Il dilagante fenomeno sociale rappresentato dal sempre più usuale ricorso, anche da parte del privato, ai flussi di credito di banche e finanziarie non solo per fare fronte a spese straordinarie, come l’acquisto di una casa, ma per provvedere, altresì, ai bisogni della vita quotidiana, ha reso necessaria l’adozione, pure nel nostro ordinamento, di strumenti giuridici volti a porre rimedio alle situazioni di eccessiva o anomala esposizione debitoria.
Con l’art. 18 del D.L. n. 179/2012 (Decreto Sviluppo-bis), convertito con L. n. 221/2012, il Legislatore è intervenuto, modificandolo, sul testo della L. n. 3/2012, che disciplina appunto, al capo II, le procedure di composizione della cd. crisi da sovraindebitamento.
Cosa debba intendersi con tale espressione ci viene subito chiarito dall’art. 6 della citata L. n. 3/2012, che reca la seguente definizione: “situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.
Orbene, così delineato l’ambito concreto dell’intervento legislativo, i rimedi approntati dalla normativa in esame sono quindi tre: a) l’accordo di composizione delle crisi da sovraindebitamento; b) il piano del consumatore; c) la liquidazione del patrimonio del debitore.
Vediamoli nei loro tratti essenziali.
L’art. 7, I comma, della L. n. 3/2012 stabilisce che il debitore in difficoltà, con l’ausilio di uno degli Organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento aventi sede nel circondario del Tribunale del luogo di residenza dello stesso debitore (se persona fisica e consumatore) ovvero in cui questi ha la sede principale (se  impresa non avente, però, i requisiti dimensionali per fare ricorso alle procedure concorsuali disciplinate dalla Legge Fallimentare), possa proporre un accordo di ristrutturazione dei debiti finalizzato alla loro soddisfazione.
Detto accordo dovrà essere predisposto in modo tale da assicurare il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili ex art. 545 c.p.c. (ossia crediti alimentari, per salari e stipendi, ecc.), nonché da prevedere “scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi”, indicando “le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti e le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni”.
Lo stesso art. 7, al successivo I comma-bis, sancisce, poi, che, fermo il diritto di proporre ai creditori un accordo avente le caratteristiche appena illustrate, il consumatore che si trovi nella medesima situazione di difficoltà finanziaria possa proporre, sempre con l’ausilio di un Organismo di composizione della crisi avente sede nel suindicato circondario, un piano contenente le previsioni di cui al precedente I comma, ossia il cd. piano del consumatore.
Anche in questo caso è la legge in commento a fornirci la definizione di consumatore, ossia “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.
Rispetto al loro contenuto sostanziale, si evidenzia che sia l’accordo di composizione delle crisi da sovraindebitamento che il piano del consumatore possono prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, compresa la cessione dei crediti futuri.
Con riferimento alla procedura, invece, basti in questa sede rilevare che, unitamente alla proposta di accordo o al piano del consumatore, da depositarsi presso il Tribunale del luogo di residenza o sede principale del debitore, devono essere allegati anche i seguenti documenti: 1) l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute; 2) l’elenco di tutti i beni del debitore; 3) l’elenco di eventuali atti di disposizione del patrimonio del debitore compiuti da quest’ultimo negli ultimi cinque anni; 4) le dichiarazioni dei redditi del debitore degli ultimi tre anni; 5) l’attestazione della fattibilità dell’accordo o del piano rilasciata dall’Organismo di composizione delle crisi da sovraindebitamento che assiste il debitore; 6) l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della di lui famiglia, previa indicazione del suo nucleo familiare corredata dal certificato di stato di famiglia.
In particolare, alla proposta di piano del consumatore deve essere allegata una relazione particolareggiata dell’Organismo di composizione della crisi, che deve contenere: 1) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni; 2) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte; 3) il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni; 4) l’indicazione dell’eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori; 5) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.
