Una recente ordinanza della Cassazione n. 4175 pubblicata il 3.3.2016 ha riproposto un tema  oggi giorno ricorrente, ossia  la  possibilità per il coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, stabilito con la sentenza di divorzio, di perdere il diritto a ricevere il relativo importo  per essersi accompagnato con altra persona, con la quale è andato a convivere.
Argomento, invero, delicato e complesso, spesso  domandandosi, molti divorziati , obbligati al pagamento  dell’assegno post-matrimoniale,  se debbano, per così dire, mantenere “ vita natural durante” l’ex coniuge,  con il quale spesso non si hanno più contatti.
Sulla questione la giurisprudenza è in continua evoluzione, spesso chiamata a giudicare la idoneità o meno  di un fatto, sopravvenuto dopo la sentenza di divorzio, a determinare la cessazione dell’obbligo di mantenimento che si fonda, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, su un principio di solidarietà post-coniugale, che ha i suoi riferimenti nel combinato disposto degli art. 2 e 29 Cost., e che è  destinato a venire meno quando determinate condizioni  lo  privano di  qualsivoglia significato. 
E’ il caso  qui trattato, che rappresenta una delle molteplici ragioni per cui la questione dell’assegno di divorzio può essere rivista.
Orbene, dai titoli apparsi in questi giorni sui social sembrerebbe che la convivenza della donna  divorziata con un altro uomo (è questo il caso esaminato dal S.C. ma la situazione non muterebbe laddove fosse l’uomo beneficiario dell’assegno ad andare a vivere con un’altra donna), non possa considerarsi idonea ai fini della perdita del diritto al mantenimento.
Ma approfondendo la questione  ed esaminando il testo della decisione, deve dirsi che la soluzione adottata dai Giudici di Palazzo Cavour è conforme e coerente con il più recente indirizzo della Corte Regolatrice. 
Ma prima di indicarne le ragioni, è opportuno richiamare l’attenzione sulla procedura che il giudice è tenuto a seguire per il riconoscimento dell’assegno post-matrimoniale.
E’ noto che l’attività all’uopo richiesta al Tribunale, si articola sostanzialmente in due fasi.

1) Nella prima “il Giudice verifica la esistenza del diritto in astratto, in relazione alla inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in sostanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente seguito in caso di continuazione dello stesso e quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate durante il rapporto”.

2)Nella seconda “il Giudice procede alla determinazione in concreto dell’ammontare dell’assegno, che va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tali elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio. Nell’ambito di questo duplice accertamento assumono rilievo, sotto il profilo dell’onere probatorio, le risorse reddituali e patrimoniali di ciascuno dei coniugi, quelle effettivamente destinate al soddisfacimento dei bisogni personali e familiari, nonché le rispettive potenzialità economiche”.

