L’azione revocatoria è un mezzo concesso dalla legge ai creditori per conservare la garanzia patrimoniale sull’intero patrimonio del debitore; esso consiste nel diritto potestativo, a contenuto processuale, concesso a ciascun creditore, di ottenere dal giudice la declaratoria di inefficacia nei suoi confronti, di atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio o anche solo metta in pericolo le sue ragioni di credito.
L’azione revocatoria ha la funzione non solo di ricostruire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, sia per il soddisfacimento del suo credito che per consentire maggiore speditezza nell’azione esecutiva (Cass. n. 5105/2006).
Conseguentemente, una volta intervenuta la dichiarazione di inefficacia, il bene oggetto dell’atto impugnato deve considerarsi nei confronti del creditore come se non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore.
Tali principi sono compiutamente ribaditi da Cass. n. 10359/1996.
È opportuno puntualizzare che non ogni atto con cui il debitore dispone dei propri beni può essere soggetto a revocatoria: questa azione investe, infatti, soltanto quegli atti di disposizione del patrimonio il cui risultato economico si traduce in un pregiudizio per il creditore; quegli atti, cioè, che importano alterazioni o modificazioni lesive della integrità patrimoniale del debitore tali da rendere impossibile, problematica o anche soltanto più difficoltosa la realizzazione del credito. Non sono quindi revocabili gli atti che impediscono al debitore di adempiere ad una determinata obbligazione non pecuniaria senza peraltro compromettere la sufficienza generica del patrimonio. Si deve poi aggiungere che la situazione di pregiudizio deve, a seconda dei casi, essere conosciuta o addirittura preordinata da debitore disponente ed, eventualmente, anche dal terzo destinatario dell’atto di disposizione.
 
Il fondo patrimoniale è certamente idoneo ad arrecare pregiudizio ai creditori del costituente, innanzitutto qualora la costituzione del fondo medesimo abbia determinato anche il trasferimento del diritto di proprietà.
Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n. 2109/1968, n. 8013/1996, n. 3251/1996, n. 6017/1999, n. 4422/2001) la costituzione in fondo patrimoniale di determinati beni immobili o titoli di credito, pur importando l’inalienabilità dei beni medesimi e la destinazione dei frutti a vantaggio della famiglia (art. 167 c.c.), costituisce pur sempre un atto dispositivo a contenuto patrimoniale, che incide negativamente sulla situazione e sulla capacità patrimoniale del costituente, sia che venga effettuato da uno o da entrambi i coniugi (prima o durante il matrimonio), sia che venga fatta da un terzo. Anch’esso, quindi, è atto di disposizione di patrimonio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2901 c.c., come tale soggetto ad azione revocatoria ordinaria, il cui esercizio non è precluso dal fatto che i beni costituiti in patrimonio familiare diventano inalienabili fino alla cessazione del vincolo. L’inalienabilità, infatti, non è determinata da ragioni estranee all’atto che si impugna con l’azione revocatoria, ma ne costituisce un effetto immediato, la cui esistenza è subordinata alla validità ed alla efficacia dell’atto che si produce.
La costituzione del fondo patrimoniale può essere dichiarata inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 2901 c.c., volta a tutelare il creditore rispetto agli atti del debitore di disposizione del proprio patrimonio, senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore da quest’ultimo perseguito nel compimento dell’atto dispositivo.
Le condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria consistono in quelle previste dall’art. 2901 c.c., comma 1, così come confermato da orientamento giurisprudenziale consolidato nonché da una recente pronuncia della S.C., la n. 966/2007, e sono:?
-       il rapporto creditorio tra le parti;
-       l’effettività del danno arrecato mediante la disposizione patrimoniale effettuata con la costituzione del fondo;?
-       la scientia damni.
 
 
LEGITTIMAZIONE PASSIVA
 
La legittimazione passiva spetta ad entrambi i coniugi, non anche ai figli, ancorché il fondo sia costituito anche nel loro interesse, specie se sono minori (art. 169 c.c. ma anche art. 171, commi 2 e 3, c.c.).
La giurisprudenza ha ritenuto che il negozio costitutivo del fondo patrimoniale, anche quando proviene da entrambi i coniugi, è atto a titolo gratuito, che può essere dichiarato inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria (Cass. n. 966/2007).
La natura di atto a titolo gratuito determina che l’azione revocatoria è subordinata al presupposto soggettivo di cui al solo n. 1 dell’art. 2901 c.c.
La giurisprudenza esclude che l’atto di costituzione in fondo patrimoniale possa configurare un atto compiuto in adempimento di un dovere morale o giuridico.
La natura reale del vincolo di destinazione impressa dalla costituzione del fondo patrimoniale per i bisogni della famiglia e la necessità quindi che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali è stata costituita, comportano che nel successivo giudizio promosso con l’azione revocatoria siano legittimati passivi entrambi i coniugi anche se l’atto sia stato stipulato da uno solo di essi, non potendo in ogni caso negarsi l’interesse anche dell’altro coniuge, quale beneficiario dell’atto, a partecipare al giudizio (Cass. n. 15917/2006).
Nell’azione revocatoria, promossa dal creditore personale, dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, al quale abbiano preso parte entrambi i coniugi divenendo comproprietari dei beni costituenti il fondo stesso, la legittimazione passiva compete ad entrambi i coniugi (Cass. n. 5402/2004).
 
