Si può affermare con certezza che unico atto patrimoniale a causa di morte sia per il nostro diritto positivo il testamento.
La nozione dell’istituto è data dall’art. 587 c.c.
il quale sancisce che:
“il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse.
Le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale”.
Bisogna anzitutto chiedersi quale natura giuridica abbia il testamento e più precisamente se possa qualificarsi come negozio giuridico.
 
I TESI – Un autorevole teoria (LIPARI) ha negato al testamento natura negoziale, osservando che in esso manca la funzione tipica degli atti negoziali, che è quella di creare, modificare o estinguere un rapporto giuridico (art. 1321 c.c.).
Il rapporto successorio nascerebbe, in altri termini, indipendentemente dal testamento che servirebbe, pertanto, solo ad imprimere una certa direzione alla vocazione, a designare i destinatari di questa e a determinare quantitativamente il suo oggetto, senza fungere da titolo della successione, la cui unica fonte di vocazione sarebbe la legge.
Si afferma che nel testamento mancherebbe la corrispondenza tra contenuto dell’atto, in rapporto alla direzione volitiva del soggetto e misura dell’effetto, corrispondenza che rappresenta il “dato qualificante del modo di operare della negozialità”.
Basterebbe il richiamo alla rappresentazione (art. 467, 2° comma), nel caso di successione testamentaria, per chiarire come possono verificarsi effetti non corrispondenti alla volontà dell’autore del testamento.
In contrario, è stato in primo luogo rilevato che l’intervento esterno dell’ordinamento in ordine alla regola predisposta dal privato non rappresenta un fatto eccezionale, trattandosi, si ripete, di una reazione comune dell’ordinamento stesso di fronte di fronte ad atti di autonomia privata, che non per questo cessano di essere tali.
Ulteriore argomento può trarsi dal capoverso dell’art. 457, il quale, facendo comunque salva la diversa volontà del testatore, afferma la prevalenza e la preminenza della successione testamentaria rispetto a quella legittima.

II TESI
–  Altra dottrina (BIGLIAZZI-GERI), pur ammettendo astrattamente la natura negoziale del testamento, nega che esso sia un atto di autonomia privata, sottolineando la differenza esistente tra questo e il contratto.
Essa afferma che vero è che è sempre la volontà dell’autore a volere gli effetti del testamento e da ciò deriva la sua natura negoziale, ma è profondamente diverso l’ambito in cui la volontà si esplica nel contratto e nel testamento:
il primo, infatti, è fonte creatrice e regolatrice di relazioni fra soggetti, mentre il secondo non crea alcun rapporto, in quanto fonte della delazione è solo la legge, ma si limita ad indirizzare una situazione giuridica predeterminata muovendosi, cioè, nel solco già tracciato dalla norma.
Coerentemente questa teoria nega che il principio dell’autonomia privata previsto per i contratti possa essere applicato al testamento.
Si è osservato in contrario che la previsione legislativa di limiti alla volontà del testatore non è sufficiente per negare al testamento la qualifica negoziale, perché anche nel campo dei negozi fra vivi e, più specificatamente, dei contratti, l’ordinamento giuridico prevede “effetti legali” che prescindono da una reale direzione volitiva.
Si aggiunge, altresì, che il testamento non interviene soltanto ad indirizzare un rapporto già tracciato dalla legge, ma crea esso stesso quel rapporto, dando luogo ad una vicenda successoria altrimenti non realizzabile in quei termini, allo stesso tempo determinandone il contenuto e lo svolgimento, attraverso l’individuazione del destinatario, la specificazione qualitativa e quantitativa dell’oggetto, la possibilità di riempire variamente lo schema adottato.
In altri termini quando c’è un testamento, è la volontà del testatore che regola la successione, sia pure nei limiti consentiti dalla legge, conformemente a quanto avviene per ogni manifestazione dell’autonomia privata.