In questo senso, testualmente una recente sentenza della Cassazione 09/06/2015 n° 11870; ma vedasi anche Cass. 17/09/2014 n° 19529; Cass. 21/11/2011 n° 24436; Cass. 29/01/2010 n° 2156.
Ciò significa che l’accertamento in esame va compiuto mediante una duplice indagine, attinente l’an ed il quantum nel senso che il presupposto per la concessione dell’assegno divorzile è costituito dalla inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente (ossia dei redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre) a consentirgli di conservare un tenore di vita analogo a quello in costanza di matrimonio, non essendo necessario uno stato di bisogno dell’avente diritto (il quale può essere anche economicamente autosufficiente) e rilevando invece l’apprezzabile deterioramento, a causa del divorzio, delle precedenti condizioni economiche.
Per la concreta determinazione dell’assegno divorzile, il Giudice deve tener conto delle condizioni economiche delle parti e dell’apporto personale ed economico che ciascuno dei coniugi ha conferito al menage familiare ed alla formazione del patrimonio comune.
Un’indagine ad ampio spettro, “occorrendo aver riguardo non soltanto ai redditi ed alle sostanze del richiedente, ma anche a quelli dell’obbligato, i quali assumono rilievo determinante sia ai fini dell’accertamento del livello economico-sociale del nucleo familiare, sia ai fini del necessario riscontro in ordine all’effettivo deterioramento della situazione economica del richiedente in conseguenza dello scioglimento del vincolo (Cass. 11870/2015). 
Una indagine intesa a garantire, dunque, una equa soluzione rispettosa di quell’obbligo di solidarietà post-coniugale di cui  si è parlato.
In tale contesto, importante appare la previsione introdotta nell’art.5 L. 890/1970 dall'Quando art. 10 L.74/1987, con cui è demandato al giudice anche il compito, nel disporre la somministrazione dell’assegno, di considerare la durata del matrimonio, nell’evidente intento di evitare i matrimoni c.d. lampo idonei a permettere ad uno dei coniugi una rendita automatica, sostanzialmente parassitaria a carico dell’altro partner.
Dunque, solo la sopravvenienza di giustificati motivi può comportare un riesame delle statuizioni in precedenza adottate.
Tra questi, il  caso in cui il beneficiario, dopo lo scioglimento del matrimonio, abbia costituito una nuova famiglia, ancorché di fatto e purché stabile e duratura.  
La stabilità e la durata  rappresentano le condizioni indispensabili per la cessazione del dritto a percepire  l’assegno di mantenimento. Su tali elementi è intervenuta la  recente decisione della Cassazione 4175/2016,  che fa intendere, leggendo attentamente il testo del provvedimento,  come non vi è spazio, al riguardo, per le convivenze saltuarie , confermando così l’indirizzo  da qualche anno intrapreso dal Giudice di Legittimità.
Nel caso di specie, la Corte di Appello di Roma aveva riformato la sentenza di primo grado, che aveva negato il diritto di una donna a percepire dall’ex  marito un assegno divorzio, avendo iniziato una convivenza con un nuovo compagno , svolgendo lavori saltuari di pulizie “in nero”, laddove l’ex coniuge aveva  un reddito di 1.000,00= euro mensili . Secondo la Corte Capitolina la donna aveva diritto ad un assegno mensile di euro 250,00=, stante l’inadeguatezza  dei lavori in nero, il fatto che la convivenza con altro uomo era solo saltuaria ed instabile e poi perché non poteva più disporre della casa coniugale in quanto il provvedimento di assegnazione le era stato revocato per la raggiunta autosufficienza economica del figlio, ormai trentacinquenne . Approdata, la questione, in Cassazione, gli ermellini dichiaravano la inammissibilità del ricorso, inteso ad ottenere la riforma della decisione della Corte Territoriale, perché finalizzato ad una riedizione del giudizio di merito non consentita , al di là delle generiche deduzioni di violazione di legge, laddove il giudice di appello aveva valutato tutti gli elementi suddetti, compresa la caratteristica della convivenza, dovendosi escludere, quindi, il denunciato vizio di omesso esame di fatti decisivi per la soluzione della controversia. 
Risulta chiara, dunque, dalla ricostruzione della vicenda come la convivenza con altro uomo  non poteva essere una circostanza idonea ad impedire che la donna avesse il diritto di percepire un mantenimento dall’ex marito, stante la inadeguatezza delle proprie sostanze.
La linea di demarcazione è data dalle caratteristiche della convivenza, che deve essere duratura e stabile per far cessare il diritto al mantenimento.
E, ciò, come si evince dalle sentenze della Cassazione 6855/2015 e dalla più recente 225/2016, secondo cui “ l’istaurazione, da parte del coniuge divorziato, di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venir definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno  di divorzio a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza ( quindi, destinato a “rivivere” una volta interrottasi la unione di fatto, come aveva opinato in  precedenza la   S.C. con le decisioni 17195/2011 e 25845/2013), ma resta definitivamente escluso.” Infatti, “ la formazione di una famiglia di fatto - costituzionalmente tutelata ex art. 2 Cost., come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo-  è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per la  assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e quindi esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo”
 Marzo 2016 -Avv. Antonio Arseni