La Corte di Strasburgo, con Sentenza di Settembre 2012, ha chiarito che, è contraria alla Convenzione una Legge che impedisce a chi è stato abbandonato alla nascita di conoscere le circostanze in cui la nascita stessa è avvenuta, nonché, di conoscere l'identità della madre. È una Sentenza avente portata storica, con la quale la Corte prova a bilanciare due Diritti ugualmente rilevanti, ma contrapposti: da un lato, quello della madre all'anonimato, dall'altro, il Diritto del figlio ad apprendere un elemento importante della propria identità.

Ora l’Italia, avendo ratificato la Convenzione, è tenuta a modificare la Normativa concernente al “diritto all’oblio”, che assicura una protezione assoluta all'anonimato della madre, in quanto considerato contrario all'articolo 8 della Convenzione Europea, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
La storia ci racconta di una donna, abbandonata alla nascita dalla madre, dopo un periodo in orfanotrofio, veniva adottata da una famiglia. Divenuta adulta, aveva cercato di ottenere informazioni sulle circostanze della nascita e sull'identità della madre, ma le Autorità nazionali avevano respinto la sua richiesta. Ogni tentativo in questa direzione – portato avanti, anche dopo molti anni, fino a quando la donna aveva compiuto 63 anni – era fallito. Di qui il ricorso alla Corte Europea, che ha dato ragione alla ricorrente, bocciando la Legislazione Italiana.
La Corte Europea “ha riconosciuto che il diritto a conoscere le proprie origini rientra in quello all'identità personale; che è protetto dall'articolo 8 della Convenzione, in quanto elemento essenziale della vita privata e familiare di un individuo”. Il desiderio di sapere quali sono le proprie radici non si estingue nel corso degli anni.          
Nonostante tutto ha ammesso la sussistenza di un diritto della madre a non svelare la propria identità, diritto che può essere legittimamente tutelato sul piano nazionale anche per evitare il ricorso all'interruzione di gravidanza o all'abbandono del minore, senza alcuna garanzia per la salute della madre e del neonato.

Il punto, afferma la Corte, è che l'Italia mette da parte ogni bilanciamento dei diversi interessi in gioco e introduce nel proprio Ordinamento “una protezione assoluta dell'anonimato della madre, senza contemperarla con le esigenze del bambino, che, cresciuto, vuole venire a conoscenza di elementi della propria identità”.    
Si afferma, pertanto, una maggiore discrezionalità in favore dei Giudici che dovranno stabilire qual è il diritto preminente da tutelare.

La Corte Europea, accertata la violazione della Convenzione, ha riconosciuto un indennizzo di 5mila euro per i danni non patrimoniale (nel caso di cui al ricorso, la richiesta era stata di 250.000 euro) più 10.000 euro per le spese.
Inevitabile una modifica legislativa, proprio per evitare condanne a ripetizione da parte della Corte Europea.