Le norme

L'affido condiviso dei figli minori è stato introdotto dalla legge n. 54 dell'8 febbraio 2006, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1° marzo 2006.

Tale istituto si fonda sul principio della bigenitorialità, in base al quale il figlio ha il diritto di mantenere un rapporto completo e stabile con entrambi i genitori, anche quando la famiglia attraversi una fase patologica, quale appunto quella che porta alla separazione personale dei coniugi.

Per comprendere il valore della riforma, è opportuno richiamare brevemente la disciplina previgente in materia di affidamento dei figli.

In particolare si deve far riferimento all’articolo 155 del Codice Civile.

Tale norma prevedeva un affidamento di tipo monogenitoriale, per cui il minore restava affidato al solo genitore considerato più idoneo a favorire il pieno sviluppo della personalità. Tale genitore veniva dotato di potestà esclusiva riguardo l’educazione, l’istruzione e la cura.

Il genitore non affidatario, invece, manteneva la potestà congiunta in ordine alle scelte più importanti ed alle questioni di straordinaria amministrazione.

Nella realtà quotidiana dei Tribunali, l'affidamento monogenitoriale si è tradotto in affido quasi esclusivo alla madre, con l'obbligo per il padre di corrispondere un considerevole assegno di mantenimento.

Tale situazione certamente contrasta con il principio di bigenitorialità sopra indicato.

Tale principio è sancito dall'articolo 30 della nostra Costituzione, che stabilisce il dovere di entrambi i genitori di mantenere, istruire ed educare la prole.

Si ricorda, inoltre, la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata in Italia con la legge n. 176 del 1991, che ribadisce "… il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo" (articoli 9 e 18).

Nello stesso senso si muovono  la Carta europea dei diritti del fanciullo del 1992, e la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei bambini del 1996. Quest'ultima prevede, tra l’altro, l’audizione del minore nelle controversie che possano in qualche modo riguardarlo.

Sulla spinta comunitaria ed internazionale, il legislatore italiano ha introdotto l'istituto dell'affido condiviso, al fine di realizzare il principio della bigenitorialità.

Le novità della riforma L'affidamento dei figli minori

In base al nuovo testo dell'articolo 155 del Codice Civile, come riformato dalla legge del 2006, l'affido condiviso rappresenta oggi la regola, mentre l'affidamento monogenitoriale è l'eccezione cui si ricorre solamente quando l’interesse del minore potrebbe essere pregiudicato da un affidamento condiviso.

Il Giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi, infatti, valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori.

Se il giudice ritiene che l'affido condiviso sia pregiudizievole per i figli, può disporre l’affidamento ad uno solo dei genitori ma dovrà motivare adeguatamente tale decisione.

Il provvedimento di affido è suscettibile di revisione al sopraggiungere di fatti nuovi.

I genitori, infatti, hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.

Riguardo le modalità concrete con cui si attua l'affido condiviso, la scelta è rimessa in primo luogo ai coniugi.

Questi ultimi, infatti, hanno l'onere di presentare, insieme al ricorso per separazione, un "progetto di affidamento condiviso”  che verrà sottoposto al vaglio del Giudice già nella prima udienza presidenziale.

In caso di mancato accordo, sarà il Giudice a stabilire le condizioni e le modalità dell'affidamento.

L'assegnazione della casa familiare

Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.

In altre parole si tenderà ad assegnare la casa al coniuge che vivrà più tempo con i figli.

Il Giudice tiene conto dell'assegnazione della casa familiare nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerando anche l’eventuale titolo di proprietà.

Ciò vuol dire che il coniuge assegnatario, ma non proprietario, potrebbe veder ridotto l’apporto economico dell’altro coniuge (proprietario), gravato degli oneri fiscali.

Ogni altro impegno economico relativo alle spese di gestione della casa, ivi comprese quelle condominiali, resta a totale carico del coniuge che gode dell’abitazione.

Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.

Qualora uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento.

L'opponibilità dell'assegnazione a terzi

Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili ed opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643 del Codice Civile.

Ciò è stabilito espressamente dall'articolo 155 quater del Codice Civile, introdotto dalla riforma del 2006.

Prima dell'introduzione di questa norma, era in dubbio se l'assegnazione della casa coniugale non trascritta fosse opponibile ai terzi.

Sul punto era intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite la quale aveva affermato che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è opponibile, anche se non trascritto, al terzo che abbia successivamente acquistato, per nove anni dalla data dell’assegnazione. Se il provvedimento è stato trascritto, è opponibile al terzo anche oltre i nove anni (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 11096/2002).

La nuova disciplina, per evitare ogni dubbio, ha specificato che il fine della trascrizione è l’opponibilità ai terzi.

Oggi, quindi, il coniuge assegnatario, per rendere l'assegnazione opponibile ai terzi, dovrà richiedere la trascrizione del provvedimento di assegnazione.

Il mantenimento dei figli minorenni

Un'altra importante novità riguarda il mantenimento dei figli.

Sono stati previsti, infatti, dei criteri di determinazione dell’assegno al fine di porre un vincolo alla discrezionalità del Giudice.

Tali criteri, cui si ricorre in caso di mancato accordo tra i genitori, sono:

  1. le attuali esigenze del figlio;
  2. il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
  3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
  4. le risorse economiche di entrambi i genitori;
  5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

A ben vedere, tali criteri peccano di genericità, per cui resta sempre elevata la discrezionalità del Giudice nello stabilire l'entità del mantenimento.

Il mantenimento dei figli maggiorenni

Il legislatore del 2006 ha anche previsto che il Giudice possa disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico.

Tale assegno, salvo diversa determinazione del Giudice, è versato direttamente all’avente diritto.

Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.