III TESI (prevalente)
–  La dottrina prevalente (CICU, BIANCA) afferma la natura negoziale del testamento, anch’esso espressione dell’autonomia privata.
Anzi, si rileva che il requisito della volontà ha maggiore considerazione in materia testamentaria piuttosto che negli atti negoziali tra vivi, come risulta da una serie di norme dirette a garantire la libera formazione della volontà del testatore (v. artt. 458, 589, 631 c.c.).
La norma forse più emblematica della tesi sopra esposta è rinvenibile nell’art. 590 che, in deroga all’art. 1423, dettato per i contratti, prevede la conferma di disposizioni affette da nullità (il fondamento di tale eccezione sta nel fatto che il legislatore cerca di rispettare la volontà del de cuius e di permetterne l’esecuzione, nonostante l’invalidità del negozio di disposizione, considerato che l’atto non può essere rinnovato dal suo autore).

Si esclude l’applicabilità diretta diretta del II comma dell’art. 1322, perché, com’è pacifico, il testamento è l’unico negozio giuridico attributivo di beni a causa di morte, com’è confermato dall’art. 458 che non ammette i patti successori istitutivi.
Si è invece affermata l’applicabilità diretta il 1° comma dell’art. 1322, nel senso che il testatore potrebbe liberamente determinare il contenuto del testamento nei limiti imposti dalla legge, vale a dire nei limiti imposti dal 1° comma dell’art. 587 c.c.
Attraverso l’applicazione analogica (non diretta) dell’art. 1322, 1° e 2° comma al negozio testamentario, sarebbe invece consentito al testatore di disporre nel modo più vario dei propri beni post mortem.
Altra dottrina (BONILINI) osserva, tuttavia, come in realtà l’art. 1322, c.c., sia inapplicabile al testamento, non solo in via diretta, ma nemmeno mediante il ricorso ad un procedimento analogico.
La ratio di tale esclusione risiede, secondo l’Autore, non tanto nella circostanza per cui trattandosi di norma dettata in materia contrattuale non è riferibile al negozio testamentario, per la limitazione di cui all’art. 1324 ai soli negozi unilaterali tra vivi, quanto nell’esistenza nel nostro ordinamento del principio (non codificato) di sottrazione del testamento alla normativa generale sul contratto.
La libertà del testatore, in altri termini, potrebbe spaziare in modo “singolarmente ampio”, scevra da verifiche in ordine all’intenzione  e allo scopo del disponente da parte del legislatore.
L’unico limite a tale autonomia sarebbe da ricercarsi nella liceità del motivo, mentre l’ordinamento resterebbe indifferente di fronte  a disposizioni dal contenuto futile o stravaganti.
Il giudizio di liceità, e quindi di meritevolezza degli interessi dei privati, verrebbe in queste ipotesi effettuato a priori dal legislatore con riguardo alle disposizioni che in concreto possono essere inserite in un testamento.
Dubbi restano per ciò che concerne l’ammissibilità di clausole testamentarie atipiche.
Ove si volesse accogliere la teoria del Bonilini, bisognerebbe senza dubbio ritenere che al di là dei limiti imposti a tutela dell’intagibilità della quota di legittima, del divieto dei patti successori e del fedecommesso, sia consentito al testatore inserire nel testamento disposizioni atipiche di qualsiasi natura, purchè lecite.
Si discute in dottrina se nelle disposizioni non riconducibili ai tipi legislativi, sia possibile annoverare anche le c.d. “disposizioni negative”, quelle cioè che, anziché essere attributive di diritti, si caratterizzano per l’imposizione di divieti espressi da parte del testatore o per la negazione di possibilità: si pensi al divieto di alienazione o di concorrenza.
La risposta è sicuramente positiva e l’unico limite è costituito da un eventuale loro illiceità.
 
QUALIFICAZIONE

Accolta la tesi della natura negoziale del testamento, possiamo indicare i caratteri di detto negozio:

