Recentemente la Suprema Corte di Cassazione ha affermato nuovi pricipi da osservare per calcolare il valore dell’assegno di divorzio. Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione,  hanno stabilito che all’assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenzialee, in pari misura, compensativa e perequativa.
Precisa la sentenza che, ai fini del riconoscimento dell’assegno, si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto. 
La Corte ha chiarito che sarà necessario non considerare un unico fattore ma più componenti che possono essere schematizzati in: 
  • età del coniuge (da cui deriva in modo sottile la propria capacità ad essere autosufficiente economicamente); 
  • durata del matrimonio; 
  • capacità di reddito di ciascun coniuge. 
L’utilizzo di tali criteri permetterà la ricostruzione della storia familiare da considerare e del valore da attribuirsi all’assegno stesso. 
L’assegno di divorzio, alla luce di quanto in epigrafe, assume la fondamentale  funzione assistenziale ma, allo stesso tempo, anche una funzione compensativa e perequativa. Resta fermo infatti il principio secondo cui al coniuge più debole debbano essere sempre assegnati adeguati mezzi: ma per la valutazione dell’adeguatezza sarà considerato l’apporto fornito dall’ex coniuge nella gestione e nello sviluppo della attività familiare considerata nella sua totalità. 
La Cassazione infine nella sentenza indica che il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale.
Quanto sopra è stato definito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza del 11 luglio 2018, n. 18287.