La preferenza attribuita dalla normativa vigente nei confronti della famiglia naturale è dimostrata dalla circostanza per la quale il primo istituto disciplinato dalla legge n. 184/83 è l’affidamento familiare, teso a supplire alle temporanee difficoltà della famiglia di appartenenza del minore, quando risultino insufficienti o inidonei gli interventi di sostegno predisposti dai servizi sociali.

Lo scopo del cosiddetto affido, quindi, è quello di realizzare un’effettiva garanzia del diritto del minore a crescere nella propria famiglia e al tempo stesso l’adempimento del diritto al mantenimento, all’educazione e all’istruzione, considerati quali elementi imprescindibili per la sua corretta e positiva crescita anche psicologica.

L’istituto in discussione è teso, pertanto, a tutelare l’interesse morale e materiale del minore che sia temporaneamente privo di un idoneo ambiente familiare e ha il primario obiettivo di favorire il reinserimento del minore nella propria famiglia di origine.

La legge sulle adozioni regola due diversi tipi di provvedimento, l’affidamento familiare vero e proprio e l’affidamento in una comunità di tipo familiare e il primo dev’essere sempre preferito al secondo, in quanto solo l’affido familiare offre la possibilità di garantire al minore affidato un ambiente simile alla famiglia e quindi un ambiente maggiormente rispondente alle esigenze di sviluppo della sua personalità.

Si deve precisare che originariamente era previsto che il minore potesse essere affidato anche a un istituto, ma, con la riforma introdotta dalla legge n. 149 del 2001, tale forma di affidamento è considerata superata, poiché quella disposizione legislativa ha disposto la chiusura degli istituti dall’1 gennaio 2007.

Di conseguenza, ove non sia possibile operare l’affido temporaneo del minore a una famiglia, dovrà essere disporre l’affidamento a una comunità di tipo familiare.

In questo caso, saranno i legali rappresentanti della comunità esercitano i poteri tutelari sul minore affidato, fino a quando non verrà nominato un tutore in tutti i casi in cui l’esercizio della potestà genitoriale o della tutela sia impedito. In questi casi, infatti, i legali rappresentanti devono proporre istanza per la nomina di un tutore entro 30 giorni dal momento dell’accoglienza del minore.

Perché si realizzi una simile ipotesi, è necessario che l’impedimento all’esercizio della potestà genitoriale riguardi entrambi i coniugi ed esso può dipendere dall’assenza di coloro i quali ne siano investiti ovvero dalla pronuncia di provvedimenti o da qualsiasi altro fatto che, anche temporaneamente, ne riduca e/o escluda l’esercizio.

Nel caso in cui le condizioni che escludono o riducono la potestà genitoriale vengano meno e i genitori ne riprendano appieno l’esercizio, le comunità di tipo familiare e gli istituti di assistenza pubblici e privati devono richiedere al giudice tutelare di fissare con decreto i limiti o le condizioni del suo esercizio.

L’affido etero - familiare è disposto dal servizio sociale competente territorialmente e reso esecutivo con decreto del giudice tutelare, se i genitori esercenti la potestà o il tutore hanno manifestato il loro consenso, sentito il minore che abbia compiuto i dodici anni o di età inferiore quando sia dotato di sufficiente capacità di discernimento.

L’audizione è obbligatoria perché ha lo scopo di rendere partecipe del suo futuro il minore, che, in questo modo, ha la possibilità di manifestare il proprio intendimento in merito a decisioni fondamentali per la sua vita e la sua crescita in una nuova famiglia e, nello stesso tempo, tende a rendere consapevole il minore del significato della convivenza con i genitori affidatari, imparando a non confondere tali figure di supporto alla loro crescita con quelle dei genitori naturali.

È possibile anche, ai sensi dell’art. 9 commi 4 e 5 l. adoz., il cosiddetto affidamento privato, in forza del quale i genitori possono affidare i propri figli privatamente a persone di loro fiducia e non siano legati da rapporti di parentela con i minori, previa segnalazione al PMM (art. 9 commi 4 e 5 “ …Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni. L'omissione della segnalazione può comportare l'inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l'incapacità all'ufficio tutelare. Nello stesso termine di cui al comma 4, uguale segnalazione deve essere effettuata dal genitore che affidi stabilmente a chi non sia parente entro il quarto grado il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi. L'omissione della segnalazione può comportare la decadenza dalla potestà sul figlio a norma dell’articolo 330 del codice civile e l'apertura della procedura di adottabilità”).

Qualora manchi il consenso dei genitori del minore, l’affidamento sarà disposto dal Tribunale per i minorenni (art. 4 comma 2 l. adoz.) con decreto motivato che disciplini anche i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri all’affidatario e le modalità attraverso le quali i genitori naturali e gli altri componenti del nucleo familiare originario possono mantenere i rapporti con il minore.

