Fin da epoca romana le limitazioni alla capacità giuridica della donna  vengono spiegate dai giuristi latini con pretese qualità negative come l'ignorantia iuris (ignoranza della legge), imbecillitas mentis (inferiorità naturale), infirmitas sexus (debolezza sessuale), levitatem animi (leggerezza d'animo). La rivendicazione di questa radicale diversità tra uomo e donna rifletteva una netta contrapposizione già esistente tra uomo e uomo, tipica delle società antagonistiche. Al pari degli impotenti o degli eunuchi, la donna romana, nel periodo arcaico, non poteva adottare; non poteva neppure rappresentare interessi altrui, né in giudizio, né in contrattazioni private; non poteva fare testamento o testimoniare, né garantire per debiti di terzi, né fare operazioni finanziarie; non poteva neppure essere tutrice dei suoi figli minori. Le veniva preclusa la facoltà d'intervenire nella sfera giuridica di terzi semplicemente perché - e con questo in pratica si chiudeva il cerchio della discriminazione - non aveva mai ufficialmente gestito alcun tipo di potere su altri. Sotto questo aspetto la società maschilista romana non faceva molta differenza tra donne ignobili e donne rispettabili, come per esempio le matrone. Le differenze erano solo di carattere etico-sociale, non certo politico.

 Ancora oggi le donne sono sotto-rappresentate e la carriera politica rimane per loro un percorso pieno di ostacoli. Eppure le donne non sono indifferenti alla politica e a dimostrarlo è la storia delle rivoluzioni, ricca di esempi di donne coraggiose, che hanno scelto la strada dell’azione senza aver paura della repressione, l’esilio e perfino la morte, pur di difendere le proprie idee. Durante la rivoluzione del 1789, le “tricoteuses” assistono quotidianamente alle sedute dell’Assemblea, intervenendo attivamente nei dibattiti: infatti, sono loro che cercheranno il Re a Versailles per condurlo a Parigi e porre fine alla monarchia. Emergono in quest’occasione personalità come quella di Théroigne de Méricourt, che partecipa alle giornate rivoluzionarie dell’agosto 1792 e viene per questo frustata in pubblico e coperta di offese. Oppure Madame Roland che andrà sul patibolo nel 1793 lanciando un grido che rimarrà celebre: “Libertà, quali crimini si commettono in nome tuo”. Nel 1791 Olympe de Gouges pubblica la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, in cui reclama il diritto di voto, la possibilità che le donne accedano a tutti gli impieghi pubblici e l’uguaglianza in tutto rispetto agli uomini. Anche lei sarà ghigliottinata.

Il 30 ottobre del 1793 furono proibiti i numerosi club femminili, dove si tenevano le assemblee e si proibirà alle donne di assistere alle assemblee politiche. Durante la Comune di Parigi del 1871 si assistette a una spettacolare partecipazione delle donne: esse attivano asili, mense, organizzazioni di solidarietà e partecipano a varie lotte finendo vittime della repressione dell’esercito di Versailles.

Culmine simbolico della lotta per l’emancipazione femminile,  il nuovo movimento femminista del 1968 rivendica una sua autonomia di lotta perché pone al centro della lotta politica la liberazione della donna la cui posizione nella società ha delle caratteristiche specifiche. La donna, oppressa e sfruttata dal sistema patriarcale e capitalistico, prende coscienza della sua condizione ed elabora una strategia rivoluzionaria che mira a conquistare per la prima volta la sua identità, la sua autonomia, la sua partecipazione alla storia come protagonista.