Nell'ambito dei delitti contro la famiglia, l'art. 572 c.p. punisce l'ipotesi di maltrattamenti in famiglia sui fanciulli, fattispecie che si configura quando taluno maltratta una persona della famiglia, un minore degli anni 14 o una persona sottoposta alla sua autorità, a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero quell'esercizio di una professione o di un'arte.

Il bene giuridico protetto dalla norma può ravvisarsi non soltanto nella famiglia e nel superiore interesse dello Stato alla salvaguardia e alla protezione della stessa, ma anche nella difesa dell'incolumità fisica e psichica e della dignità delle persone richiamate dalla norma.
L'elemento oggettivo del reato è costituito da una condotta sistematica e programmatica di vessazione e prevaricazione fisica e psicologica nei confronti della vittima, tale da rendere insopportabile la convivenza, perché dolorosa e umiliante; i maltrattamenti possono consistere in atti privativi della libertà, di scherno continuo e di asservimento, che determinino uno stato di avvilimento in grado di segnare il decoro e la dignità della persona.
Affinché si configuri il reato di maltrattamenti è sufficiente il dolo generico in capo all’agente, che si esprime nella consapevolezza di insistere in un'attività vessatoria e insofferente nei confronti della persona cui è diretta; per quanto non sia necessario individuare un disegno criminoso unitario relativo al complesso di azioni, la Legge richiede espressa coscienza e volontà di commettere una serie di fatti lesivi dell'integrità fisica e della libertà o della dignità della vittima, che nel loro complesso, superano il particolarismo delle singole condotte, ancorché punibili, ed assumono rilevanza penale nella loro volontà e struttura unitaria.
Pertanto, il reato di maltrattamenti è un'ipotesi di reato necessariamente abituale; esso non può risolversi in sporadici episodi di violenza o condotte occasionali, i quali, se non collegati tra loro dal vincolo della abitualità, possono al più essere puniti laddove costituiscano singole ipotesi di reato.
Trattandosi di un reato necessariamente abituale, ove la reiterazione dei fatti lesivi costituisce elemento oggettivo del reato, che lo scrimina dalle singole ipotesi delittuose poste in essere, i comportamenti lesivi devono essere la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile (Cass. 37019/2003); pertanto, qualora la condotta delittuosa si sia limitata ad uno o a sporadici atti lesivi nei confronti della vittima, l’imputazione per il reato di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p. dovrà essere respinta integralmente per lasciare spazio eventualmente, e su iniziativa del Pubblico Ministero procedente, alla contestazione dell'ipotesi di reato corrispondente.
Non osta, invece, alla contestazione del reato de quo la circostanza che la condotta lesiva sia posta in essere ai danni di un convivente; non soltanto la vittima non deve essere necessariamente in rapporto familiare con l'agente, ma neppure sono presupposti imprescindibili la coabitazione o la convivenza, bastando, soltanto, l'esistenza di una relazione più o meno continuativa.

Consolidando un orientamento assolutamente prevalente, la Corte di Cassazione ha recentemente sostenuto, qualificando come “famiglia di fatto” una convivenza con figli di durata ultradecennale, che non assume alcun rilievo la circostanza che l'azione delittuosa sia commessa ai danni di una convivente more uxorio, atteso che il richiamo contenuto nell'art. 572 c.p. alla famiglia deve intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo.
Ebbene sottolineare cche la Cassazione più volte è intervenuta sulla materia de quo. Infatti, secondo la Corte d'Appello di Trento, Sentenza 27 gennaio 2012, n. 380: "Il dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia, il quale deve caratterizzarsi per l'intento di infliggere sofferenze fisiche e morali al soggetto passivo, è di natura unitaria, in modo da non confondersi con la coscienza e la volontà di ciascun frammento della condotta, ma non è necessario che scaturisca da uno specifico programma criminoso rigorosamente finalizzato alla realizzazione del risultato effettivamente raggiunto. Ciò che la Legge impone è solo che sussista la coscienza e la volontà di commettere una serie di fatti lesivi della integrità fisica e della libertà o del decoro della persona offesa in modo abituale".
