Il biotestamento o “testamento biologico”  è un’espressione della parola “testamento”, quest’ultimo riferito alla scrittura delle proprie volontà relativamente alla divisione tra gli eredi dei propri beni materiali, ed esprime la volontà della persona malata, quando è ancora senziente, di essere sottoposta a trattamenti terapeutici che accetterebbe se colpita da malattie invalidanti o irreversibili, come una lesione cerebrale da cui non potrà mai più riprendersi e la conseguente costrizione a dipendere da macchine per la respirazione o altre funzioni fondamentali alla vita.
La nascita e l’approvazione di tale legge è stata avversata per le più disparate ragioni: dalle questioni di tipo etico – religioso, ai richiami sui doveri deontologici del medico, al principio che la vita debba essere salvaguardata a ogni costo e non possano essere ammissibili disposizioni del proprio corpo con finalità suicide.  La norma di cui all’art. 5 c.c. prevede, infatti, che gli atti di disposizione del proprio corpo siano vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume, consentendo deroghe con il solo consenso informato del paziente, come, ad esempio, nel caso di trapianto di organi, interventi terapeutici e il divieto di accanimento terapeutico.
Il dibattito che ha preceduto l’approvazione del disegno di legge, in realtà, ha messo in luce proprio questa sostanziale differenza tra eutanasia vera e propria che si ha quando la morte si provoca con un intervento attivo e diretto e la c.d. eutanasia passiva, ovvero l’autodeterminazione e la scelta del malato di sospendere le cure per la sua sopravvivenza e di ricevere assistenza per alleviare le sue sofferenze che allungherebbero solo la sua agonia, nel rispetto del consenso informato.
Quest’ultimo principio rappresenta uno dei punti chiave della legge che ha condotto alla sua approvazione, ovvero la volontà messa per iscritto del paziente di scegliere e condividere le cure prospettategli e, in caso, di sopravvenuta incapacità di intendere e volere per malattia invalidante, l’accordo che potrà essere eseguito da familiari o persone di fiducia con il medico curante. Il consenso informato sarà espressione anche della consapevolezza  del paziente, nel caso rifiutasse le cure, riguardo le conseguenze della sua scelta e mai potrà assumere il significato di suicidio assistito.
Si tratta, infatti, come chiarisce la stessa legge di dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT)  da redigersi per atto pubblico o scrittura privata autenticata per cui un malato esprime la propria volontà in materia di sottoposizione o meno a trattamenti sanitari, potendo delegare anche un fiduciario, in previsione di una futura incapacità di autodeterminarsi. 
Particolari disposizioni sono previste per i minori, la cui decisione sarà affidata al genitore o tutore e anche nei casi di persone interdette o persone soggette all’amministrazione di sostegno, laddove la decisione del tutore o amministratore di sostegno deve, comunque, rispettare la volontà del beneficiario, laddove sia possibile sentirlo.
Accolta e applaudita, dunque, da più parti come una vera e propria libertà a morire, in realtà le DAT possono anche essere disattese quando esse siano palesemente inopportune per lo stato psicofisico del paziente oppure possano essere offerte, in concreto, terapie di cura migliorative non prevedibili al momento della sottoscrizione delle dichiarazioni medesime.