1)    il testamento è un negozio giuridico unilaterale (l’accettazione del chiamato all’eredità è un negozio autonomo, e a differenza di ciò che avviene nel contratto, non si pone come risposta ad una proposta, ma semplicemente come esercizio del diritto a far propri gli effetti successori; la forma contrattuale di negozio testamentario non è consentita nel nostro ordinamento in quanto integrerebbe un patto successorio istitutivo vietato ai sensi dell’art. 458 c.c.) a causa di morte (viene definito a causa di morte il negozio la cui funzione consiste nella determinazione della sorte dei rapporti patrimoniali in dipendenza della morte dell’autore; il suo tratto saliente ed elemento rivelatore è individuato dalla dottrina nell’assoluta inefficacia nei confronti dei terzi prima che si verifichi l’evento morte: unico negozio a causa di morte per il nostro diritto positivo è il negozio testamentario. Bisogna però segnalare che la dottrina più moderna ha individuato negozi a causa di morte non testamentari, ma a struttura inter vivos – quindi irrevocabili – e precisamente la dispensa dall’imputazione per l’esercizio dell’azione di riduzione ex art. 564 2° comma c.c. e la dispensa dalla collazione ex art. 737 c.c.).
2)    Il testamento è un negozio giuridico non recettizio: ciò implica che l’efficacia del negozio a causa di morte non è subordinata ad alcun onere di comunicazione a terzi (il chiamato all’eredità ed il legatario acquistano quindi i rispettivi diritti – il diritto di accettare l’eredità per il chiamato e l’acquisto dll’oggetto del legato per il legatario –  anche se nessuna notizia abbiano avuto del testamento e del suo contenuto).
3)    Il testamento è un negozio giuridico formale: il testamento è uno di quei casi per i quali il nostro ordinamento prescrive una forma vincolata ad substantiam, nel senso che la volontà del disponente, per conseguire l’effetto di regolare i rapporti per il tempo successivo alla morte, è vincolata a servirsi di una delle forme previste dagli artt .601 ss. (testamento olografo, testamento pubblico, testamento segreto e solo in alcuni casi eccezionali testamento speciale).
4)    Il testamento è un negozio giuridico revocabile: l’art. 587, 1° comma, sancisce espressamente la revocabilità del testamento, mediante la quale si è voluta assicurare la piena libertà del testatore in ordine alla regolamentazione post mortem dei propri interessi sino all’ultimo istante della propria vita, principio ribadito nell’art. 679 c.c., in cui è sancito il divieto di rinunzia alla facoltà di revoca delle disposizioni testamentarie.
5)    Il testamento è un negozio personalissimo: può cioè essere compiuto soltanto dal soggetto interessato con esclusione di qualsiasi forma di rappresentanza della volontà o finanche solo della sua manifestazione. Il carattere della personalità trova delle eccezioni in quelle disposizioni che prevedono la possibilità per il testatore di rimettere, in tutto o in parte, la determinazione volitiva ad un terzo (si pensi ad alcuni legati il cui contenuto è possibile sia determinato dalla volontà di un terzo).
6)    Il testamento è negozio unipersonale: tale definizione va al di là di quella di negozio unilaterale e sta ad indicare non solo la provenienza da un unico centro di interessi, ma altresì che lo stesso è composto da un solo soggetto. Tale carattere è riportato all’esigenza di salvaguardare l’assoluta spontaneità della determinazione volitiva del testatore con la connessa facoltà di revoca (è infatti vietato dall’art. 589 c.c. il testamento reciproco, congiuntivo o collettivo)
7)    Il testamento è un negozio a titolo gratutito: realizza cioè sempre un attribuzione senza corrispettivo, ma non è sempre una liberalità, in quanto da esso può non discendere un arricchimento del beneficiario della disposizione (si pensi ad un’eredità oberata da debiti).
8)    Il testamento è un negozio patrimoniale: ciò risulta dal disposto del 1° comma dell’art. 587 c.c. in precedenza citato , secondo il quale il testamento è l’atto “con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere,  di tutte le proprie sostanze o di parte di esse” (I negozi a causa di morte sono costituiti prevalentemente, ma non esclusivamente, dall’istituzione di erede e dal legato). Bisogna precisare poi che non costituiscono un’eccezione al principio della patrimonialità quelle disposizioni di carattere non patrimoniale previste dal 2° comma dell’art. 587 perché esse costituiscono atti post mortem e non negozi a causa di morte.

