La normativa volta a dettare i criteri di determinazione dell'assegno da corrispondere all'ex coniuge nei confronti dell'altro deve essere rinvenuta nell'art. 5, sesto comma, della Legge n. 898/70, così come modificata soprattutto a seguito della Legge n. 74/87.

In primo luogo, essendo diverso il presupposto del riconoscimento dell'assegno rispetto a quanto previsto in riferimento allo stato, di per sé temporaneo, della separazione, è agevole comprendere il motivo della previsione di parametri parzialmente differenti. In sede di divorzio, infatti, la funzione del contributo al mantenimento è di natura prettamente assistenziale, in virtù del principio di solidarietà postconiugale, tenuto conto che il riconoscimento dell'assegno è subordinato esclusivamente alla circostanza della mancata disponibilità di mezzi adeguati ovvero dell'impossibilità di acquisizione degli stessi per ragioni oggettive in capo al coniuge richiedente, rilevando gli altri criteri (ragioni della decisione, redditi dell'obbligato, durata del matrimonio, ecc.) esclusivamente ai fini della quantificazione dell'assegno stesso (in tal senso, tra l'altro, Cass., 16 ottobre 1991 n. 10901). Tra gli elementi di valutazione, assolutamente non vincolanti per il giudice del divorzio, debbono essere contemplate anche le determinazioni assunte sul punto in sede di separazione, in quanto indubbiamente utili al fine di comprendere la situazione economica complessiva delle parti. Sul punto, peraltro, si sono rivelate risolutive quattro pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione, datate tutte 29 novembre 1990, secondo le quali il presupposto per concedere l'assegno divorzile è costituito dall'inadeguatezza delle risorse del coniuge richiedente, “per conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che sia necessario uno stato di bisogno dell'avente diritto, il quale può essere anche economicamente autosufficiente, rilevando l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio”. Preme inoltre rammentare come l'autorità giudiziaria non possa dirsi tenuta, ai fini della determinazione dell'assegno divorzile, a dare applicazione a tutti i criteri stabiliti dalla legge, dovendo piuttosto procedere ad una valutazione combinata degli stessi, in cui taluni possono anche risultare prevalenti o assorbenti rispetto ad altri, purchè venga essenzialmente considerato lo squilibrio esistente tra la parte beneficiaria e l'ex coniuge onerato dell'assegno stesso. Se un simile procedimento consente al giudice di mantenere ampi margini di discrezionalità, occorre tuttavia sottolineare come essi siano in realtà temperati dal rigore con cui egli è tenuto ad illustrare il percorso logico dallo stesso seguito per pervenire alla propria decisione. Peraltro la valutazione dell'inadeguatezza o meno dei mezzi di cui dispone il coniuge istante dovrà necessariamente estendersi a tutti i redditi, cespiti ed altre utilità che possano trovarsi nella sua disponibilità, nonché alle risorse che possano essere realizzate a fronte dello svolgimento di un'attività lavorativa, confacente alla qualificazione della persona ed alla sua posizione sociale e di fatto. La successiva giurisprudenza della Suprema Corte ha altresì avuto modo di precisare come il coniuge beneficiario dell'assegno divorzile sia legittimato a godere esclusivamente dei miglioramenti economici e reddituali conseguiti dall'ex coniuge successivamente alla cessazione della convivenza, che risultino però legittimamente e ragionevolmente fondati su aspettative maturate in costanza di matrimonio, e non di quegli incrementi scaturiti da eventi autonomi rispetto alla situazione matrimoniale (cfr. Cass. 6 ottobre 2005, n. 19446). Sotto altro aspetto, si segnala inoltre l'orientamento dei giudici della Cassazione, in base al quale una particolare brevità del periodo di effettiva convivenza tra i coniugi, pur qualificandosi di regola la durata del matrimonio esclusivamente come criterio moderatore nella determinazione dell'assegno, possa giungere ad escludere la stessa spettanza dell'assegno, al fine di impedire il riconoscimento di contributi che si configurerebbero come rendite meramente parassitarie (così Cass. 29 ottobre 1996, n. 9439). Tra le circostanze idonee ad incidere sulla valutazione di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente, un particolare rilievo può assumere, nell'attuale realtà sociale, l'assistenza, anche economica, prestata a costui da un conviventemore uxorio; a tale riguardo, infatti, alcune recenti pronunce hanno ritenuto che di per sé il fatto dell'instaurazione di una convivenza non determini alcuna modificazione dell'assegno già riconosciuto all'ex coniuge, fermo restando che l'obbligato potrà al contrario dimostrare che l'intrapresa convivenza abbia determinato stabilmente un miglioramento delle condizioni economiche dell'avente diritto (così Cass., 20 gennaio 2006, n. 1179), tale da influire sul permanere del diritto all'assegno e sulla sua entità. Qualora, anziché formare una famiglia di fatto, l'ex coniuge beneficiario contragga invece nuove nozze, l'art. 5, decimo comma, della legge in commento stabilisce espressamente la cessazione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile da parte dell'obbligato. Appare dunque evidente come la mancata equiparazione, a tali fini, tra la famiglia di fatto e la famiglia legittima incentivi il coniuge beneficiario dell'assegno a non unirsi in matrimonio con altra persona, sì da continuare a fruire dell'assegno corrispostogli dall'ex coniuge. Tra le facoltà discrezionali del giudice, inoltre, indipendentemente da una richiesta di parte, rientra la decisione di far retroagire il diritto all'assegno al momento della proposizione della domanda di divorzio, anziché dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, al fine di tutelare la parte più debole. Ancora, ai sensi dell'art. 5, settimo comma, della Legge n. 898/70, la suddetta sentenza deve stabilire un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria (ISTAT), allo scopo di favorire la conservazione nel tempo dell'effettivo valore dell'assegno previsto, anche in mancanza di una domanda della parte interessata e senza obbligo di motivazione. Analogamente a quanto illustrato in tema di separazione, su accordo delle parti e previo controllo da parte del Tribunale, da esercitarsi secondo equità, in ordine ad un'eventuale sproporzione tra la somma offerta e la capitalizzazione del diritto a tale contributo, il versamento dell'assegno divorzile può avvenire in un'unica soluzione, non potendo in tal caso essere proposta dal beneficiario alcuna successiva domanda di contenuto economico, fatta eccezione, secondo una parte della dottrina, per l'ipotesi in cui la parte versi in un vero e proprio stato di bisogno, tale da far sorgere un obbligo di carattere alimentare. Ci si limita a segnalare, da ultimo, che la corresponsione in unica soluzione può avere ad oggetto, anziché una somma di denaro, la cessione di beni, preferibilmente fruttiferi (es. immobili, investimenti, ecc.), e che essa non può comunque mai avvenire in favore dei figli, ai quali l'ordinamento assicura una tutela indubbiamente più intensa, che confliggerebbe in maniera assai evidente con l'impossibilità per costoro di avanzare successive pretese economiche, ma solo nei confronti dell'ex coniuge.