Norma di riferimento, per quel che riguarda la pensione di reversibilità ed i diritti spettanti su di essa al coniuge divorziato, è l'art. 9 della Legge n. 898/70, nella sua attuale formulazione, con particolare riferimento al secondo comma, relativo all'ipotesi in cui non vi sia un coniuge superstite, ed al terzo comma, che regola la fattispecie del concorso tra coniuge superstite ed ex coniuge nell'attribuzione della suddetta pensione. Peraltro ci si limita a premettere, a tale riguardo, come il coniuge separato, con o senza addebito, ai presenti fini, è del tutto equiparato al coniuge in costanza di matrimonio, non determinando la separazione la cessazione dello stato coniugale. Quindi, prendendo ad esaminare l'eventualità della reversibilità in assenza di coniuge superstite, vengono alla luce i requisiti richiesti dalla norma in commento affinchè il coniuge divorziato abbia diritto a percepire il trattamento di reversibilità per intero. E' dunque necessario che costui non abbia contratto nuove nozze, risulti titolare dell'assegno di divorzio e che il rapporto di lavoro da cui è sorta la pensione di reversibilità sia anteriore alla sentenza di divorzio. Occorre a questo punto analizzare nel dettaglio le singole condizioni appena indicate. In primo luogo, l'efficacia preclusiva esercitata dal nuovo matrimonio contratto dall'ex coniuge è facilmente comprensibile, ove si pensi che tale evento fa definitivamente venir meno le esigenze assistenziali di solidarietà post-coniugale, su cui si fonda il riconoscimento del diritto del suddetto trattamento al coniuge divorziato. Peraltro alla celebrazione di un nuovo matrimonio la giurisprudenza, a tutt'oggi, non equipara la stabile convivenza di fatto intrattenuta dal coniuge richiedente, aderendo così ad un'interpretazione formalistica del requisito delle nuove nozze (in tal senso, tra le altre, Cass. 2 maggio 1994 n. 4204). Maggiori problematiche sono sorte in giurisprudenza in ordine al requisito della titolarità dell'assegno di divorzio. Innanzitutto si precisa che l'assegno deve essere stato stabilito dall'autorità giudiziaria, vuoi in sede di divorzio, vuoi all'esito di un procedimento per la modifica delle condizioni di divorzio, non essendo invece rilevante un accordo intervenuto tra le parti sotto tale aspetto. E' altresì necessario che, al momento del decesso, una sentenza definitiva abbia già accertato in capo al coniuge richiedente la sussistenza della titolarità dell'assegno, mentre ben potrà la determinazione della misura dell'assegno essere differita al prosieguo del giudizio di divorzio, risultando il quantum dell'assegno stesso del tutto irrilevante ai fini del riconoscimento della pensione, tant'è vero che anche un assegno minimo o addirittura simbolico diventano rilevanti. E' invece imprescindibile che titolare dell'assegno sia effettivamente l'ex coniuge, e non i figli, ai quali l'assegno venga erogato mediante la persona dell'altro genitore. La giurisprudenza ha poi vivacemente dibattuto in ordine all'idoneità dell'assegno corrisposto in unica soluzione ad integrare il requisito previsto dalla norma in commento. In particolare, alla tesi che ritiene sussistente anche in un caso simile la condizione della titolarità dell'assegno (cfr. Corte dei Conti, sez. giur. Toscana, 12 ottobre 2001, n. 1203), si contrappone l'orientamento in base al quale l'erogazione dell'assegno una tantum avrebbe esaurito il rapporto con l'ex coniuge, cosicchè, al momento del decesso di questi, la titolarità dell'assegno non potrebbe ritenersi attuale. Ebbene, quest'ultima soluzione appare nettamente preferibile, anche in considerazione di quanto disposto espressamente dall'art. 5, comma 8, della Legge n. 898/70, secondo cui, dopo la corresponsione dell'assegno in unica soluzione, il coniuge beneficiario non può più avanzare alcuna domanda di carattere economico, ivi compresa, sembrerebbe ragionevole concludere, anche la domanda per la pensione. Infine, parlando la normativa esclusivamente di anteriorità del rapporto lavorativo rispetto al sentenza di divorzio, non possono che ritenersi irrilevanti le vicende relative alla separazione, la cui fase viene equiparata dal legislatore alla fisiologica vigenza del matrimonio. Qualora sussistano tutti i requisiti fin qui descritti, il coniuge divorziato può dirsi a tutti gli effetti titolare del diritto alla pensione di reversibilità derivante dalla morte dell'ex coniuge, essendo conseguentemente legittimato a pretendere direttamente dall'ente previdenziale l'erogazione del trattamento, senza che si renda necessario rivolgersi all'autorità giudiziaria, fatta eccezione per l'ipotesi in cui sorga una contestazione circa la ricorrenza delle condizioni previste ovvero la misura della pensione. In ordine a tali controversie si è ormai affermata la competenza del giudice del lavoro presso il Tribunale, qualora il rapporto di lavoro originario avesse natura privata, ovvero della Corte dei Conti, ove il trattamento derivasse da un rapporto di pubblico impiego. Venendo ora a considerare l'eventualità prospettata dal terzo comma del citato art. 9, ossia un concorso tra l'ex coniuge ed il coniuge superstite del lavoratore deceduto, preme sottolineare in primis come detto concorso possa operare esclusivamente qualora il coniuge divorziato possegga