Contenuto tipico, contenuto atipico del testamento e atti post mortem

Ai sensi del 2° comma dell’art. 587, le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la  legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale.
Queste disposizioni non patrimoniali, come si diceva, vengono meglio indicate come atti post mortem.
A tal proposito si distingue il testamento sostanziale dal testamento formale: ricorre il primo quando taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse (art. 587, 1° comma); ricorre il secondo quando l’atto, pur rivestendo la forma del testamento, contiene disposizioni di carattere non patrimoniali (art. 587, 2° comma) che hanno la più varia natura.
In altri termini, il 1° comma dell’articolo in questione prevede il contenuto tipico del testamento (e solo in questo va ravvisato il negozio-testamento vero e proprio); il 2° comma dell’articolo de quo contempla invece il c.d. contenuto atipico del testamento, ovvero i vari negozi con causa propria che vengono in relazione con il testamento solo dal punto di vista formale (sono, cioè, in rapporto di contenuto-contenitore).
Fanno parte del contenuto tipico l’istituzione di erede, il legato e le disposizioni accessorie o complementari ad esse quali:
- la condizione, il termine e l’onere;
- la costituzione testamentaria del fondo patrimoniale (art. 167), di servitù prediale (art. 1058), di rendita perpetua (art. 1869) o vitalizia (art. 1872) che costituiscono legati;
- il legato di debito che è pur sempre un attribuzione mortis causa, sia pure solvendi causa;
- la clausola penale sia essa configurata come disposizione a favore di un terzo e in danno dell’istituito, a titolo di pena per l’inadempimento di un onere o di una condizione potestativa, sia essa configurata come clausola di decadenza del lascito per le più varie ipotesi;
- la disposizione che impedisce l’accrescimento fra coeredi (art. 674, 3° comma) o tra collegatari (art. 675), poiché essa produce effetti di tipo patrimoniale attribuendo la quota rimasta vacante ai successibili ex lege;
- la dispensa di collazione contenuta nel testamento (art. 737), sempre per il suo contenuto patrimoniale;
-  la clausola che muta il modo di ridurre le disposizioni testamentarie (art.558); la divisione fatta dal testatore (art. 734); le norme date dal testatore per la divisione (art. 733); la  disposizione per la ripartizione dei debiti tra gli eredi (art. 752); la disposizione che la divisione si effettui secondo la stima di un terzo designato dal testatore (art. 733 2° comma); la sospensione del diritto dei coeredi di domandare la divisione per un certo periodo di tempo (art. 713 2° e 3° comma). Sono le suddette disposizioni complementari alle disposizioni di contenuto patrimoniale e vanno annoverate tra il contenuto tipico;
- la disposizione con la quale si esclude la costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia (art. 1062, 2° comma);
- la disposizione prevista dall’art. 2565, 3° comma che impedisce il trasferimento della ditta in favore del successore dell’azienda (poiché il primo comma del 2565 esclude che ditta ed azienda possano essere trasferiti a soggetti diversi, la disposizione de quo non può configurarsi se non come divieto dell’uso della ditta al successore nella titolarità dell’azienda, riconducibile nella categorie delle clausole modali o condizionali di non fare a carico dell’istituito);
- la nomina dell’esecutore testamentario (art. 700);
- la nomina del terzo arbitratore per la scelta della persona del legatario (art. 631) o per la determinazione dell’oggetto o della quantità del legato (art. 632);  
- la designazione del terzo incaricato di formare il progetto di divisione fra i coeredi (art. 733, 2° comma);
- la nomina del curatore speciale per l’amministrazione dei beni lasciati (art. 356).  
Rientrano invece tra le disposizioni atipiche:
- l’atto costitutivo della fondazione (art. 14)
- il riconoscimento del figlio naturale (art. 254);
- la dichiarazione della volontà di legittimare un figlio naturale (art. 254, 2° comma e 285);
- la designazione del tutore o del protutore del minore (art. 348, 1° comma seconda parte, 355 e 345, 1° comma);
- la designazione del tutore dell’interdetto o del curatore dell’inabilitando (art. 424 ultimo comma);
- la dichiarazione espressa di riabilitazione dell’indegno a succedere (art. 466, 1° comma);
- la revoca del benefizio nel contratto a favore di terzi con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante (art. 1412);
- la designazione del beneficiario del contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo 1920, 2° comma, che costituisce eccezione al divieto dei patti successori) e la revoca di tale designazione;
- la confessione (art. 2735);
- la disposizione sulla cremazione del cadavere (art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 – Approvazione regolamento di polizia mortuaria).
 Queste ultime disposizioni utilizzano il testamento solo come veicolo emissivo e si tratta, di atti con causa propria e quasi sempre non di negozi giuridici, ma di atti giuridici in senso stretto.
Si sarebbe addirittura tentati di inquadrarli negli atti tra vivi, perché il “veicolo” non dovrebbe essere sufficiente a far mutare la loro natura, ma, come è stato osservato, anche questi sono atti post mortem, perché non hanno alcuna rilevanza per i terzi prima del momento della morte del testatore.

