Nel nostro ordinamento la successione trova la sua fonte di regolamento, ai sensi del primo comma dell’art. 457 c.c., nella legge (successione legittima) o nella volontà  del testatore (successione testamentaria).

Il secondo comma del suddetto articolo precisa che “non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria”: da ciò si deduce che è presente un favor del legislatore per la volontà  del testatore, considerata fonte primaria di regolamentazione della materia successoria e che ci permette di sostenere che la successione legittima ha natura suppletiva, tesi sostenuta pure dalla giurisprudenza dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 28 ottobre 1974 n. 3220, nella quale si afferma che “il titolo primario della delazione ereditaria è il testamento, rispetto al quale la successione legittima opera solo in via suppletiva e quella c.d. necessaria in via correttiva, subordinata all’iniziativa del riservatario preterito”.

Accennato all’importanza che riveste il testamento nel nostro ordinamento, è importante stabilire che cosa si intenda per testamento; l’art. 587 c.c. contiene la definizione di testamento:

“il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà  cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse”.

L’art. 588 c.c. precisa che “le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità  di erede, se comprendono l’universalità  o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità  di legatario”.

Dunque il testamento è l’atto di ultima volontà  con il quale il testatore dispone di tutte le proprie sostanze o anche solo di parte di esse per il tempo successivo alla data della sua morte; il testatore può a seconda del tenore delle proprie disposizione investire i soggetti considerati nel testamento della qualità  di erede o di legatario.

Precisa la norma che è erede il soggetto al quale il testatore ha devoluto l’universalità  dei suoi beni o anche una quota dei suoi beni, a prescindere dall’espressione o dalla denominazione usata dal testatore per effettuare la disposizione: in altri termini se il testatore dice di istituire legatario di tutti i suoi beni suo figlio, il figlio non assumerà  la qualifica di legatario, ma quella di erede, perchè ha valore il contenuto della disposizione fatta dal testatore e non la denominazione che di essa il testatore abbia dato.

Il legatario, parafrasando la norma, è invece il soggetto al quale il testatore non ha attribuito tutti i suoi beni o una quota di essi, ma un bene particolare.

Delineata la differenza fra erede e legatario sotto il profilo sostanziale, possiamo affrontare la tematica dell’institutio ex re certa.

Dice testualmente il secondo e ultimo comma dell’art. 588 che:

“l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio”.

Siamo di fronte ad una disposizione che lascia ampio margine all’interprete, e che più di una volta ha suscitato l’interesse della dottrina ed è stata, nella pratica, fautrice di numerose controversie giudiziarie di natura successoria.

Infatti, il legislatore, dopo aver statuito che la qualità  di erede si assume se la disposizione testamentaria comprende l’universalità  o una quota dei beni del testatore,senza aver riguardo alla denominazione usata dallo stesso (c.d. criterio oggettivo), subito dopo aggiunge che anche l’attribuzione di beni determinati o di un complesso di beni può costituire un istituzione di erede, se risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio (c.d. criterio soggettivo).

La norma costituisce un’innovazione rispetto al codice precedente ed ha avuto lo scopo di tentare di risolvere una vecchia questione relativa al concetto di quota.

Parte della dottrina sosteneva che per l’istituzione di erede la quota doveva essere indicata in una determinazione numerica (la metà , un terzo, ecc., così come avviene nella divisione fatta dal testatore); altra parte della dottrina riteneva invece che fosse sufficiente la considerazione dei beni come quota del patrimonio, potendo la determinazione aritmetica venir fatta anche a posteriori, dopo l’apertura della successione.

A questa seconda opinione, seguita anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (v. Cass. 9 gennaio 1929), ha aderito il legislatore del 1942 con l’art. 588 comma secondo.

Così, ad esempio, se Tizio lascia a Primo tutti i suoi beni mobili e a Secondo tutti i suoi beni immobili, entrambi non saranno legatari, ma eredi nelle quote che risulteranno all’apertura della successione, dopo la valutazione di tutti i beni mobili da un lato e di tutti i beni immobili dall’altro (c.d. valutazione ex post delle quote ereditarie, elemento caratterizzante dell’institutio e fondamentale per differenziare quest’istituto dalla divisione fatta dal testatore contemplata dall’art. 734 c.c.).

In giurisprudenza la Cassazione ha stabilito che “in materia di distinzione tra erede e legatario, l’assegnazione di beni determinati deve interpretarsi, ai sensi dell’art.588 c.c., come disposizione ereditaria (institutio ex re certa), qualora il testatore abbia inteso chiamare l’instituito nell’universalità  dei beni o in una parte indeterminata di essi, considerata in funzione di quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato, se abbia voluto attribuirgli singoli individuati beni.

L’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi, si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito, ed è, quindi, incensurabile in sede di legittimità  se conseguentemente motivato”. (Cass. 1 marzo 2002 n.3016).

Ed ancora in tema di interpretazione della volontà  del testatore: “al fine di stabilire se l’attribuzione di dati beni configuri istituzione di eredità  o legato, valgono le regole ermeneutiche dettate dagli artt. 1362 e seguenti c.c. ma con gli opportuni adattamenti implicati dalla natura unilaterale (non recettizia) del negozio mortis causa, che comporta l’esigenza di una più penetrante ricerca della volontà  del testatore, in base ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria e solo in via sussidiaria (ove cioè dal testo negoziale non emerga con certezza l’effettiva intenzione del de cuius) con ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore (quali, ad esempio, la sua mentalità , cultura, consuetudine di rapporti,ecc.)”. (Cass. 7 febbraio 1987 n. 1266).

Nella pratica, l’istituto in esame assume estrema rilevanza in presenza di una successione regolata da un testamento olografo:

infatti è proprio in presenza della scheda testamentaria redatta in privato dal testatore, la maggior parte delle volte privo di una conoscenza tecnica del diritto, che si assiste ad una controversia giudiziaria dei soggetti considerati nel testamento che molte volte verte proprio sulla natura (legato o istituzione di erede) delle disposizioni fatte dal testatore, ed è proprio in questi casi che opera il criterio soggettivo previsto dall’art. 588 c.c. e che l’esatta qualificazione dell’institutio ex re certa assume grande rilevanza per una corretta risoluzione della controversia