L'art. 155 del codice civile (nella nuova formulazione contenuta nella Legge 06.02.2006 n.54), stabilisce, nei primi 3 commi, che "Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente
". Pertanto, con il provvedimento normativo sopra citato è stato introdotto nell'ordinamento italiano il concetto di bigenitorialità, come già avvenuto in altri ordinamenti europei e già presente nella Convenzione per i diritti del fanciullo  sottoscritta a New York il 20.11.1989 (resa esecutiva in Italia con la L. n. 176/91); a sua volta, l'art. 155 - bis stabilisce che "Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.
Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile
".

I principi noramtivi di cui sopra sono stati correttamente applicati anche nell'ordinanza n. 24841 del 07.12.2010, emessa dalla Corte di Cassazione -  Sezione 6^ civile -.
I fatti: Tizia viene condannata per il reato di calunnia nei confronti dell’ex convivente Caio, falsamente accusato di avere abusato della figlia minore di tre anni.
Il Tribunale dei minorenni di Bari, nella procedura relativa ai minori, affida i tre figli al padre e alla madre.
Tuttavia, la Corte d’Appello di Bari – alla quale Caio ha proposto reclamo – affida invece i figli al padre in via esclusiva, sostenendo l’inidoneità di Tizia a svolgere in maniera adeguata e responsabile il ruolo materno – tanto nelle forme dell’affido esclusivo che in quelle dell’affido condiviso – a causa della sua condanna per calunnia nei confronti di Caio.
Tizia propone ricorso in Cassazione, che lo giudica fondato.

La Suprema Corte ha confermato, nell'ordinanza sopra citata, il principio (già espresso nelle sentenze n. 16593/2008 e n. 26587/2009) secondo cui “alla regola dell’affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”, con la duplice conseguenza che l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non piú solo in positivo sulla idoneità dei genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore“.

Gli ermellini hanno precisato che la Corte d’Appello ha disposto l’affidamento esclusivo dei figli minori al padre fondando il proprio convincimento su una sentenza penale – non ancora passata in giudicato – relativa a fatti avvenuti molto tempo prima e attinenti al rapporto tra Tizia e Caio, senza precisare in base a quali motivazioni tali vicende “renderebbero, in rapporto all’attualità, del tutto evidente l’inidoneità della (OMISSIS) a svolgere adeguatamente e responsabilmente il ruolo materno, sia nelle forme dell’affido esclusivo, sia in quelle dell’affido condiviso”.


Alla luce di queste motivazioni, la Suprema Corte ha cassato il decreto impugnato e rinviato ad altra sezione della Corte d'Appello di Lecce con la seguente motivazione: "....ritenuto che, alla stregua delle motivazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, che di conseguenza il decreto impugnato deve essere annullato e che la causa va rimessa, ai sensi dell'art. 383, comma 1^, c.p.c. ad altro Giudice di pari grado a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, che si individua nella Corte d'Appello di Lecce e che esaminerà il reclamo del (OMISSIS) alla stregua delle considerazioni svolte nella relazione che precede e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione".


Roma, 09.12.2010                          Avv. Daniela Conte