Come l’affido, anche l’adozione di un minore è, in primo luogo, un istituto giuridico teso a tutelare l’interesse primario del bambino alla famiglia.

In questo caso però la situazione di difficoltà non è temporanea, ma definitiva e irreversibile tanto da determinare lo stato di abbandono morale e materiale del minore.

Proprio su tale stato verterà, pertanto, la valutazione complessa e delicata che deve essere affrontata prima di dichiarare un minore adottabile.

I principi generali in materia di adozione sono sanciti dagli artt. 6 e segg. della legge n. 184 del 1983 come modificata dalla legge n. 149/01.

L’art. 6 dispone che “L'adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto.

I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare. L'età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l'età dell'adottando”.

Il requisito della stabilità del rapporto può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, se il Tribunale per i minorenni accerta la continuità e la stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto.

I limiti di età possono essere derogati, qualora il Tribunale per i minorenni verifichi che, dalla mancata adozione, derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore.

L'adozione non è preclusa quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a dieci anni, ovvero quando essi siano genitori di figli naturali o adottivi dei quali almeno uno sia in età minore, ovvero quando l'adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già dagli stessi adottato.

Ai medesimi coniugi sono consentite più adozioni anche con atti successivi e costituisce criterio preferenziale ai fini dell'adozione l'avere già adottato un fratello dell'adottando o il fare richiesta di adottare più fratelli, ovvero la disponibilità dichiarata all'adozione di minori che si trovino nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (portatori di handicap)

Nel caso di adozione dei minori di età superiore a dodici anni o con handicap accertato, lo Stato, le regioni e gli enti locali possono intervenire, nell'ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, con specifiche misure di carattere economico, eventualmente anche mediante misure di sostegno alla formazione e all'inserimento sociale, fino all'età di diciotto anni degli adottati.

Da quanto appena riportato tramite il richiamo pressoché testuale dell’art. 6 l. adoz., dopo le modifiche operate con la legge n. 149/01, emerge il mantenimento del favor nei confronti dei coniugi e l’impossibilità dei conviventi more uxorio e dei singoli di adottare.

La convivenza degli adottanti può essere presa in considerazione dal Tribunale per i minorenni solo quando della stessa, precedente al matrimonio e contestuale al periodo di affidamento preadottivo, sia debitamente comprovata la stabilità e la continuità.

Il nostro ordinamento prevede poi la possibilità della pluralità di adozioni con un unico atto o con più atti successivi, stabilendo quale criterio preferenziale il caso in cui la coppia abbia già esperienza adottiva o comunque genitoriale, soprattutto con figli minori, e, secondo il principio risalente al diritto romano in forza del quale adoptio imitatio naturae, faccia richiesta di adottare più fratelli.

Titolo preferenziale è considerato anche la disponibilità ad adottare minori portatori di handicap.

Altro presupposto imprescindibile per la scelta della coppia di adottanti è l’idoneità affettiva, accompagnata alla capacità di educare e alla capacità economica intesa come capacità a mantenere ed istruire la prole.

La genitorialità adottiva, pertanto, presuppone, una capacità diversa ed ulteriore rispetto alla genitorialità naturale, poiché ai genitori adottivi è richiesto che gli stessi adempiano alle obbligazioni di cui all’art. 147 c.c. ma con l’idoneità a contribuire positivamente al recupero dei minori rispetto ai loro vissuti dolorosi, alle separazioni e alle perdite subite.