Per comprendere il sistema giudiziale Americano con particolare riguardo all’istituto del fallimento, bisogna per prima cosa, impadronirsi di alcune informazioni sullo stesso sistema giudiziale.
Negli Stati Uniti esistono due sistemi legali che convivono : quello federale , che comprende le norme emesse dal Congresso e riguarda tutti gli stati componenti la federazione e tutti i cittadini americani e quello statale, che si basa sulle norme emesse dai singoli stati, la cui validità è legata al territorio degli stessi.
Analogamente, esistono Corti Federali e Corti Statali, quelle cioè di ogni singolo stato.
A loro volta, le Corti Federali si dividono in corti che amministrano le violazioni di norme federali ed i diritti e doveri conseguenti e Corti Fallimentari, che trattano esclusivamente questioni legate alle procedure e norme fallimentari, che sono appunto norme federali , emesse cioè dal Congresso.
Da quanto esposto, si intende che il fallimento e le procedure da esso richieste, sono materia di esclusiva competenza delle norme federali e delle Corti Federali e tra queste ultime, solo quelle specializzate nel fallimento.
Per molti anni, a giudizio di chi scrive, l’America ha riservato poca importanza ai problemi legati alla insolvenza, favorendo così la posizione dei debitori a danno di quella dei creditori.
Nel 1978 , con il “Bankruptcy Reform Act”, gli Stati Uniti si sono dati una legge organica che ha regolarizzato la materia in modo simile a quanto già avveniva da anni nei paesi europei.
Questa legge ha prodotto il “Bankruptcy Code” del 1978 per l’appunto, che è il codice specializzato che attualmente regola la materia.
In virtù di tale codice, le Corti Federali riservate per le procedure fallimentari ( bankruptcy courts ), hanno giurisdizione esclusiva su tutte le procedure legate al fallimento e sui debiti e sulle proprietà del debitore, ovunque esse siano locate. Hanno inoltre giurisdizione non esclusiva, su ogni causa civile, che tragga origine o sia collegata alle procedure fallimentari in oggetto.
La dichiarazione di fallimento del debitore, può essere conseguente ad una richiesta in tal senso, avanzata dallo stesso debitore ( filing under chapter 7 ) o può essere provocata in seguito ad una richiesta di uno o più creditori, anche contro la volontà del debitore (involuntary bankruptcy), per mezzo di una adeguata procedura ( action ) avanti la corte competente in materia fallimentare.
Perché il creditore sia ammesso allo stato passivo, egli deve produrre una “proof of claim”, deve cioè provare il proprio credito. Questa prova, normalmente consiste nella fattura a suo tempo emessa, eventualmente confortata dalla presenza di un ordine , magari con relativa conferma, da una bolla di consegna ( bill of lading ) ed anche dalla corrispondenza intercorsa , se necessario.
Tutto quanto sopra però, solo nell’ipotesi in cui il debitore non abbia riconosciuto il debito o lo contrasti in qualche modo.
Infatti il debitore è tenuto a compilare una lista di tutti i suoi creditori e del relativo credito da ciascuno vantato. Tale lista costituisce un riconoscimento e sulla base di essa, la corte fallimentare invierà diretto avviso della procedura pendente a tutti i creditori elencati .
Qualora nascesse contestazione o sull’ammontare o per altri motivi , l’unico modo del creditore per far valere le proprie ragioni, è iniziare una procedura avanti la “ bankruptcy court”, ma ovviamente avrà necessità dell’assistenza di un avvocato in loco.
Senza entrare nei dettagli tecnici legali, che in questa sede non si potrebbero adeguatamente illustrare per ragioni di spazio e tempo, si può affermare che l’inizio della procedura fallimentare , comporterà un blocco dei crediti e dei pagamenti, sottraendo quasi sempre al debitore , la disponibilità dei suoi beni. La procedura fallimentare può portare alla nomina di un “trustee”, di un fiduciario cioè , indicato dalla corte, che gestirà i beni del fallito nell’interesse dei creditori.