Ancora, secondo la Corte d'Appello di Trento, Sentenza 9 gennaio 2012, n. 353: "Integra la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 572 c.p. la condotta inerte, indifferente e silenziosa posta in essere dalla madre convivente della minore a fronte di comportamenti del suo compagno invasivi della sfera sessuale della figlia e perduranti nel tempo, non suscettibili affatto di essere fraintesi come affettuosità distorte o semplici confidenzialità, in quanto, al contrario, manifestazioni frequenti e prolungate di ben espliciti sfoghi di libidine, platealmente espressi ed attuati senza sottintesi, né mai plauditi da forme di ritegno o da accortezze di non essere visto o osservato. In circostanze siffatte, rilevato che il delitto previsto e punito dalla norma di cui all'art. 572 c.p. è reato a forma aperta ed a dolo generico, per il quale acquista rilevanza tutto ciò che cagioni, con carattere di continuità e permanenza nel tempo, sofferenze e degradazione della persona offesa, non può negarsi che la genitrice, titolare dei doveri genitoriali e della connessa autorità, consentendo i descritti comportamenti, generatori di ben visibili e manifestati turbamenti della figlia, abbia in tal modo concorso a determinare, con commissione mediante omissione, secondo lo schema dell'art. 40 c.p., uno stato di continua sofferenza e degradazione della figlia medesima, tale da integrare certamente l'ipotesi di maltrattamenti contestata. Nella specie, verificatesi le descritte circostanze, emerge con tutta evidenza la violazione del decoro e della dignità della giovane, lasciata dalla madre esposta alle invasività a sfondo sessuale del convivente, con una indifferenza sconfinata nella volontà di consentire quei comportamenti e, quindi, forzatamente, di accertarne gli effetti afflittivi sulla figlia, aggiuntivamente colpevolizzata dalle sue stesse parole minimizzarci, quando, addirittura contro di lei, prendeva le difese del suo uomo".
Secondo il Tribunale di Trento, Sentenza 19 gennaio 2012, n. 37: "Il fatto tipico del reato di cui all'art. 570, comma secondo, c.p. consiste nell'avere, il genitore, fatto mancare i mezzi di sussistenza al minore, espressione, questa, che comprende solo ciò che è strettamente necessario alla cita, a prescindere dalle condizioni economico-sociali pregresse degli aventi diritto, ed è condotta ben diversa dall'omesso adempimento dell'obbligo civilistico di mantenimento. Tale obbligo di contribuzione in favore dei figli minori e del coniuge economicamente non autosufficiente, invero, attiene ad un concetto di portata più ampia e comprende tutto quanto sia richiesto per assicurare un tenore di vita adeguato alla posizione economico-sociale della famiglia, a prescindere dallo stato di bisogno. Si rivela, dunque, giuridicamente errato istituire un rapporto di equivalenza o interdipendenza tra il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento, concordato o fissato dal Giudice civile, e la mancata prestazione dei mezzi di sussistenza, poiché ne conseguirebbe l'ingiusto risultato, da un lato, che andrebbe assolto colui che puntualmente paga un assegno di mantenimento insufficiente a garantire le esigenze fondamentali di vita e, dall'altro, che sarebbe condannato colui che, pagando solo in parte l'assegno di mantenimento, soddisfi, comunque, le menzionate esigenze fondamentali dell'avente diritto. Ciò rilevato, tuttavia, la distinzione di cui innanzi tra il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento stabilito dal Giudice in sede civile e la mancata prestazione dei mezzi di sussistenza per la prole minore diviene del tutto irrilevante, sul piano pratico, ogni qualvolta (come nella specie) il figlio minore non dispone di beni o di redditi propri ma dipende totalmente dai genitori ed uno di questi non provvede alle spese necessarie per la sua sussistenza, ovvero vi provvede in misura largamente insufficiente rispetto alle risorse proprie ed ai bisogni del minore, in quanto la condotta omissiva costituisce al tempo stesso inadempimento dell'obbligazione di natura civilistica e violazione della norma penale di cui all'art. 570 c.p".
Infine, secondo il Tribunale di Padova, Sentenza 2 febbraio 2012, n. 32: "E' imputabile del reato di maltrattamenti in famiglia il prevenuto che sottoponga a maltrattamenti la moglie convivente, aggredendola con violenze fisiche, percuotendola in diverse occasioni con calci e pugni, provocandole violenze psicologiche con frasi ingiuriose e denigranti la sua persona, causandone uno stato di profonda prostrazione sia fisica che psicologica. La condotta del prevenuto, connotata da una serie indistinta di vessazioni, quali offese verbali, denigrazioni morali, percosse, umiliazioni, portano all'accertamento della sua responsabilità penale per il fatto ascritto laddove, i fatti trovino preciso riscontro nella querela della parte offesa, nonché nei documenti allegati e nelle dichiarazioni di soggetti estranei alla vicenda, testimonianti, appunto, il clima di generale ed indistinta sopraffazione della parte offesa".