 
EVENTUS DAMNI
 
Circa l’elemento oggettivo dell’azione revocatoria (l’eventus damni), il pregiudizio richiesto dall’art. 2901 c.c. non consiste in un danno “ingiusto” in senso proprio e nemmeno coincide con il venir meno delle garanzie patrimoniali del debitore; esso è invece integrato anche dalla semplice maggiore difficoltà del creditore a soddisfare il proprio diritto (Trib. Milano sent. n.  4037/2012).
Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, il creditore risulta conseguentemente pregiudicato sia quando il patrimonio del debitore diventa incapiente, sia nell’ipotesi in cui il creditore, a seguito dell’atto di disposizione compiuto dal debitore, sia costretto ad intraprendere procedure maggiormente dispendiose, aleatorie o lunghe (così trib. Traili n. 630/2007 che si conforma, tra le altre, a Cass. n. 15880/2007). Ciò in quando l’azione revocatoria ha la funzione non solo di ricostruire la garanzia generica del patrimonio del debitore assicurata al creditore, ma anche di garantire uno stato di maggiore “fruttuosità e speditezza” dell’azione esecutiva diretta a far valere la detta garanzia; non è quindi richiesta la prova della totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma solo il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito (Cass. n. 25433/2007) e può essere sufficiente una modificazione qualitativa del patrimonio del debitore, a seguito della dismissione di cespiti immobiliari, con conversione del patrimonio in denaro o beni facilmente occultabili (Cass. n. 25490/2009, n. 2792/2002).
 
 
SCIENTIA DAMNI
 
In tema di condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, la prova del requisito della consapevolezza di arrecare il pregiudizio agli interessi dei creditori può essere fornita anche mediante presunzioni, dovendosi, tra l’altro, attribuire rilievo al grado di parentela fra il debitore e gli acquirenti (Cass. n. 2748/2005).
Per la revoca degli atti dispositivi successivi al sorgere del credito, il legislatore si “accontenta” della conoscenza, da parte del debitore, che il suo atto pregiudica il soddisfacimento delle ragioni del creditore revocante. L’onere della prova di questa conoscenza grava sul creditore; ma la prova può essere fornita anche in via presuntiva, mediante fatti gravi, precisi e concordanti. Tali elementi consentono di ritenere, ex art. 2729 c.c., che il debitore, al momento dell’atto dispositivo, non potesse non conoscere il pregiudizio che stava arrecando alle ragioni del creditore.
In tema di revocatoria, la scientia damni può essere anche provata tramite il rito sommario di cosgnizione.
 
 
RITO
 
Essendo il fondo patrimoniale un atto a titolo gratuito, il creditore è tenuto a provare l’esistenza di un rapporto di credito, la lesione generica della garanzia patrimoniale, consistente nella maggiore incertezza o difficoltà di giungere alla realizzazione del credito, e la consapevolezza, nel senso della conoscenza o conoscibilità in capo al debitore, di arrecare un pregiudizio agli interessi del creditore (Cass. n. 966/2007).
L’azione revocatoria introduce non un giudizio conservativo nello specifico significato dell’art. 2943 c.c., ma pur sempre un giudizio di cognizione preordinato all’accertamento dell’inefficacia nei confronti del creditore-attore del negozio dispositivo posto in essere dal debitore, con la conseguenza che all’atto introduttivo del giudizio deve attribuirsi efficacia interruttiva del termine di prescrizione del credito dell’attore in revocatoria (Cass. n. 5081/1994).
Poiché il creditore è legittimato ad esercitare l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. purché dimostri di avere interesse ad impedire ogni alterazione del patrimonio del debitore che possa rendere impossibile o più difficile la soddisfazione del credito, il relativo accertamento resta presupposto indefettibile di tale azione, senza che sia però necessario che il creditore proponga separata e specifica domanda per far valere il proprio credito, potendo il giudice accogliere la domanda revocatoria solo ove abbia accertato l’esistenza del credito garantito (cit. Cass. n. 5081/1994).
Una volta accolta la domanda, con sentenza anche di primo grado non passata in giudicato, l’atto costitutivo del fondo patrimoniale è inefficace nei confronti del creditore che ha promosso la revocatoria. In tale caso, il creditore-attore vittorioso può compiere tutti gli atti esecutivi e conservativi sui beni oggetto del fondo patrimoniale, senza subire gli effetti di questo.