La figura del “trustee” presenta analogie con quella del curatore prevista dalle procedure fallimentari italiane, ma non è l’equivalente.
Accanto alla bancarotta vera e propria ( chapter 7 ), esistono altre forme di rimedi allo stato di insolvenza.
Il più noto e diffuso e tristemente noto anche agli operatori economici italiani con affari in USA, è quello che consente teoricamente, la riorganizzazione dell’attività della parte insolvente, quando ne esistano i presupposti economici ( filing under chapter 11 ).
Tale procedura consente una moratoria dei debiti, un congelamento degli stessi ed una continuazione dell’attività sotto il controllo del tribunale fallimentare attraverso la figura del “trustee”, nominato appunto dal tribunale.
In pendenza di tale procedura, i pagamenti a favore dei nuovi creditori, conseguenti alla continuazione dell’attività commerciale o industriale, sono garantiti dalla corte fallimentare, che disporrà gli esborsi relativi alle prestazioni o alle merci acquistate.
Si tratta dunque di una procedura paragonabile a quella della amministrazione controllata esistente in Italia, ma in America non c’è un curatore o un amministratore indipendente , è lo stesso debitore ad operare “under chapter 11” , ma con il controllo del “trustee”.
L’Azione Revocatoria è anche possibile nel sistema legale americano, ma secondo i criteri e le condizioni che sono state stabilite e qui di seguito approssimativamente descritte.
Generalmente parlando, ogni pagamento fatto nei novanta giorni precedenti la richiesta di fallimento, può essere revocato se fatto a favore di “preferred” creditori o entro un anno, se i pagamenti sono stati erogati a favore di creditori “insiders”.
Lo scopo di tale disposizione normativa, è quello di contrastare un illecito vantaggio che un creditore potrebbe conseguire, avendo ricevuto un pagamento superiore a quello che avrebbe ottenuto dal fallimento.
E’ la tutela della “par condicio” dei creditori.
In virtù di tale norma, il “trustee” o se del caso il “debtor in possession”,può promuovere con successo un’azione legale per recuperare allo stato passivo, i pagamenti fatti nelle sopradescritte circostanze.
Al fine di meglio comprendere la norma, il paragrafo 547 del “Bankruptcy Code” indica in quali casi ci si trovi di fronte ad un caso di “preferred” creditore: il pagamento deve essere stato fatto quando lo stato di insolvenza era già esistente ; esso deve essere antecedente e non corrente; fatto a un “non insider creditor” e entro i 90 giorni precedenti la richiesta di fallimento; infine che abbia consentito al creditore di ricevere più di quanto potrebbe ricevere dalla gestione dei debiti fatta dal fallimento stesso.
Si noti però, che chi possa vantare un riservato dominio o abbia effettuato un pignoramento od altra simile procedura cautelare, non sarà considerato”preferred” creditore e potrà completamente locupletarsi come il creditore privilegiato in Italia, qualora naturalmente esistano i fondi.
Ovviamente , contro tali azioni revocatorie invocanti le circostanze sopra descritte, ci sarà la possibilità di organizzare delle difese per contrastarne la validità o l’esistenza dei presupposti invocati , ma la descrizione di tale casistica andrebbe ben oltre gli scopi ed i limiti del presente scritto. Essi potranno e dovranno essere meglio illustrati dal professionista che sarà investito del caso e la cui presenza , qualora si volesse contrastare una azione revocatoria, sarebbe ovviamente necessaria.
Inoltre , come si è già detto, il codice consente anche di recuperare pagamenti fatti ad “insiders” entro un anno dalla richiesta di fallimento.
Il codice definisce come “insiders” i parenti del debitore, i dirigenti dell’azienda, i managers o entità ad essi legate. Anche in questo caso , la “ratio” della norma è quella di impedire che il debitore faccia pagamenti di comodo al fine di sottrarre fondi allo stato passivo ed a danno degli altri creditori.

Avvocato Gian Piero RINALDI
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