La Suprema Corte di Cassazione, soprattutto negli ultimi tempi ed in maniera sempre più influente, ha emesso sentenze che hanno inciso sempre più nella vita familiare, specie nei rapporti tra marito e moglie.

Recente è il caso – purtroppo non raro - di un marito che, dopo il costante e protratto rifiuto della propria moglie subito dopo la nascita della loro figlia, ad intrattenere rapporti sessuali con il proprio consorte, aveva presentato ricorso per la separazione con addebito avanti al Tribunale di Firenze.

Infatti, il rifiuto ostinato della moglie - nonostante i molteplici quanto vani tentativi di approccio del consorte -  a non avere rapporti con lo stesso si era oramai protratto da lungo tempo – per la precisione per più di sette anni - inducendo lo stesso a dormire in una camera separata e creando nell’uomo un forte senso di sfiducia e disagio psicofisico.

Il Tribunale fiorentino nel 2005, nel pronunciare la separazione della moglie con addebito nei suoi confronti, minimizzava, tuttavia, i disagi interiori vissuti dal marito dava ragione alla moglie, ritenendo che “la sedatio concupiscientiae non era l’unico esclusivo fine del matrimonio”, non ritenendo rilevante il rapporto sessuale in una relazione matrimoniale poiché superata da altri valori predominanti rispetto a quelli invocati dal marito.

Il marito, tuttavia, per nulla convinto, promuoveva ricorso in appello, certo di aver diritto ad una vita sessuale normale e serena con la propria consorte, riconosciutagli dalle norme in materia di famiglia, così come dovrebbe essere e come promesso al momento della celebrazione del matrimonio.

La Corte d’Appello di Firenze accoglieva il ricorso del marito, bocciando la precedente sentenza del Tribunale.

A tal punto, era la moglie a presentare ricorso in Cassazione, opponendosi all’addebito della separazione non ritenendo fondata tale decisione. 

La Prima Sezione Civile della Suprema Corte con sentenza 19112/2012, tuttavia, ha confermato la decisione del Giudice d’Appello, ritenendo che “il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge – poiché, provocando oggettivamente frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner – integra la violazione dell’inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall’articolo 143 codice civile , che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale”.

E ancora, il rifiuto di rapporti sessuali nella coppia “non può in alcun modo essere giustificato quale reazione o ritorsione nei confronti del partner e legittima pienamente l’addebitamento della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l’esplicarsi della comunione di vita nel suo più profondo significato”.

Le mogli sono avvertite!