Il decreto di affidamento – sia nel caso in cui sia emesso dal giudice tutelare, quando vi sia il consenso, sia nel caso in cui sia emesso dal giudice minorile - deve anche indicare quale servizio sociale cui deve essere attribuita la responsabilità del programma di assistenza e la vigilanza durante l’affidamento con l’obbligo di informare costantemente l’Autorità Giudiziaria su ogni evento di particolare rilevanza e di relazione con cadenza semestrale sull’andamento del programma di assistenza, sull’ulteriore sua presumibile durata e sull’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di origine.

L’affidamento può essere disposto preferibilmente in favore di una coppiaanche di fatto - con figli minori.

Ma è anche possibile che, oltre al caso in cui la scelta cada su una comunità familiare, il minore venga affidato – caso assolutamente unico nel nostro ordinamento – a una persona sola.

La selezione deve essere compiuta però in relazione alle singole ipotesi concrete in modo tale da garantire al minore l’inserimento in un contesto quanto più possibile idoneo alle sue specifiche esigenze.

All’affidatario spetterà accogliere presso di sé il minore, accudirlo, mantenerlo, istruirlo ed educarlo, provvedendo così a sanare le lacune emotive, affettive ed educative che si sono create a causa delle ridotte capacità genitoriali.

Le scelte degli affidatari possono essere condizionate, però, dalle indicazioni fornite dai genitori naturali esercenti la potestà e pertanto non dichiarati decaduti da essa oppure possono essere condizionate da quelle fornite dal tutore nel caso in cui i provvedimenti ablativi o riduttivi della potestà genitoriale siano stati emessi.

Inoltre i genitori affidatari non possono discostarsi da quanto stabilito dall’Autorità Giudiziaria che ha disposto l’affidamento.

In ogni caso a costoro spetterà l’esercizio dei poteri connessi alla potestà genitoriale connessi ai rapporti con le istituzioni scolastiche e con le autorità sanitarie e dovranno obbligatoriamente essere sentiti nei procedimenti giudiziari in materia di potestà, di affidamento e adottabilità riguardanti il minore affidato.

Insomma i genitori affidatari non sono titolari di veri e propri poteri genitoriali, ma esercitano, a tempo determinato, una potestà analoga a quella dei genitori che rimane, però, da quest’ultima distinta e autonoma.

Che il minore venga affidato fuori dalla famiglia e da essa allontanato non significa, pertanto, che i genitori decadano automaticamente dalla potestà genitoriale, né in nessun caso – considerato anche che primariamente devono essere garantiti al minore contatti continui e proficui con la famiglia naturale e il suo graduale reinserimento in essa – i genitori naturali possono essere surrogati e soppiantati, nella psiche del minore, dagli affidatari.

In questo senso gli assistenti sociali, nell’ambito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolgono opera di sostegno educativo e psicologico, agevolano i rapporti con la famiglia di provenienza e il rientro del minore secondo le modalità più idonee.

Da quanto appena asserito è possibile dedurre sia il carattere strumentale dell’affidamento familiare sia la sua necessaria strutturazione sulla collaborazione tra genitori naturali e affidatari sia la sua assoluta temporaneità.

Esso deve essere disposto solo quanto la situazione d’inadeguatezza dei genitori non sia irrimediabile, ma quando l’iniziale inidoneità della famiglia sia solo temporanea e positivamente modificabile, anche per effetto dell’aiuto a essa fornito dai servizi sociali.

In ragione di ciò, almeno in linea di principio, l’affidamento deve durare per un periodo non particolarmente lungo e in modo tale da garantire il rientro nella famiglia di origine una volta superato il momento di difficoltà.

La legge sulle adozioni stabilisce, pertanto, che l’affidamento non debba superare i ventiquattro mesi. Ma tale periodo è prorogabile con provvedimento del Tribunale per i minorenni quando la sospensione dell’affidamento possa essere pregiudizievole per il minore.

Alla soluzione della cessazione dell’affido, pertanto, si giunge solo nel caso in cui la situazione di pregiudizio nei confronti del minore sia determinata proprio dal mantenimento dell’affidamento

L’affido, inoltre, cessa – sempre con provvedimento della stessa autorità che lo aveva disposto, valutato l’interesse del minore - quando sia venuta meno la situazione di temporanea difficoltà della famiglia di origine che lo aveva giustificato.

Il giudice tutelare, trascorso il periodo previsto ovvero quando si verifichi una delle ipotesi di cui sopra, sentiti il servizio sociale e quello ultradodicenne o infradodicenne dotato di sufficiente capacità di discernimento, richiede, se necessario, al competente Tribunale per i minorenni l’adozione di ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore.