita, dovendosi intendere quest'ultime in relazione delle condizioni concrete e della posizione sociale del soggetto.

Sono considerate "esigenze primarie" il vitto, la casa di abitazione, il vestiario, l'assistenza medica non coperta dal Servizio Sanitario e quei beni e servizi che, nell'attuale società, integrano un minimo di vita dignitosa.

E' utile ricordare che il diritto agli alimenti sussiste anche se il richiedente (c.d. "alimentando") versi in stato di bisgono per propria colpa, poiché il principio di solidarietà familiare - sul quale esso si fonda - prescinde da ogni valutazione di ordine morale e pertanto lo stato di bisogno non cessa nel caso in cui costituisca conseguenza della condotta disordinata, dissoluta e addirittura spregevole del soggetto, ferma, in questa ipotesi, solo la possibilità di una riduzione degli alimenti.

Preciso subito che, nell'ambito dell'esame della colpa e della responsabilità dell'alimentando, il principio si riferisce all'esame dei motivi che hanno causato l'indigenza economica e non alla causa dell'impossibilità di rimediarvi: in altre parole, la Legge riconosce all'alimentando il diritto di ottenere gli alimenti se egli abbia colposamente provocato la condizione di indigenza economica (es.: eccessive spese in vestiti, investimenti finanziari sbagliati, alcool, slot machine, etcc...) ma esclude tale facoltà se l'alimentando non provi il tentativo di procacciarsi autonomamente i mezzi per superare tale contesto.

Personalmente, ritengo di potere prosaicamente riassumere questo principio di diritto con la massima che "la Legge tutela i figli cattivi ma non i figli fannulloni" e ritornerò sul punto in sede di conclusioni.

Assorbente e decisivo ai fini del quesito é poi la valutazione dell'impossibilità di svolgere un'attività lavorativa idonea a procurare quanto necessario per vivere, con la precisazione che la prova del presupposto grava sull'alimentando.

E' opinione radicata che essere in grado provvedere al proprio sostentamento significhi trovarsi nelle condizioni idonee al procacciamento (lecito) dei mezzi di sussistenza, il che si verifica nei confronti di chi, essendo capace di svolgere attività lavorativa retribuita, avrebbe concrete possibilità, in una soluzione economica di piena occupazione, di ricavare dall'attività medesima quanto é necessario per vivere.

Tale condizione va valutata in concreto e sussiste anche quando l'alimentando sia abile al lavoro ma non riesca a trovarlo, con la dovuta precisazione che deve tenersi conto dell'età, delle condizioni di salute e delle attitudini dell’alimentando: questi, ai fini del riconoscimento dell’impossibilità, non é tenuto a ricercare qualsiasi lavoro ma soltanto tra quelli confacenti alle proprie condizioni fisiche e psichiche nonché alle proprie condizioni sociali[3].

Nello stretto ambito di queste note, é utile richiamare il contenuto dell’art. 443 c.c.[4] che attribuisce all’obbligato la facoltà di adempiere all’obbligo alimentare in forma specifica.

La Prassi riconosce tuttavia che la scelta della convivenza non possa essere imposta, pena il sorgere di problemi di compatibilità con la tutela costituzionale della libertà personale.

Pertanto, il Giudice - in relazione all’eventuale controversia tra obbligato ed alimentando sui modi di somministrazione degli alimenti (o  nel caso in cui l'obbligato non effettui la scelta in ordine al modo di somministrazione) - interviene con ampia discrezionalità, dovendo tenere in prevalente considerazione l'interesse del richiedente.

In conclusione, ai fini dell’ottenimento di un assegno alimentare, sarebbe auspicabile che il richiedente fornisse prova documentale:

1) per quanto riguarda lo stato di bisogno:

? di avere ricevuto la minaccia di sfratto per il mancato pagamento del canone di locazione;

? di avere comunque ricevuto solleciti di pagamento da parte di Enti di somministrazione di prestazioni periodiche (enel, aspem, etc...);

? di avere contratto finanziamenti per l'adempimento di debiti relativi all'acquisto di beni di prima necessità (es.: acquisto di mobili, pentole, materassi);

2) per quanto riguarda il tentativo di sopperire autonomamente alla situazione di bisogno:

? di essere concretamente alla ricerca di un lavoro, mediante esibizione della domanda di iscrizione ad una delle Agenzie del Lavoro;

dovendo precisare che l'elencazione é meramente esemplificativa e non tassativa e che, relativamente al punto 1), non é indispensabile produrre tutta la documentazione indicata ma che la domanda di alimenti avrà tante più possibilità di essere accolta quanto più sarà supportata da prove.

Avv. Gianandrea Bonini



[1] E’ stato ad esempio deciso che il diritto agli alimenti previsto sussiste se risulta provato lo stato di bisogno nonché l'impossibilità dell'alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante la propria attività lavorativa. Qualora quest'ultimo sia in grado di trovare un'occupazione confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali, nulla può pretendere dai soggetti indicati nell'art. 433 citato. In tal senso, nel caso concreto, è stata corretta la sentenza gravata laddove aveva negato alla ricorrente il diritto di percepire un contributo economico per il mantenimento del figlio da parte dei nonni paterni, in luogo del padre inadempiente, in quanto, secondo il disposto dell'art. 433, comma 1, n. 3 c.c., gli ascendenti prossimi sono tenuti a versare gli alimenti in via succedanea e sostitutiva solo se (circostanza non rinvenuta nel caso di specie) i genitori non sono nelle condizioni di adempiere al loro personale obbligo di mantenimento dei figli (Cass. Civ. 30 settembre 2010, n°20509).

[2] Lo stato di bisogno dell’alimentando minorenne è, infatti, in re ipsa, non potendosi diversamente ritenere che la prole minore degli anni diciotto possa da sola provvedere alle proprie primarie esigenze di vita.

[3] Da intendere nel contesto delle abitudini impartite dalla famiglia.

[4] chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto. L'autorità giudiziaria può però, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione(Omissis)"