Il Collegio di Coordinamento ABF di Roma, con la sua decisione n. 24360 del 6.11.2019 è stato chiamato a pronunciarsi sul subentro dell’erede nel rapporto di conto corrente intestato al defunto.
 Il caso sottoposto all’esame dell’Arbitro Bancario Finanziario è abbastanza comune nella prassi.
Deceduto l’unico titolare del conto corrente l’erede chiedeva alla banca il rilascio della certificazione delle attività relitte al momento del decesso (c.d. dichiarazione di sussistenza) nella quale la banca faceva presente l’esistenza di un saldo negativo e la presenza di un debito derivante da un finanziamento non ancora estinto.
L’erede decideva di accettare l’eredità col beneficio d’inventario e veniva a sapere che, dopo il decesso, sul conto corrente era stata accreditata una somma a titolo di stipendio.
Dopo circa un anno, espletate le formalità successorie e presentata la dichiarazione di successione, l’erede si recava in banca chiedendo il pagamento della suddetta somma.
La banca opponeva un diniego facendo presente che le somme rinvenute sul conto corrente bancario erano state utilizzate per il pagamento delle rate del finanziamento e per le spese di conto corrente.
L’erede adiva quindi l’ABF, lamentando il non corretto comportamento della banca.
Il caso veniva assegnato al Collegio di Coordinamento di Roma, chiamato in primo luogo a dirimere la questione controversa relativa al subentro dell’erede nel rapporto di conto corrente.
Con la decisione che si annota, il Collegio di Coordinamento ha anzitutto ricordato i due orientamenti seguiti da dottrina e giurisprudenza:
- il primo che nega il subentro dell’erede nel rapporto di conto corrente, valorizzando l’applicabilità ad esso delle norme sul mandato e, quindi, della previsione dell’estinzione del mandato conseguente al decesso del mandante. Secondo questa tesi il conto corrente si estinguerebbe in seguito al decesso dell’unico correntista / intestatario, con la conseguente illegittimità di tutti gli addebiti effettuati dalla banca su di esso;
- il secondo che ammette il subentro dell’erede nel rapporto di conto corrente, valorizzando il principio generale della trasmissibilità all’erede di tutti i contratti facenti capo al de cuius, eccettuati solo quelli caratterizzati dal c.d. intuitu personae (che, invece, si estinguono con la morte) e tra i quali non rientra il rapporto bancario.
Il Collegio di Coordinamento di Roma aderisce a questo secondo orientamento, ritenendo dunque che il contratto di conto corrente non si estingue col decesso del suo intestatario, potendo proseguire con gli eredi a cui competono i relativi diritti, tra cui quello di recedere dal contratto.
In questo caso, afferma, vengono accentuati gli obblighi di correttezza e buona fede della banca che, da un lato, deve agire per conservare l’integrità del patrimonio ereditario e, dall’altro, deve correttamente informare l’erede delle vicende relative al rapporto in essere, a suo tempo instaurato con un soggetto diverso.
Fatte queste premesse, nel decidere la vicenda sottoposta alla sua attenzione il Collegio di Coordinamento ha valorizzato il comportamento dell’erede beneficiario che, pur avendo ricevuto dalla banca le informazioni relative al rapporto di conto corrente (tra cui gli estratti conto evidenzianti gli addebiti mensili a titolo di rimborso rateale del finanziamento e le spese di gestione del conto), non è receduto dal rapporto, prestando così acquiescenza alle movimentazioni disposte dalla banca sul conto corrente caduto in successione.
Il Collegio di Coordinamento si è pronunciato, respingendola, sull’eccezione sollevata dall’erede secondo la quale, avendo accettato l’eredità col beneficio d’inventario, la banca non avrebbe potuto / dovuto utilizzare la giacenza attiva di conto corrente per il pagamento del finanziamento, essendo l’eredità “bloccata”.
Sul punto è stato ricordato che l’accettazione con beneficio di inventario permette all’erede di mantenere distinto il proprio patrimonio personale da quello del de cuius, cosicché i creditori di quest’ultimo possano soddisfarsi solo su di esso; poiché era pacifico che l’importo accreditato sul conto corrente bancario perteneva al de cuius a titolo di stipendio, il suo utilizzo per il pagamento dei debiti ereditari veniva considerato del tutto legittimo.
Non veniva dunque ravvisata alcuna censura nella condotta della banca che, anzi, consentendo il pagamento regolare del finanziamento aveva anche evitato la produzione di interessi moratori che avrebbero aggravato l’esposizione debitoria.
Per tali ragioni il ricorso è stato respinto.