Attribuire la pensione di reversibilità al coniuge superstite divorziato è un diritto condizionato alla circostanza che il superstite fosse titolare dell’assegno di mantenimento. A prevederlo è l’articolo 9 della legge numero 898/1970, al quale la Corte di Cassazione ha ora aggiunto un elemento ulteriore con una recente ordinanza. 
La Cassazione infatti ha indicato che ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità, non è sufficiente la mera debenza in astratto di un assegno di divorzio, e neppure la percezione in concreto di un assegno di mantenimento in base a convenzioni intercorse tra le parti, occorrendo invece che l’assegno sia stato liquidato dal giudice nel giudizio di divorzio. Non possono considerarsi sufficienti le conclusioni rassegnate dal coniuge all’esito dell’istruttoria, con la conseguenza che il riferimento all’accordo intervenuto tra le parti all’udienza di comparizione dinanzi al Presidente del Tribunale, contenuto nella motivazione della pronuncia di divorzio, non avrebbe in alcun modo potuto essere interpretato nel senso risultante dalla sentenza impugnata. Il riconoscimento del relativo diritto, dev’essere formulato nella fase contenziosa successiva all’udienza presidenziale, ed escludendo la possibilità di valorizzare, a tal fine, le istanze formulate in detta udienza, in quanto esclusivamente correlate ai provvedimenti temporanei ed urgenti. Pertanto per quanto indicato con l’ordinanza n. 25053 del 2017 della Corte di Cassazione Sesta Civile, se l’assegno che corrispondeva il defunto all’ex coniuge era frutto di semplici convenzioni intercorse tra le parti, la reversibilità non spetta.