L’allontanamento dalla famiglia d’origine rappresenta una delle misure disposte dall’Autorità Giudiziaria, in situazioni di estrema gravità ed elevato rischio psicofisico per i bambini e gli adolescenti
Tale misura  dovrebbe rappresentare l’extrema ratio, ma purtroppo non sempre è così. 
I dati sono sconcertanti: quasi 30mila minorenni allontanati dalla famiglia, metà dei quali in affido familiare e l’altra metà in comunità.Nella maggior parte dei casi l’allontanamento viene disposto in base a una misura di protezione urgente ex art. 403 del Codice Civile su segnalazione dei servizi sociali per maltrattamento o abuso conclamati, abbandono o per inadeguatezza genitoriale ovvero incapacità gravi di rispondere ai bisogni dei figli.
A parte i casi in cui sussiste il grave pregiudizio per il minore, troppo spesso succede che i genitori si rivolgano ai Servizi sociali al fine di ottenere un aiuto economico che permetta di superare le difficoltà in cui versano ed è in tale occasione che gli operatori, anziché fornire l’aiuto richiesto (sia educativo che economico), entrano nelle dinamiche familiari chiedendo e ottenendo dal Tribunale per i minorenni misure di allontanamento non giustificate. 
Nel caso in cui vi siano famiglie che versano in condizioni economiche precarie, compito dei servizi sociali è quello di aiutare le persone innanzitutto informandole sui sussidi disponibili, sulle opportunità per ottenere alloggi popolari e, in generale, sui diversi tipi di prestazioni sociali che consentono di superare le difficoltà, anche fornendo supporto educativo che aiuti i genitori a ricoprire al meglio il proprio ruolo.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si occupa costantemente dei casi di allontanamento dei minori dalla proprie famiglia di origine. 
Le pronunce in materia minorile sono costanti nel richiamare il principio dei best interests contenuto nei diritti nazionali positivi, giocano un ruolo importante il diritto internazionale pattizio, in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, infatti, la Cedu non va interpretata da sola, ma in armonia con i principi del diritto internazionale e, in particolare, con le norme concernenti la protezione internazionale dei diritti dell’uomo
Con specifico riferimento alla Cedu, il parametro normativo utilizzato è, anzitutto, l’art. 8 sotto il profilo della vita familiare e della vita privata, ma anche – sebbene meno frequentemente – l’art. 3 sul divieto di trattamenti inumani e degradanti, e l’art. 1 Protocollo n. 1
Frequenti sono, inoltre, i riferimenti ad altre normative internazionali, anzitutto la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del minore.
Come detto, l’allontanamento del minore dal genitore deve costituire una misura eccezionale, da adottare esclusivamente qualora vi siano ragioni «pertinenti e sufficienti», nella valutazione delle quali l’interesse del minore deve essere d’importanza cruciale.
Anzitutto, i giudici europei desumono in via interpretativa dal diritto al rispetto della vita familiare, di cui all’art. 8 Cedu, l’interesse del minore a mantenere i legami con la sua famiglia. Un primo ambito di applicazione del principio è quello del collocamento del minore fuori famiglia: la Corte è infatti costante nel ribadire che la privazione di assistenza materiale e la sola negligenza nelle cure non possano, di per sé sole, essere causa di allontanamento. Oltre a ciò, si specifica che la vita familiare non cessa di per sé nel caso di allontanamento deciso dalle autorità pubbliche a tutela del minore e, pertanto, il minore allontanato ha diritto alla frequentazione con i genitori anche dopo l’allontanamento, salvo il caso vi siano specifiche prove di contrarietà al suo interesse. 
Le autorità nazionali devono fare ogni sforzo per rendere temporaneo l’allontanamento, ricostituendo e sostenendo il legame familiare e le genitorialità “fragili”. 
I Decreti emessi dal Tribunale per i minorenni di collocazione presso le “case famiglia”, risultano essere dei provvedimenti provvisori e per tale natura non impugnabili; il loro carattere di provvisorietà purtroppo non ha una durata prestabilita e troppo spesso succede che i minori vengano collocati in strutture anche per anni. Nella Causa D’Acunto e Pignataro c. Italia la Corte Edu con Sentenza 12 luglio 2018ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione. Le ricorrenti, rispettivamente la madre e la nonna di due minori, nei confronti dei quali era stato ordinato l’allontanamento dalla casa familiare a causa delle carenti condizioni igienico-sanitarie in cui era stata trovata l’abitazione ove essi vivevano e collocati in una casa famiglia per ben sette anni e mezzo. La Corte ha condannato l’Italia ritenendo che le esigenze procedurali discendenti dall’art. 8 della Convenzione non siano state soddisfatte neanche sotto il profilo della durata del procedimento. Richiamando la sua giurisprudenza esistente sul punto, la Corte ha constatato che il Tribunale dei minori non ha proceduto con la celerità necessaria al collocamento dei minori presso la famiglia d’origine.  (L.S.)