Fermo restando che il nostro ordinamento conosce e regola la separazione personale dei coniugi quale unico istituto di riferimento, occorre dare conto in questa sede delle due diverse forme in cui la suddetta separazione può manifestarsi, ovvero la separazione giudiziale e la separazione consensuale. Entrambe le modalità di separazione si fondano sui medesimi presupposti e determinano le medesime conseguenze per i coniugi, i quali, dunque, possono indifferentemente ricorrere all'una o all'altra. A seconda, poi, che essi riescano a raggiungere un accordo sulle condizioni della separazione medesima oppure continuino a manifestare insanabili contrasti, soprattutto in ordine all'affidamento dei figli, alla misura dell'assegno di mantenimento ed all'assegnazione della casa familiare, che costituiscono statisticamente i profili maggiormente dibattuti, ricorreranno alla separazione consensuale, ex art. 158 c.c., ovvero alla separazione giudiziale o contenziosa, di cui agli artt. 151 e seguenti c.c. In linea di principio, si può dunque anticipare che, mentre nella separazione consensuale il Tribunale può esclusivamente invitare i coniugi a modificare le decisioni da essi assunte relative ai figli, nel preminente interesse di questi ultimi, esso non è in alcun modo chiamato a sindacare gli accordi inerenti esclusivamente i rapporti tra coniugi, nella separazione contenziosa il contenuto di tutti i provvedimenti è determinato dall'autorità giudiziaria, potendo le parti esclusivamente prospettare ad essa le loro richieste. Ciò premesso, si chiarisce preliminarmente che presupposto unico ed assorbente della pronuncia di separazione personale dei coniugi nel sistema giuridico italiano è il verificarsi di fatti tali da causare l'intollerabilità della convivenza o grave pregiudizio per l'educazione della prole. Tale formula viene generalmente interpretata dai Tribunali italiani in maniera assai elastica, sì da ritenere che già di per sé la proposizione di una domanda di separazione da parte anche di uno solo dei coniugi costituisca espressione dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, essendo considerato impossibile che i delicati equilibri matrimoniali possano essere mantenuti soltanto dall'altro coniuge, anche se in senso contrario deve leggersi Cass. 8 maggio 2003 n. 6970, secondo la quale l'intollerabilità della convivenza non può ravvisarsi implicitamente nella volontà di un coniuge di separarsi. Appare evidente, in ogni caso, come, pur volendo aderire ad un'interpretazione rigorosa della condizione richiesta dalla legge, bisogna riconoscere che compito del giudice sia esclusivamente quello di valutare se, sia pure nella percezione di almeno uno dei coniugi, i fatti dedotti dalle parti risultino idonei a determinare l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Mentre, dunque, il prosieguo della trattazione verterà essenzialmente sulla separazione giudiziale o contenziosa, che nella normalità dei casi, suscita il maggior numero di problemi in ordine a questioni economiche e relative all'affidamento, si intende di seguito approfondire talune tematiche proprie della sola separazione consensuale. Non vi è dubbio, intanto, che la forma di separazione personale dei coniugi maggiormente auspicata, sia sotto il profilo economico e psicologico, sia per quel che riguarda i tempi processuali, è costituita dalla separazione consensuale, prevista e regolata nel nostro sistema giuridico dall'art. 158 c.c. In base a tale norma “la separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l'omologazione del giudice. Quando l'accordo dei coniugi relativamente all'affidamento ed al mantenimento dei figli è in contrasto con l'interesse di questi il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell'interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l'omologazione”. La separazione pertanto può ritenersi efficace soltanto a seguito del provvedimento di omologazione emesso dal Tribunale successivamente alla comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente, non essendo sufficiente il mero accordo di marito e moglie in tal senso. Il controllo esercitato dall'autorità giudiziaria sull'accordo raggiunto è pertanto limitato all'ipotesi in cui dal matrimonio siano nati figli e le decisioni assunte dai genitori in ordine all'affidamento ed al mantenimento di essi appaiano contrastanti con gli interessi morali e materiali di questi. Peraltro, conformemente ai recenti indirizzi giurisprudenziali espressi dalla Corte di Cassazione sul punto, nell'accordo di separazione destinato all'omologazione ben possono essere contenute attribuzioni patrimoniali da parte di un coniuge nei confronti dell'altro relative a beni mobili o immobili, volte a sistemare i reciproci rapporti in occasione della separazione consensuale, senza che in tali clausole debba necessariamente ravvisarsi la stipula di un atto di donazione anziché di vendita, presentando esse una loro autonoma tipicità (in tal senso, da ultimo, Cass. sent. n. 5741/04). Può tuttavia accadere che, a seguito del deposito del ricorso congiunto per la separazione depositato nell'interesse di entrambi i coniugi presso la Cancelleria del Tribunale (si approfondiranno in un apposito paragrafo i profili processuali della separazione coniugale), l'accordo tra marito e moglie venga meno prima che si svolga l'udienza presidenziale in cui i coniugi sono chiamati a comparire personalmente. Ci si è chiesti se in tali casi possa mutare il titolo della separazione, ossia possa essere revocato da parte di uno o entrambi i coniugi il consenso prestato per una separazione a condizioni concordate, al fine di procedere quindi a proporre una domanda di separazione giudiziale. Sotto tale profilo la Corte di Cassazione ha ormai chiarito che il verificarsi di fatti successivi alla domanda di separazione consensuale, che si traducano in una grave violazione dei persistenti doveri dei coniugi, tale da compromettere definitivamente ogni possibilità di riconciliazione o da arrecare danno alla prole, giustificano un mutamento del titolo della separazione stessa da consensuale a giudiziale, con pronuncia di addebitabilità a carico dell'autore della violazione medesima. Così, a titolo esemplificativo, il comportamento di un coniuge, il quale, prima del provvedimento di omologazione, ostenti pubblicamente una propria relazione adulterina, può giustificare, su domanda dell'altro coniuge, il mutamento del titolo della separazione , anche se nel frattempo omologata, da consensuale a giudiziale con addebito, dal momento che anche il venir meno del dovere di convivenza tra i coniugi non legittima un'infedeltà che si traduca in atti gravemente offensivi dell'onore e del decoro dell'altro coniuge (in tal senso Cass. sent. n. 4499/85 e n. 2964/88).