1. Secondo la ricostruzione più rigorosa, per debiti residui occorre fare riferimento ad una quota-parte delle obbligazioni non pagate e di cui siano titolari tutti i creditori, nel senso che l’esdebitazione non sembrerebbe prospettabile quando anche solo alcuni di essi, per effetto della liquidazione fallimentare, non fossero riusciti a conseguire almeno un pagamento parziale [A Palermo 9.2.10; A Milano 17.7.09; A Brescia 21.5.09; T Roma 21.9.10; T Bergamo 11.10.10; T Pescara 9.7.10; T Bari 15.3.10; T Rovigo 22.1.09; T Ancona 18.6.2008 e senza alcuna distinzione fra le diverse categorie, quali prededucibili, privilegiati o chirografi A Brescia 21.10.09]. Per questa tesi, dunque, la chiusura del fallimento per insufficienza di attivo sarebbe inconciliabile con l’istituto [RONCO 07, 550], apparendo presupposto indefettibile invece la ripartizione finale dell’attivo [NORELLI 06, 258, 266] ed il suo stretto collegamento con l’ammissione al passivo [NORELLI 09, 1197]: come si ricava dal fatto che occorrono comunque un provvedimento di chiusura, un collegamento relativo alla nozione di debiti che restano (dunque al netto di altri che sono pagati) ed un effetto di inesigibilità per i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente (art. 143, co. 1, v. infra), anche per i creditori concorsuali non insinuatisi (art. 144, v. infra). Tale tesi è stata – più genericamente propendendo per un pagamento parziale per tutti i creditori – sviluppata anche da chi ha ricostruito l’istituto ricordandone la coerenza – che qui diviene, si aggiunge, direttiva ermeneutica – con il fondamento della liberazione stessa del fallito dai suoi debiti: il legislatore vorrebbe anche così incentivarlo a favorire, con suoi comportamenti tempestivi e poi collaborativi con la liquidazione concorsuale, la più piena emersione di cespiti su cui i creditori si possano soddisfare [SANTORO 10, 1869]. Dal che deriva, come ineludibile corollario, che al beneficio non è ammesso il debitore che non disponga di alcun bene, rectius di alcun attivo utile alla liquidazione per come avvenuta nel fallimento e così valutabile al momento della decisione, che si colloca, senz’altro, alla chiusura della procedura stessa. A tale approdo, su un piano più generale, mostra di riferirsi in modo critico l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite [S.C. 21641/10], ove enuncia il dubbio che l’istituto, così inteso, poco si giustifichi sul piano sistematico se l’interprete finisce con l’esigere <<una situazione patrimoniale che avrebbe consentito l’accesso al concordato>>, obiezione istituzionale che tuttavia non dà l’opportuno rilievo alle profonde differenze tra i due istituti: con il concordato fallimentare, viene invero evitata la liquidazione fallimentare o comunque la sua prosecuzione in capo agli organi della procedura, il proponente (e tra essi il debitore ma solo dopo un anno dal fallimento e non oltre due dallo stato passivo ex art.124 legge fallim.) presenta un progetto di soddisfacimento dei creditori non necessariamente strutturato sul pagamento (tali essendo le opportunità delle plurime forme di esso), ricorrono fasi contrattualistiche essenziali (S.C. 3274/11), spicca un’inedita acausalità (il processo non verifica alcuna meritevolezza del debitore ma registra ovvero regola, in caso di opposizioni, la convenienza dei creditori), ha un suo costo processuale la cui giustificazione poggia su una prospettiva satisfattiva migliore rispetto al fallimento; con l’esdebitazione, la liquidazione concorsuale ha il suo corso ed al suo successo non è estraneo del tutto il comportamento del fallito (che non vi partecipa in modo diretto, ma le cui omissioni o condotte ostruzionistiche rilevano quali ostacoli – per immeritevolezza – alla concessione del beneficio), la proposta può provenire solo dal fallito, il fallito deve risultare meritevole altresì per condotte tipiche anteriori al fallimento, il vantaggio è scrutinato con esclusivo riguardo al fallito stesso e non ai creditori (essendo esaurito il processo di fallimento e rideterminandosi, con una riduzione proprio all’esito del riparto fallimentare, il residuo credito, altrimenti di nuovo esercitabile), il suo costo processuale è solo eventualmente ipotizzato, e sia pur alla fine, nella procedura fallimentare (potendo anche intervenire dopo, entro un anno dalla chiusura), il fallito non presenta alcun progetto né assume obbligazioni future o estingue le precedenti con nuovi impegni (non sussiste alcun congegno negoziale estintivo di novazione, remissione, compensazione o confusione) ma chiede una misura umanitaria per sé (che non necessariamente lo condurrà a ripresentarsi nel mercato come soggetto economico, essendo questa – come anticipato – una ratio nota nei lavori preparatori ma del tutto priva, qui si osserva e per le ragioni appena dette, di qualsiasi tangibile collegamento con la vita futura dell’esdebitato, dunque svalutabile a mera proiezione).

