Al fine di comprendere cosa debba intendersi a fini giuridici con l'espressione “riconciliazione coniugale”, preme fin da subito chiarire che la nozione di riconciliazione adottata univocamente dagli interpreti è quella di “ricostruzione dell'intero complesso dei rapporti che caratterizzano il vincolo matrimoniale e, quindi, non solo di quelli che concernono l'aspetto materiale del matrimonio (es. coabitazione), ma anche di quelli che sono alla base della comunione spirituale dei coniugi (si legga comunanza di sentimenti e di intenti)”. La giurisprudenza della Suprema Corte, per esempio, non ha ritenuto sufficiente, per provare l'avvenuta riconciliazione, che i coniugi abbiano ripristinato la convivenza, per così dire, a scopo sperimentale, essendo invece necessaria la ripresa dei rapporti materiali e spirituali, caratteristici della vita coniugale (in tal senso, tra l'altro, si veda Cass., sent. n. 12427/04 e sent. n. 19497/05). Analogamente non sono state ritenute idonee a dimostrare il ripristino della comunione coniugale né la convivenza di marito e moglie nella stessa casa in camere diverse e la corresponsione da parte dell'uno in favore dell'altra con continuità di somme di denaro (si veda Cass. sent. n. 3323/00), né l'assistenza prestata mediante visite giornaliere al coniuge separato bisognoso di cure (cfr. Cass. sent. n. 11722/93). Della riconciliazione si occupano espressamente gli artt. 154 e 157 c.c., sotto profili diversi. La prima delle disposizioni richiamate, infatti, prende in considerazione la riconciliazione che intervenga tra i coniugi nel corso del giudizio di separazione, prevedendo che essa comporta l'abbandono della domanda di separazione già proposta. Peraltro, secondo alcuni interpreti ed alcune pronunce della Cassazione sul punto, una simile riconciliazione, avvenuta in pendenza del giudizio di separazione, avrebbe anche l'ulteriore effetto di rendere impossibile la successiva proposizione di una domanda di separazione o di addebito per fatti anteriori alla riconciliazione intercorsa. In base a tale orientamento, che, in verità, contrasta con il tenore letterale della legge, la quale si limita ad attribuire un effetto preclusivo come quello sopra indicato alla sola riconciliazione prevista dall'art. 157 c.c., i comportamenti dei coniugi precedenti la riconciliazione potrebbero assumere rilievo al solo scopo di meglio illustrare il contesto familiare da valutarsi da parte dell'autorità giudiziaria. Appare pertanto nettamente preferibile, in conformità con la volontà espressa dal legislatore nel dato normativo, l'impostazione secondo la quale la riconciliazione avvenuta prima della definizione del processo di separazione determina l'unico effetto dell'abbandono della domanda già presentata, non altri. Diversamente accade, ai sensi dell'art. 157 c.c., allorchè i coniugi si riconcilino successivamente ad una pronuncia di separazione divenuta definitiva; in tal caso, infatti, la norma da ultimo richiamata, al secondo comma, prevede espressamente che la separazione può essere pronunciata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti successivi alla riconciliazione stessa. Peraltro, quanto alla forma con cui può avvenire la riconciliazione, il suddetto art. 157 stabilisce chiaramente che essa non richiede in alcun modo l'intervento del giudice, potendo i coniugi decidere di far cessare di comune accordo gli effetti derivanti dalla sentenza di separazione, sia mediante una dichiarazione espressa, sia mediante l'assunzione di un comportamento non equivoco dei coniugi stessi, che risulti incompatibile con il perdurare dello stato di separazione. Tuttavia una pronuncia piuttosto recente della Corte di Cassazione ha evidenziato come debba distinguersi tra effetti interni, relativi alla sola coppia dei coniugi, ed esterni, ovvero idonei a riflettersi anche su soggetti terzi, derivanti dal ripristino della comunione legale dei beni seguito alla riconciliazione. Infatti, in applicazione dei principi costituzionali di tutela della buona fede dei contraenti e della concorrenza del traffico giuridico, in mancanza di un regime di pubblicità della riconciliazione, che non risulti dunque legalmente conoscibile dai terzi, la ricostituzione della comunione stessa non può essere validamente opposta al terzo in buona fede, il quale abbia acquistato a titolo oneroso un bene immobile dal coniuge che risultava unico ed esclusivo proprietario del bene stesso, sebbene lo avesse acquistato successivamente alla riconciliazione (così Cass. sent. n. 18619/03). La posizione del terzo non può invece ricevere tutela, qualora, come previsto dall'art. 69 D.p.r. n. 396/00, i coniugi abbiano provveduto a richiedere ed effettuare l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio delle dichiarazioni con le quali i coniugi separati manifestino appunto la loro volontà riconciliativa.