tutti i requisiti fin qui illustrati per il godimento del diritto in commento. La determinazione della misura in cui ciascuno dei due soggetti verrà a percepire il suddetto trattamento dovrà tuttavia necessariamente essere effettuata mediante provvedimento del Tribunale avente la forma della sentenza, emessa a conclusione di un procedimento in camera di consiglio. L'iniziativa giudiziaria dovrà giocoforza essere assunta dall'ex coniuge, tenuto conto che, se non tempestivamente informato, l'ente previdenziale, non tenuto a conoscere la precedente situazione familiare del defunto, erogherebbe per intero il trattamento al coniuge superstite. L'istituto pagatore non è tuttavia parte necessaria del giudizio, che potrà svolgersi esclusivamente nel contraddittorio del coniuge divorziato e del coniuge superstite, al fine di vedere accertare dal Tribunale le modalità di ripartizione tra di essi della pensione di reversibilità. Il criterio principale cui l'autorità giudiziaria dovrà ispirarsi nella suddetta determinazione è espressamente indicato dal legislatore nella durata dei rispettivi rapporti, e dunque in un dato meramente matematico. Tuttavia, dopo alterne pronunce, culminate in una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 1998, n. 159, che riconosceva nella durata dei rapporti matrimoniali da comparare l'unico parametro utilizzabile per la ripartizione della pensione, la giurisprudenza degli ultimi anni, sulla scorta anche della sentenza della Corte Costituzionale n. 419 del 4 novembre 1999, ha ritenuto che, pur non potendosi prescindere dall'elemento temporale nella determinazione delle quote del trattamento, tuttavia, a fini correttivi del risultato altrimenti raggiunto, il giudice ben può applicare anche criteri diversi, costituiti, tra l'altro, dall'importo dell'assegno divorzile goduto dall'ex coniuge prima della morte del dante causa e, in generale, dalle condizioni economiche dei soggetti coinvolti, al fine di conservare un maggior equilibrio tra le posizioni dei due aventi diritto.   Altro importante diritto di contenuto patrimoniale riconosciuto dal nostro ordinamento, a seguito della riforma attuata con la Legge n. 74/87, all'ex coniuge del cittadino divorziato è la partecipazione alla riscossione dell'indennità di fine rapporto da questi maturata. La relativa disciplina è dettata dall'art. 12bis della Legge n. 898/70. Il primo comma riconosce appunto all'ex coniuge tale diritto, indicando i requisiti di cui costui deve risultare in possesso nell'esistenza di una sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel mancato passaggio a nuova nozze da parte del soggetto richiedente e nella percezione di un assegno divorzile da parte del medesimo, ai sensi dell'art. 5 della suddetta legge. Il fondamento del diritto in questione deve essere rinvenuto nella circostanza che l'indennità di cui si discute deriva in realtà da contributi versati o comunque somme accantonate in costanza di matrimonio, perciò imputabili ad entrambi i coniugi. Il secondo comma del citato art. 12bis provvede quindi a determinare la misura della percentuale dovuta del trattamento di fine rapporto, precisando che al titolare spetta comunque il 60% dell'indennità, mentre il coniuge divorziato può ottenere al massimo il residuo 40%, in base al numero di anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, ivi compreso il periodo di separazione. Ne deriva, pertanto, che, se il rapporto di lavoro cui si riferisce l'indennità si è svolto integralmente durante la vigenza del precedente matrimonio, il suddetto 40% non subirà decurtazioni in danno del coniuge divorziato mentre, qualora, a titolo esemplificativo, un rapporto lavorativo durato 30 anni sia coinciso soltanto per 10 anni con il rapporto matrimoniale, competerà all'ex coniuge soltanto una quota pari ad 1/3 del predetto 40%. In tal caso, la posizione del nuovo coniuge del titolare dell'indennità non viene presa in considerazione dal legislatore, poiché si ritiene ragionevolmente che l'attuale partner fruisca anch'esso del 60% comunque spettante all'avente diritto al trattamento, essendo il secondo matrimonio ancora vigente, in virtù dei rapporti di solidarietà economica che caratterizzano naturalmente la vita matrimoniale. Ci si è inoltre domandati se spettino all'ex coniuge del divorziato, nella misura del 40% o in quella inferiore eventualmente dovuta, anche le anticipazioni di cui il titolare abbia goduto, a norma dell'art. 2120 c.c., sull'indennità di fine rapporto, ove si fossero verificate le condizioni e le ipotesi previste da detta norma. A tale riguardo sembra preferibile la tesi, in base alla quale il coniuge divorziato non possa in alcun modo vantare tale diritto, qualora, al tempo della riscossione dell'anticipazione, non sussistessero in suo favore tutti i requisiti stabiliti dal citato art. 12bis, ad esempio per essere stata l'anticipazione percepita prima dell'inizio del procedimento di divorzio. Infine, analogamente a quanto ritenuto in tema di pensione di reversibilità, si considera che, qualora l'ex coniuge chieda ed ottenga l'assegno divorzile corrisposto in unica soluzione, non potendo egli avanzare alcuna ulteriore pretesa di carattere economico, non possa neppure domandare la quota dell'indennità di fine rapporto di cui al suddetto art. 12bis.