Bisogna ora precisare che una parte della dottrina interpreta il 2° comma dell’art. 587 nel senso che le disposizioni testamentarie atipiche (cioè quelle disposizioni prive del carattere della patrimonialità) acquistano efficacia giuridica solo se la legge consente che esse siano compiute nella forma testamentaria e ciò sia nel caso in cui il testamento nel quale sono inserite abbia un contenuto patrimoniale, sia nel caso in cui non lo abbia; per quanto riguarda invece quelle disposizioni che la legge non stabilisca potersi compiere a mezzo di testamento, deve escludersi che esse acquistino efficacia giuridica: in altre parole tale dottrina esaurisce il novero delle disposizioni atipiche in quelle previste nominativamente dalla legge (AZZARITI-MARTINEZ).
Al contrario l’interpretazione della dottrina prevalente (BONILINI, CICU, GIMPICCOLO) arriva al risultato di ritenere ammissibili anche disposizioni atipiche non espressamente previste dalla legge, attraverso una lettura del 2° comma dell’art. 587 come norma “permissiva” diretta a riconoscere efficacia a quelle disposizioni di carattere non patrimoniale che la legge consunte siano contenute in un testamento anche quando l’atto che le contiene sia un testamento solo in senso formale e non in senso sostanziale, mancando le disposizioni di carattere patrimoniale previste dal 1° comma dell’art. 587 che sole conferirebbero all’atto natura di testamento in senso proprio.
La formulazione del capoverso dell’art. 587 c.c. pertanto non può essere argomentazione per sostenere l’invalidità, ove siano inserite in un testamento, di dichiarazioni atipiche per le quali la legge non richiede una forma vincolata o comunque non richieda la forma testamentaria.
Si aggiunge inoltre che l’eventuale nullità del testamento non inciderebbe sulla validità delle disposizioni non patrimoniali contenute nella scheda testamentaria (BIGLIAZZI-GERI).
Infine affinché tali disposizioni siano effettivamente osservate, la dottrina suggerisce di imporle sotto forma di condizione o modus (BONILINI).
A titolo meramente esemplificativo possono indicarsi come disposizioni atipiche non previste dalla legge:
- le disposizioni sul funerale e sulla disposizione del cadavere per le quali non è imposta una forma particolare, a meno che non si tratti di cremazione, vista la regolamentazione di detta disposizione da parte del regolamento di polizia mortuaria p.c.;
- le disposizioni sulla pubblicità post mortem dell’opera dell’ingegno, circa la sorte della corrispondenza, epistolari e memorie del defunto, sulla riproduzione e messa in commercio del ritratto dopo la morte della persona cui appartiene;
- la dichiarazione con cui il genitore che per ultimo esercita la potestà esclude una persona dall’ufficio di tutore o protutore dei propri figli minori;
- la revoca della fondazione;
- dichiarazione di scienza;
- dichiarazione avente ad oggetto la destinazione post mortem di organi al trapianto.
Conviene ricordare poi che altre disposizioni atipiche sarebbero implicite nella stessa disposizione testamentaria tipica: si fa l’esempio del legato di eredità non ancora accettata in cui è implicita l’accettazione dell’eredità.
La dottrina ha inoltre individuato la categoria delle disposizioni testamentarie atipiche implicite in altre disposizioni testamentarie atipiche: ad es. in una quietanza espressa in forma testamentaria può essere implicita la ratifica del pagamento effettuato al non legittimato a riceverlo, così come nella dichiarazione di esclusione di un terzo dall’ufficio di tutore ai sensi dell’art. 350 n .2 è implicita la revoca della precedente designazione della stessa persona al medesimo ufficio.
La tesi dominante è fondata sul principio dell’autonomia testamentaria e quindi della libertà del testatore di testare nel modo più libero possibile sempre nel rispetto di norme imperative, dell’ordine pubblico e del buon costume.



Avv. Antonello Tamborrino
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