2. Su tale indirizzo converge anche la spinta ad una lettura restrittiva delle norme che, derogando al principio generale di cui all’art. 2740 cod. civ., andrebbero intese nel senso del minore sacrificio possibile a carico dei creditori [così anche SCARSELLI 10, 678]. Da un punto di vista testuale, poi, il richiamo all’art. 144 – pur frequente – esige una sistemazione ordinata della nozione di ‘creditori di pari grado’, locuzione che – rinviando alla regola esdebitatoria per i creditori concorsuali non concorrenti e costituendone anzi il parametro, per cui la misura residua di soddisfacimento ancora possibile di essi viene fatta coincidere con la stessa attribuita nel concorso a quelli appunto di pari grado – dovrebbe perciò staccarsi dal riferimento all’alveo dei crediti assistiti da prelazione, e per i quali si utilizza la comune espressione sulla ‘graduazione dei creditori’ (es. nell’art. 596 cod. proc. civ.). Va constatato infatti che la graduazione parrebbe operare essenzialmente con riguardo ad una pluralità di crediti assistiti da prelazione che appunto prendono un ‘grado’ diverso, e così potendosi soddisfare in scala decrescente o al massimo equiordinata, avuto riguardo all’oggetto della garanzia, sia essa il generale patrimonio mobiliare o un bene specifico. Tanto più che anche altre disposizioni, pure nel r.d. n. 267/1942, sembrano accoppiare graduazione e cause di prelazione: così l’art. 111-quater che regola il concorso tra crediti assistiti da privilegio generale mobiliare, ove si parla di unica graduatoria e di grado previsto dalla legge, quest’ultimo manifestamente assente in caso di chirografo. A sua volta per l’art. 143 vengono dichiarati inesigibili i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente: argomento tradizionale per sostenere che essi, tutti, dovrebbero essere stati soddisfatti

.Un’interpretazione che muova da tale lessico dovrebbe dunque indurre a considerare semplicemente necessario il riferimento alla graduatoria, ma non tale da spiegare influenza sulla latitudine dei crediti in comparazione: svolgendo il mero compito di raccordo con l’ipotesi in cui un pagamento sia stato disposto verso creditori con cause di prelazione, e per restare nell’ambito della tesi in commento, graduatoria significherebbe solo criterio di riferimento per misurare quanto conseguito da tali creditori. E perciò graduazione – in modo più riduttivo – starebbe ad indicare mera pluralità di creditori e conseguente necessità di operare la distribuzione, secondo un riparto che di necessità non può contemplare – come avviene ai sensi dell’art. 510, co. 1, cod. proc. civ. – l’assegnazione (in senso materiale) della somma ricavata dalle vendite al solo creditore insinuato ed ammesso.

3. Va peraltro puntualizzato che – a prescindere dalle tesi con cui ricostruire la nozione di pagamento almeno parziale – sembrerebbe inammissibile un’istanza proveniente dal fallito che chiedesse di dimostrare di aver pagato una certa quantità di creditori al di fuori della procedura fallimentare, sia prima che durante il suo svolgimento, ma non attraverso il soddisfacimento attuato in base alle regole del processo e dunque dai suoi organi (e nemmeno nel concordato fallimentare, che ha altra dinamica di instaurazione). Se, in altri termini, a chiusura del fallimento, nulla rimane da distribuire e nulla è stato distribuito, il debitore non può accedere a tale procedura: la sua meritevolezza non è solo di tipo etico-organizzativo (la cooperazione da egli prestata ai sensi del n.1 del co.1 alle attività degli organi) ma si correla ad una condizione patrimonial-finanziaria oggettiva ed inoltre tale da essersi sviluppata refluendo in un riparto ai creditori, secondo la cennata interpretazione del soddisfacimento parziale. In questo, come si vedrà, si potrebbe anche annidare una perplessità costituzionale, per ingiustificata compressione del patrimonio del fallito, inevitabilmente esposto anche alla capacità di gestione efficiente del curatore, al punto da non potere proporre l’istanza di esdebitazione se l’intero attivo, ancorchè rinvenuto, non sia stato destinato in alcun modo al pagamento dei creditori ovvero non sia stato efficientemente recuperato. E tuttavia, si tratta di obiezioni che vanno probabilmente canalizzate entro altri istituti: il conflitto con l’attività amministrativa del curatore e del comitato dei creditori ovvero le opportunità che comunque la legge fallim. assegna al debitore stesso, ammesso, se crede, al concordato di cui all’art. 124 legge fallim.

