Secondo la Corte europea dei diritti dell'Uomo (sentenza del 2 novembre 2010), l'Italia si è resa inadempiente all'obbligo di rendere effettivo il diritto di visita del genitore non affidatario a fronte dell'atteggiamento ostativo dell'altro genitore.
 

La pronuncia della Corte riguarda un ricorso (n. 36168/09) presentato da un cittadino italiano contro lo Stato ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione della salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
 

In particolare il ricorrente lamentava la violazione dell'articolo 8[1] della Convenzione citata, che tutela il diritto al rispetto della vita familiare.
 

Egli, infatti, successivamente al divorzio, è stato costretto a chiedere continuamente l'intervento del Tribunale per i minorenni in quanto l'ex coniuge ostacolava il suo diritto di far visita al figlio minore, ogni quindici giorni.
 

Il Tribunale per i minorenni in linea di principio aveva dato ragione all'uomo, delegando ai servizi sociali il compito di assicurare le visite.
 

Nonostante il riconoscimento del diritto in linea di principio, il Tribunale non aveva in concreto stabilito le misure ed i mezzi necessari per assicurarne l'attuazione, limitandosi a prendere nota della situazione del bambino ed ordinando ai servizi sociali di proseguire il percorso terapeutico di quest'ultimo. Le autorità hanno così lasciato che si consolidasse una situazione di fatto in violazione delle decisioni giudiziarie, sebbene il semplice trascorrere del tempo determinasse delle conseguenze sempre più gravi per il ricorrente, privato dei contatti con suo figlio.
 

In proposito, la Corte europea ha evidenziato che l'adeguatezza di una misura deve essere giudicata anche in base alla rapidità della sua attuazione e che eventuali ritardi non possono essere giustificati, in quanto spetta a ciascuno Stato organizzare il proprio sistema giudiziario in modo da garantirne l'efficacia.
 

La Corte ha quindi ritenuto che i provvedimenti adottati dall'autorità italiana fossero del tutto inadeguati rispetto all'obiettivo da perseguire (effettività del diritto di visita).
 

In particolare il giudice italiano avrebbe adottato "misure automatiche e stereotipate senza adattarle al caso specifico, e che di fatto non hanno assicurato all'uomo di poter effettivamente godere del suo diritto a vedere il figlio".
 

Ciò si pone in contrasto con l'articolo 8 della Convenzione della salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che tutela appunto il diritto all'unità familiare.
 

Da ciò è conseguita la condanna dello Stato italiano al risarcimento dei danni morali per € 15.000 in favore del ricorrente, ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, secondo cui: "Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa".

Note

  1. ^Articolo 8 - Diritto al rispetto della vita privata e familiare.
    1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
    2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Testo della sentenza

Corte europea: Sentenza n.36168 del 2 novembre 2010

SECONDA SEZIONE – CAUSA PIAZZI C. ITALIA

(Ricorso n° 36168/09), SENTENZA STRASBURGO

2 novembre 2010

PROCEDIMENTO

1. All’origine della causa si trova un ricorso (n° 36168/09) contro la Repubblica Italiana con cui un cittadino di tale Stato, M. Alessandro Piazzi («il ricorrente»), ha adito la Corte in data 1° luglio 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione della salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Egli è rappresentato dinanzi la Corte dall’avvocato A. Forza del foro di Venezia.

Il Governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal funzionario, E. Spatafora, e dal co-funzionario, M.N. Lettieri.

3. Il ricorrente sosteneva in particolare la violazione del diritto al rispetto della sua vita familiare, garantito dall’art. 8 della Convenzione.

4. Il 22 ottobre 2009, la presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Secondo quanto consentito dall’art. 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si pronunci sulla ricevibilità e sul merito.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1960 e risiede a Rimini.

6. Nel 1989, il ricorrente sposò C. La coppia ebbe un figlio, L., nato il 13 novembre 1991.

7. Il matrimonio fu rapidamente segnato da tensioni ed incomprensioni, sicché i coniugi presentarono dinnanzi al presidente del tribunale di Napoli una domanda di separazione consensuale. La custodia del bambino fu attribuita a C. con il diritto di visita per il ricorrente.

8. Nel 1999, dopo il divorzio, C. sposò un professore universitario e si trasferì a 250 chilometri di distanza dal ricorrente.

