Pertanto, possono coesistere pronuncia di addebito e risarcimento del danno, considerati i presupposti, i caratteri, le finalità, radicalmente differenti. Ciò è quanto ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 8862/2012.

Il Tribunale di Macerata, con sentenza in data 16-26 marzo 2009, pronunciava la separazione giudiziale tra i coniugi F.L. e B.C., con addebito al marito, assegnando la casa coniugale alla moglie e disponendo l'affidamento congiunto delle figlie minori E. e F., con collocamento presso la madre; poneva a carico del F. assegni a favore delle due figlie, di importo differente; escludeva l'assegno di mantenimento, nonché risarcimento dei danni non patrimoniali per la moglie; condannava peraltro il F. a corrispondere alla moglie stessa somma da essa anticipata a favore del marito per l'acquisto di un appartamento.

Avverso tale sentenza proponeva appello la B., lamentando la mancata condanna del marito alla corresponsione di assegno di mantenimento e risarcimento di danni a suo favore; censurava altresì la determinazione degli assegni a favore delle figlie, affermando che l'assegno maggiore doveva essere corrisposto a favore della figlia di età superiore; si doleva altresì del riconoscimento dei danni patrimoniali, in misura inferiore alle sue richieste. Costituitosi il contraddittorio, il F. chiedeva rigettarsi l'appello e, in via incidentale, escludersi l'addebito della separazione a suo carico; censurava altresì la quantificazione dell'assegno per le figlie, effettuato dal primo Giudice, nonché la condanna alla restituzione di somma a favore della moglie.

La Corte d'Appello di Ancona, con sentenza in data 17 marzo-16 aprile 2010, in parziale riforma della sentenza impugnata, modificava gli importi degli assegni per le figlie, confermando per il resto la sentenza impugnata.

Ricorre per cassazione la B..

Resiste con controricorso il F., che pure propone ricorso incidentale.

Resiste con controricorso al ricorso incidentale la B..

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 143 c.c., in combinato disposto con l'art. 2043 c.c., nonché vizio di motivazione, in relazione all'esclusione di responsabilità aquiliana del F., per violazione dell'obbligo di fedeltà matrimoniale.

Il motivo è fondato.

Afferma la sentenza impugnata che la condotta del F. non sarebbe "antigiuridica". La domanda di risarcimento del danno contrasterebbe con il diritto del coniuge di perseguire le proprie scelte personali, soprattutto in conseguenza "della legge che ha eliminato il carattere illecito dell'adulterio": il desiderio di "libertà e felicità" del F., pur comportando disgregazione della famiglia, sarebbe sanzionato con l'addebito della separazione, ma non potrebbe configurarsi quale fonte di risarcimento dei danni.

Non tiene conto il Giudice a quo dell'evoluzione giurisprudenziale di questi anni, di merito e legittimità con l'affermarsi e l'estendersi di uno dei fenomeni sicuramente più rilevanti nella vicenda più recente del diritto di famiglia; l'introduzione della logica e dei metodi della responsabilità civile nel rapporto tra coniugi e tra genitori e figli, che,del resto, si inserisce nel più generale ampliamento dell'area della responsabilità aquiliana.

Significativamente la sentenza impugnata parla di legge che ha rifiutato il carattere illecito dell'adulterio (si riferisce, evidentemente, alle notissime sentenze della Corte Costituzionale che avevano dichiarato l'illegittimità dei reati di adulterio e concubinato) quasi che, ancor oggi, i danni non patrimoniali siano soltanto derivanti da ipotesi di reato.

Quanta Corte ha avuto modo di precisare ripetutamente che la violazione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti, anche ai sensi dell'art. 2 Cost., incidendo su beni essenziali della vita, da luogo a risarcimento di danni non patrimoniali (per tutte, Cass. nn. 7281, 7282, 7283 del 2003). E' vero che una parte della dottrina ha definito il nuovo orientamento giurisprudenziale "illiberale" perché punirebbe ulteriormente il coniuge (magari già sanzionato dalla dichiarazione di addebito), con la "creazione" di diritti assolutamente inesistenti, non essendovi alcuna violazione del principio del neminem laedere.

Va precisato che la responsabilità tra coniuge o del genitore nei confronti del figlio, non si fonda sulla mera violazione dei doveri, matrimoniali o di quelli derivanti dal rapporto di genitorialità, ma sulla lesione, a seguito dell'avvenuta violazione di tali a doveri, di beni inerenti la persona umana, come la salute, la privacy, i rapporti relazionali, etc. (al y riguardo, più in generale, Cass. n. 9801 del 2005 e, specificamente sull'obbligo di fedeltà, Cass. n. 18853 del 2011, n. 610 del 2012).

Si riteneva altresì, come ancora afferma il Giudice a quo che l'addebito, strumento peraltro più sanzionatorio che risarcitorio, non soffrisse la cumulabilità di ulteriori risarcimenti, salvo che vi fossero specifici danni patrimoniali, per i quali il coniuge avrebbe potuto ovviamente essere ritenuto responsabile (ad es. se egli avesse, con il suo comportamento, arrecato perdite al patrimonio dell'altro coniuge); ovvero - ipotesi del tutto differente - il coniuge arrecasse danno all'altro, prescindendo dalla sua qualità, in quanto mero soggetto danneggiante, come qualsiasi estraneo (ad es.con la propria guida spericolata).

Al contrario, come si diceva, secondo il nuovo orientamento, rileva proprio la qualità di coniuge e la violazione di obblighi nascenti dal matrimonio che, da un lato è causa di intollerabilità della convivenza, giustificando la pronuncia di addebito, con gravi conseguenze, com'è noto, anche di natura patrimoniale, dall'altro, si configura come comportamento (doloso o colposo) che, incidendo su beni essenziali della vita, produce un danno ingiusto, con conseguente risarcimento, secondo lo schema generale della responsabilità civile.

Possono dunque sicuramente coesistere pronuncia di addebito e risarcimento del danno, considerati i presupposti, i caratteri, le finalità, radicalmente differenti.

Nella specie, afferma il Giudice a quo, che la relazione del F. "non ha assunto carattere ingiurioso per la B. o manifestazioni rilevanti di disdoro" per essa. Egli non considera peraltro, anche solo eventualmente per confutarle, le incidenze, allegate dalla B., del comportamento del marito sulla salute, sulla privacy, sulla reputazione, etc. Va conclusivamente accolto il ricorso principale, rigettato quello incidentale, cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Ancona, in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra indicato e pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio.

Avv. Massimiliano Gallone