4. Inoltre, la nozione di debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti di cui alla legge delega, da ultimo, potrebbe validare la tesi esposta, in quanto la porzione di credito per il quale opera l’esdebitazione si ricava in modo simmetrico: i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente, oggetto della pronuncia giudiziale di cui all’art. 143, da un lato e l’operatività della esdebitazione per la sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado, dettata dall’art. 144 con riguardo ai creditori concorsuali non concorrenti, dall’altro, sembrano far leva su una vicenda che collega in modo positivo, nel fallimento, rispettivamente l’accertamento della concorsualità dei crediti ed il loro soddisfacimento almeno parziale, così da determinare per ciascuno di essi sia una nozione di residuo sia una indicazione di percentuale attribuita. Il che è materialmente possibile a condizione che tutti siano stati trattati nell’ambito delle ripartizioni: se solo qualcuno non fosse stato contemplato in un piano di ripartizione dell’attivo, non avrebbero senso né l’espressione di residualità del credito insoddisfatto, né quella relativa alla percentuale di attribuzione, compatibili invece con un trattamento che abbia coinvolto, per quanto con pagamenti non satisfattivi, quelli cui infatti l’art. 142, co. 2, si rivolge come i creditori concorsuali e non una parte di essi. A questa stessa tesi sembra addurre un contributo indiretto la prosa con cui la cit. Corte cost. n. 181/08 ha identificato l’istituto come introduttivo di una <<disciplina applicabile, successivamente alla chiusura del fallimento, alle eventuali parti di debito che, all'esito della procedura concorsuale, a causa dell'incompleto adempimento delle obbligazioni del fallito, continuino a gravare su di lui.>>, per cui si determinerebbe <<l'effetto … di escludere la possibilità per i creditori concorsuali rimasti solo parzialmente soddisfatti di pretendere, dopo la chiusura del fallimento, il pagamento del loro residuo credito da parte del debitore già dichiarato fallito>>: ciò mettendo in luce <<l'effetto pregiudizievole che, sotto l'aspetto sostanziale, l'applicazione dell'istituto ha sulla posizione soggettiva dei creditori concorsuali non integralmente soddisfatti.>>. E la stessa pronuncia di incostituzionalità (cui fa espresso riferimento allo scopo predetto T Bergamo 11.10.10) sempre si riferisce a tale tipologia di creditori nella considerazione della loro legittimazione ad avere notizia del ricorso del debitore e del decreto di convocazione camerale.

5. Se è pacifico che il soddisfacimento pregresso può essere parziale, per cui è opinione diffusa che non occorra una percentuale minima (un‘asserzione indipendente dalla condivisione o meno della prima tesi sinora esposta), né debba essere assicurato il pagamento integrale ai privilegiati [PANZANI 07, 2104], si osserva che la scala delle cause di prelazione – se rispettata – garantisce pagamenti parziali ai chirografi solo in determinati casi di insoddisfazione parziale dei privilegiati [CAIAFA 06, 510], per incapienza dei beni oggetto della garanzia (più in generale ponendosi altrimenti la regola del riparto ai chirografari come successivo al pagamento integrale dei creditori con privilegio generale). Ciò sembra significare che le posizioni soggettive dei creditori, al fine del computo del loro soddisfacimento parziale, vanno considerate in modo unitario, senza distinguere tra crediti in privilegio ed in chirografo, solo verificando che comunque vi sia stata oggettivamente una liquidazione satisfattiva almeno in parte del credito (di ciascuno) nel suo complesso ammesso al passivo. Per altri l’adempimento parziale è ancorato ad un criterio sostanziale che deve mediare con quanto il debitore era in grado di versare nel fallimento, quale funzione della sua collaborazione per il miglior soddisfacimento dei creditori [LAZZARA 06, 649], in una prospettiva che invoca dalla giurisprudenza l’individuazione di «limiti ragionevoli», perché una percentuale minima non possa giovare al fallito [GROSSI 06, 1921]. Molto più rigorosamente, tuttavia e sempre all’interno della prima tesi, si ritiene che l’istituto confligga per sua natura con l’idea minimale di una coincidenza con il mero pagamento, sia pur integrale, ai privilegiati: in tal caso, nessuna collaborazione potrebbe mai dirsi aver prestato il debitore, venendo contrastata la ratio della norma che è proprio quella di premiare un comportamento effettivamente collaborativo del fallito, del quale non ci sarebbe bisogno se la procedura si limitasse a realizzare i beni oggetto di garanzia delle cause di prelazione [e dunque i soli creditori dotati di privilegio, segnatamente reale, per SANTORO 10, 1869]. Ciò giustifica anche lo sfavore verso un mero soddisfacimento pro forma ed altresì l’irrilevanza della tesi che dubita della coerenza costituzionale di tale indirizzo sol perché in concreto la liquidazione (ed il conseguente pagamento) ben potrebbero darsi come dipendenti da fattori esogeni rispetto all’impegno dell’imprenditore: è a carico della diligenza esigibile da un imprenditore prudente l’assicurazione anche di tali rischi, in funzione dell’interesse dei creditori e del proprio [ancora SANTORO 10, 1870].

