Dimenticate gli assegni milionari versati da ex famosi e più che facoltosi. E mettete da parte per un attimo anche come si stabilisce la cifra, dopo le decisioni della Cassazione sul riferimento o meno al “precedente tenore di vita” che tanto hanno fatto discutere. Il contributo all’ex coniuge (la moglie, in più del 90% dei casi) nel Paese reale si attesta in media intorno ai 500 euro al mese. Sopra i 600 si sale in Lombardia e nel Lazio, mentre in gran parte del Mezzogiorno (Sicilia, Puglia, Calabria, Basilicata e Molise) l’assegno non raggiunge i 400 euro.
Lo rivelano i dati elaborati dal Sole 24 Ore del lunedì in base agli importi portati in deduzione nelle dichiarazioni dei redditi 2017 (gli ultimi disponibili). Si tratta, inoltre, di valori progressivamente più bassi: rispetto all’anno d’imposta 2008 il calo è stato di quasi il 6 per cento.
Numeri e differenze regionali
A livello territoriale, le cifre degli assegni all’ex coniuge rispecchiano la “ricchezza” della popolazione che vi risiede. Questo spiega perché in Lombardia l’assegno medio mensile è di 678 euro, quasi il doppio rispetto al Molise. Con importi sempre inferiori a 500 euro, tutte le Regioni del Sud occupano gli ultimi posti della classifica, mentre al Nord, fatta eccezione per il Friuli Venezia Giulia e la Liguria, i valori superano sempre la soglia dei 500 euro. Dal punto di vista numerico, i divorzi con assegno di mantenimento sono il 53% del totale (dati Istat 2015), ma il 7,3% riguarda solo l’ex coniuge, il 39,1% solo i figli, mentre nel 6,9% dei casi il contributo riguarda sia l’ex coniuge che i figli. A pagare è quasi sempre l’ex marito (93,6% dei casi).
Un disegno di legge per l’assegno di divorzio
I nuovi criteri di calcolo
Lo scorso anno la Cassazione con la sentenza Grilli (dal nome dell’ex ministro, la n. 11504/2017), mandò in soffitta il riferimento al “precedente tenore di vita” per stabilire l’importo dell’assegno divorzile. In pratica, l’ex coniuge autosufficiente o in grado di esserlo se la doveva cavare da sè, a prescindere dalla durata delle nozze e da altri fattori, quali ad esempio, la decisione di rinunciare al lavoro per curare la famiglia. In caso di mancata autosufficienza l’assegno avrebbe avuto solo carattere (e misura) assistenziale. La spinosa questione è in seguito approdata alle Sezioni unite, che con la sentenza n.18287 dell’11 luglio scorso hanno un po’ “mitigato” il tenore della Grilli, spiegando che l’assegno all’ex ha una finalità non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa; la Cassazione ha così riportato al centro la valutazione del contributo alla costruzione del patrimonio familiare e di quello della parte più forte.
Negli anni, l’importanza dell’accertamento della situazione economico-reddituale dei coniugi e dei documenti che devono produrre in giudizio, era stata ridimensionata. La Corte aveva più volte ritenuto non necessaria la «ricostruzione puntuale» del patrimonio familiare e della sua formazione poiché il riconoscimento dell’assegno divorzile discendeva solo dalla disparità reddituale, con il conseguente livellamento dei due redditi, attraverso il sacrificio di quello più forte. E l’accertamento contava ancore meno alla luce della sentenza Grilli.
Per l’assegno di divorzio conta il contributo alla vita familiare. Il chiarimento della Cassazione
Ora invece le Sezioni unite facendo leva sul contributo alla vita familiare, eliminando ogni automatismo (niente diritto a mantenere il tenore di vita ma neanche autosufficienza economica come unico criterio) rimettono in primo piano il potere del giudice di “accertare” caso per caso il contributo alla formazione della ricchezza familiare complessiva e/o dell’altro coniuge. Dati che, poi, vanno valutati alla luce della durata del matrimonio, dell’età del richiedente e del potenziale reddito futuro.
L’importanza dei poteri di accertamento rimanda alla centralità delle indagini – ufficiose – introdotte con la riforma della filiazione (legge 162/2014) che consente al giudice della famiglia di utilizzare le informazioni comunicate al Fisco, di accertare i redditi dichiarati, le imposte versate, la partecipazioni a imprese o società commerciali.