Il morto giace e i vivi si dan pace!". E' un rassegnato, ma realista aforisma, suggerito dalla saggezza popolare. Qualcuno ha pensato invece di chiudere la frase con un più cinico "… e i vivi litigano". Accade più spesso di quanto non si pensi, anche perché le norme che regolano le successioni a causa di morte sono molte e tutta la materia è piuttosto complessa (è sviluppata in oltre 250 articoli del codice civile, senza contare le leggi speciali e quelle tributarie in materia).
 

Cominciamo a parlare dell'apertura della successione. Questa si apre, cioè ha il suo inizio, al momento della morte della persona e nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto. In gergo tecnico, la persona viene definita con l'espressione latina "de cuius".
 

Dunque, l'apertura della successione comporta per gli eredi aventi diritto la possibilità di acquisto dell'eredità.
 

In cosa consiste effettivamente l'eredità? E' il trasferimento agli eredi dell'intero patrimonio del de cuius: cioè del complesso di beni, diritti e obblighi che già facevano capo al defunto ed ora, necessariamente, devono essere trasferiti ad una o più persone ancora in vita. Questi soggetti potenziali eredi  vengono definiti chiamati all'eredità, il patrimonio da trasferire è detto asse ereditario.

Tale complesso, poiché in esso sono compresi anche gli obblighi (obbligazioni) che il defunto aveva contratto nella sua vita e non ancora estinti all'atto della sua morte, può anche risultare in passivo, ovverossia può accadere che il valore dei beni del de cuius, sommato ai crediti e dagli altri diritti patrimoniali di cui lo stesso era titolare al momento della sua morte, può risultare inferiore ai debiti dallo stesso accumulati ed insoluti.
 

Per questo motivo, il codice civile stabilisce che, all'apertura della successione, la trasmissione dell'eredità non sia automatica, ma sia soggetta ad un ulteriore atto da parte dei soggetti chiamati all'eredità. Questo atto è l'accettazione, cioè la dichiarazione che ciascun erede fa  di essere disposto ad acquisire la sua quota di eredità. Solo con l'accettazione ogni chiamato all'eredità diviene erede a tutti gli effetti.
 

L'accettazione può essere formulata  in maniera espressa o tacita. L'accettazione è espressa quando, in un atto pubblico (cioè redatto da un notaio) o in una scrittura privata, il chiamato all'eredità dichiara di accettarla o si qualifica come erede. L'accettazione tacita si ha quando il chiamato all'eredità, che non abbia espressamente accettato, dispone della stessa, compiendo un atto che non avrebbe il diritto di compiere, se non nella qualità di erede: per esempio vendere un immobile che fa parte dell'asse ereditario, incassare un credito che il de cuius vantava nei confronti di un suo debitore. In quel momento, il soggetto diviene erede a tutti gli effetti.
 

Da rilevare è che l'erede non può accettare solo parzialmente l'eredità, non può sottoporre ad una condizione o ad un termine la sua accettazione; dunque non potrà accettare solo l'attivo dell'eredità, né accettare a condizione che accada un determinato evento o con effetto dal momento in cui quell'evento accadrà.
 

E' prevista anche, al contrario, la possibilità della rinuncia all'eredità, che l'erede può esercitare soltanto in maniera formale, davanti al notaio o al cancelliere, come indicato per l'accettazione. Anche in questo caso l'erede non può rinunziare solo ad una parte dell'eredità, né sottoporre a condizione o a termine la propria rinuncia.

Il diritto di accettare l'eredità si prescrive in dieci anni.