6. Una seconda tesi, induce a captare altri segnali – di tipo testuale – per cui la sopra citata espressione relativa al pagamento dei creditori di pari grado (ex art. 144 legge fallim.) potrebbe intendersi come regola di disciplina del riparto ai privilegiati, ma sempre che essi vi fossero e siano stati pagati, dunque secondo una considerazione di sufficienza, per cui, pagati almeno quelli, l’istanza di esdebitazione sarebbe ammissibile. In altri termini, la disposizione citata atterrebbe solo ad una regola di funzionamento eventuale, anche con riguardo all’eccedenza, senza fissare le condizioni dell’esdebitazione [così ora PANZANI 10, 832], avendo il legislatore come punto di riferimento [è la ricostruzione anche dall’ordinanza di rimessione alle S.U. n. 21641/10] una nozione di ‘residui’ coincidente con quella di ‘rimasti non soddisfatti’, insinuati o meno, ma comunque concorsuali. In base ad una differente prospettiva, proprio per evitare che l’esdebitazione si confonda con le medesime condizioni del concordato preventivo o di quello fallimentare esigendo un pagamento integrale ai privilegiati (regola peraltro, si osserva, del tutto attenuata e che pur tuttavia ancora è posta in modo espresso, ove si chiariscono i requisiti per derogarvi, ex art. 124, co. 3, legge fallim.), la novella si limiterebbe perciò a fissare come indefettibile il pagamento per intero dei crediti prededucibili [contra TEDESCHI 06, 482 che li inserisce tra i crediti concorrenti perché ammessi al passivo] e delle spese di procedura (ex artt. 118, co. 1 e 4, e 144), indipendentemente dal numero dei creditori insoddisfatti, mentre i crediti concorsuali – cioè sorti anteriormente al fallimento o, si può aggiungere, non qualificati ex art. 111 legge fallim. benché pregressi – vanno pagati in misura non irrisoria, ma senza la pretesa che tutti siano stati almeno in parte soddisfatti, bastando che ciò sia avvenuto anche solo per taluni, indirizzo meglio compatibile con la fisiologia dei riparti [ZANICHELLI 06, 313; conf. ora FRASCAROLI SANTI 09,1420; PANZANI 10, 833 in raccordo alla legge delega; per T Taranto 22.10.08 basta il pagamento in favore di taluni, anche se non tutti, i creditori concorsuali; conf. T Piacenza 22.7.08 che interpreta la locuzione come «parte dei crediti concorsuali», ma specifica che ciò deve avvenire «secondo l’ordine di legge»; per T Mantova 3.4.08. È stato ritenuto sufficiente il pagamento di una parte dei crediti privilegiati; T Vicenza 1.12.09 ritiene sufficiente anche un riparto parziale; T Terni 9.3.11; conf. A Bologna 8.7.08; non è necessario alcun riparto ai chirografi, bastando il pagamento parziale dei privilegiati per A Bari 14.4.09]. Si tratta di un indirizzo che, per attuarsi in presenza del riferimento ai creditori di pari grado di cui all’art. 144 legge fallim, potrebbe o adottare la cennata ricostruzione esemplificativa (l’espressione si giustifica solo se vi siano stati privilegiati) oppure enfatizzare una nozione atecnica della graduazione, idonea a ricomprendere sia la diversa attribuzione a creditori, parimenti garantiti sullo stesso bene, di somme ritratte dalla relativa liquidazione sia l’attribuzione delle somme in sé.