A quest’ultima procedura, invece, consistente nella domanda di liquidazione di tutti i propri beni, il debitore può accedere quando sia in stato di sovraindebitamento e non ricorrano le condizioni di inammissibilità di cui all’art. 7), II comma, lett. a) e b) – ossia l’intervenuto assoggettamento a procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare ed il già esperito ricorso, nei precedenti cinque anni, ai medesimi procedimenti previsti dal capo II della L. n. 3/2012 –.
Alla domanda di liquidazione del patrimonio devono, poi, essere allegati l’inventario di tutti i beni del debitore, recante specifiche indicazioni sul possesso di ciascuno degli immobili e delle cose mobili, nonché una relazione particolareggiata dell’Organismo di composizione della crisi avente il medesimo contenuto di quella, sopra esaminata, che deve prodursi unitamente al piano del consumatore.
Compiuta questa breve panoramica, è importante evidenziare che, ai fini della scelta tra i rimedi sopra illustrati percorribili in concreto, per l’omologazione dell’accordo occorre il consenso di tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti, mentre per l’omologazione del piano del consumatore non è invece richiesta l’adesione o l’approvazione dei creditori.
In quest’ultimo caso, infatti, il Giudice provvede all’omologazione “quando esclude che il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che ha colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali”.
In sostanza, l’omologazione del piano è demandata ad una valutazione giudiziale di meritevolezza del consumatore, fattibilità e convenienza della proposta.
Per ciò che attiene agli effetti del piano, va aggiunto che dalla data di sua omologazione i creditori con causa o titolo anteriore ad essa non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, né possono iniziare o proseguire azioni cautelari od acquisire diritti di prelazione sul patrimonio del debitore-consumatore che ha presentato la proposta di piano.
Il piano omologato è, inoltre, obbligatorio per tutti i creditori a partire dal momento in cui è stata eseguita la pubblicità per esso disposta dal Giudice ed i creditori con causa o titolo posteriore a questa data non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano.
Infine, a fianco a tali procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, la normativa in esame prevede un’ulteriore novità: l’esdebitazione.
Essa consiste nella possibilità per il debitore persona fisica di ottenere la cancellazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali e non soddisfatti, in modo da consentire al debitore il cd. fresh start, ossia il suo ritorno sul mercato.
Ebbene, dalla compiuta analisi dei rimedi previsti dalla L. n. 3/2012 non può non emergere, come elemento che li caratterizza profondamente e che li accomuna, il ruolo centrale rivestito dagli Organismi di composizione della crisi, che possono essere costituiti da Enti pubblici dotati di particolari requisiti di indipendenza e professionalità oppure essere personificati da un professionista o da una società tra professionisti in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28 della Legge Fallimentare per la nomina a curatore, ovvero, ancora, da un notaio, nominati dal Presidente del Tribunale o dal Giudice da lui delegato.
Infatti, detti Organismi si rivelano imprescindibili sia per l’ausilio iniziale, di natura contabile, rappresentato dalla predisposizione della proposta di accordo o di piano, sia per la fase di attestazione della validità della proposta stessa e dei documenti ad essa allegati, nonché in ordine alla sua fattibilità.
Funzioni, queste, decisamente penetranti ed estese, il cui esercizio, però, potrebbe implicare delle incertezze operative in termini di possibile conflitto di interessi con il soggetto debitore.
A ciò si aggiunga l’innegabile complessità dell’impianto normativo pensato dal Legislatore, tale da scoraggiare lo stesso debitore, soprattutto se consumatore e persona fisica e, quindi, privo di adeguati strumenti o di idonea organizzazione, dal ricorrere spontaneamente alle procedure in esso disciplinate, neppure potendosi ignorare gli impliciti effetti derivanti dalla mitigata convenienza dei rimedi, approntati dalla legge in esame, per i soggetti creditori.
A questi ultimi, infatti, come visto, si fa divieto, sino all’omologazione, di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali o azioni cautelari, nonché di acquistare diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di piano, così frustrandone, in sostanza, le ragioni di credito.


Avv. Alessandro Travaglia
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