Sommario: 1. La decisione; 2. Il contrasto giurisprudenziale, in particolare Cass. Civ. Sez. III, 23 gennaio 2014 n. 1361; 3. Conlusioni.
1. La decisione.
La Sentenza n. 15350 del 22 luglio 2015 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite conferma la non risarcibilità del danno da perdita della vita o danno c.d. “tanatologico”.
Lo scorso 22 luglio è arrivata la tanto attesa pronuncia delle Sezioni Unite, con la quale esse negano il risarcimento di questa tipologia di danno a favore degli eredi, poichè a loro parere, “non sussistono valide ragioni per discostarsi dai precedenti orientamenti condivisi dalle corti superiori”.
Le Sezioni Unite argomentano la decisione sul presupposto che nel nostro ordinamento il risarcimento del danno non risponde ad una logica punitiva, bensì risarcitoria, con la conseguenza che esso non può essere quindi liquidato ad un soggetto che non esiste più sul piano del diritto a causa della perdita della soggettività giuridica.
Secondo questa pronuncia, non è ostativa al risarcimento di tale tipo di danno la sola mancanza del soggetto sul piano giuridico, ma anche l’esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie che finirebbero con il far conseguire più denaro ai congiunti.
Essi tra l’altro sono già  titolari iure proprio del diritto al risarcimento del danno da lesione del rapporto di parentela, qualora intrattenessero delle relazioni familiari giuridicamente apprezzabili con la vittima.
Le Sezioni Unite, al contrario, ribadiscono con la decisione de qua la risarcibilità del danno da lesione del bene  vita in capo al defunto, qualora la morte consegua dopo un apprezzabile lasso di tempo (c.d. danno catastrofale).
In tal caso il diritto al risarcimento è trasmesso mortis causa agli eredi.
2. Il contrasto giurisprudenziale, in particolare Cass. Cic. sez III, 23 gennaio 2014 n. 1361.
La Sentenza in commento era da tempo attesa a seguito di un contrasto giurisprudenziale registratosi sul tema.
La Corte di Cassazione  aveva infatti rimesso la questione alle Sezioni Unite con ordinanza n. 5056 del 4 marzo 2014.
L’orientamento tradizionale, confermato dalla Sentenza della Cassazione Civile a Sezioni Unite n. 26972 del 2008, sosteneva che in caso di morte immediata, non potesse essere riconosciuta la risarcibilità del danno tanatologico, potendo essere risarcito solo il c.d. danno catastrofale, nel caso in cui la morte fosse giunta dopo un apprezzabile lasso di tempo rimanendo il soggetto lucido in consapevole attesa della propria fine.
Tuttavia, questo orientamento maggioritario, era stato messo in discussione dalla Sentenza della Cassazione n. 1361 del 23 gennaio 2014, la quale ha statuito, contrariamente al pensiero maggioritario, che fosse risarcibile anche il danno da perdita della vita (c.d. tanatologico).
In questa sentenza, la Corte spiegava come il bene giuridico vita non potesse essere lasciato privo di tutela sul piano civile, “poichè il diritto alla vita è altro e diverso dal diritto alla salute, così che la sua risarcibilità costituisce realtà ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità dei soli danni conseguenza”.
In particolare, veniva affermato che il danno tanatologico costituisse danno non patrimoniale, poichè il bene della vita quale bene supremo dell’individuo, era oggetto di diritto assoluto ed inviolabile, e il suo ristoro aveva funzione compensativa.
La decisione ha senza dubbio avuto il pregio di non lasciare privo di tutela un valore di rango costituzionale come il bene giuridico vita, ma secondo l’orientamento tradizionale, ciò non era condizione sufficiente per riconoscere la sua risarcibilità.
A sostegno di tale ultima tesi veniva sottolineato che esso  ricevesse già un’apposita tutela in ambito penale.
Una famosa pronuncia della Corte Costituzionale (Corte Cost. 27 ottobre 1994 n. 372) ha negato la risarcibilità del danno da perdita della vita, argomentando che il risarcimento avesse la finalità di ristorare le conseguenze lesive di un vulnus, con il risultato che in caso di morte immediata  queste ultime non si potessero delineare.
Secondo la Corte Costituzionale, la morte non costituirebbe  la massima offesa al bene giuridico salute, pertanto e le sue conseguenze non sarebbero risarcibili ex articolo 2059 del Codice Civile.
3. Conclusioni.
La tanto attesa Sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha dunque confermato l’impostazione tradizionale che nega la risarcibilità di tale voce di danno.
Secondo tale pronuncia non sussistono valide ragioni per discostarsi dall’orientamento giurisprudienziale prevalente.
Non è bastata la critica mossa dalla sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014 all’orientamento tradizionale secondo cui, in sede civile, il bene giuridico vita rimarrebbe privo di tutela.
 Rispetto al profilo da ultimo evocato, le Sezioni Unite hanno ribadito che il bene vita riceva una maggiore garanzia sul versante penale.
In secondo luogo, la lesione dell’integrità fisica con esito letale intervenuto immediatamente o a breve distanza dall’evento lesivo, non è configurabile come danno biologico, poichè la morte non è la massima lesione del bene giuridico salute, ma incide sul bene giuridico vita che riceve già appunto un’ampia tutela a livello penale.