9. Nell’aprile 2001, L. affermò alla nonna materna e allo psicologo che lo seguiva che egli aveva subito dei palpeggiamenti sessuali da parte di suo padre. C. non presentò denuncia contro il ricorrente ma si rivolse ad un avvocato che (ingiunse) ordinò al ricorrente di non incontrare più suo figlio.

10. Il 12 aprile 2002, a causa delle difficoltà incontrate nell’esercizio del suo diritto di visita, il ricorrente adì il tribunale per i minorenni di Venezia. Egli sosteneva che la sua ex moglie aveva influenzato suo figlio.

11. Con un decreto del 19 giugno 2002, il tribunale di Venezia affidò la custodia del bambino ai servizi sociali di Noventa Padovana (Azienda Sanitaria Locale – ASL) mantenendo il collocamento del bambino nel domicilio della madre e ordinò una perizia volta a verificare se uno dei due genitori avesse tenuto un comportamento pregiudizievole per il bambino e se, del caso, fosse opportuno che il bambino mantenesse un contatto con detto genitore.

12. Nel dicembre 2003, lo psicologo depositò la relazione che metteva in evidenza l’incapacità dei due genitori di esercitare «tutte le funzioni di un genitore». Inoltre, i tentativi della madre di aizzare il bambino contro il padre potevano condurre, nel caso di specie, ad una sindrome di alienazione parentale. Secondo lo psicologo, era improbabile che L. avesse subito dei palpeggiamenti sessuali da parte di suo padre. Questi eventi erano piuttosto il frutto dell’immaginazione del bambino. Secondo lo psicologo, era opportuno che il progetto di riavvicinamento tra L. ed il ricorrente fosse preceduto da una procedura di mediazione per i genitori.

13. Con un decreto del 1 dicembre 2003, il tribunale per i minorenni di Venezia, basandosi sulla perizia, limitò l’autorità genitoriale di entrambi i genitori sul bambino e, confermando la decisione del 19 giugno 2002, autorizzò il ricorrente ad incontrare il suo bambino in presenza degli assistenti sociali secondo le modalità stabilite dagli stessi servizi sociali. In particolare, il tribunale rilevò che la madre aveva avuto un comportamento consapevolmente volto ad escludere sia il padre che le autorità competenti. Ella aveva di fatto interrotto ogni rapporto del bambino con il padre. Il tribunale decise che era nell’interesse di L. ripristinare il rapporto con suo padre attraverso una preparazione ed un sostegno psicologico, con la partecipazione di uno psicoterapeuta scelto dai due genitori.

14. Gli incontri controllati dovevano avere luogo ogni quindici giorni per un’ora.

15. Il 2 dicembre 2003, il ricorrente contattò i servizi sociali al fine di poter incontrare suo figlio. In assenza di risposta, il ricorrente reiterò la domanda l’11 febbraio 2004.

16. L’8 marzo 2004, l’assistente sociale lo informò che, in assenza di precise indicazioni del tribunale, non poteva accogliere la sua istanza.

17. Il 26 giugno 2004, il ricorrente fu invitato a recarsi a Noventa Padovana per un colloquio con l’assistente sociale. Nel corso del colloquio, egli fu informato che d’ora in poi la sig.ra P. avrebbe seguito la pratica.

18. In una data non precisata, il ricorrente contattò per telefono la sig. P., che lo informò sui risultati scolastici di L.

19. Durante l’estate 2004, egli non ebbe alcun contatto con suo figlio.

20. Il 25 ottobre 2004, il ricorrente incontrò nuovamente la sig.ra P. ed i suoi collaboratori. Egli sostiene che questi ultimi l’avrebbero informato che l’impossibilità di incontrare suo figlio era dovuta all’intervento del marito della sua ex moglie, che era un rinomato professore universitario.

21. Con diverse lettere datate 5 ottobre, 20 ottobre e 22 dicembre 2005, il ricorrente sollecitò i servizi sociali affinché organizzassero un incontro con suo figlio in conformità alla decisione del tribunale.

22. Il 30 gennaio 2006, egli fu invitato a recarsi dalla sig.ra P. Una volta arrivato, fu informato che la sig.ra P. era malata e che la psicologa che seguiva suo figlio non era disponibile per un incontro.

23. Il 19 aprile 2006, il ricorrente si rivolse ancora una volta al tribunale per i minorenni di Venezia per domandare l’attuazione degli incontri con L.. Egli sostenne che non aveva potuto incontrare suo figlio e domandò al tribunale la custodia del bambino a causa dell’influenza negativa della madre.

24. Il 20 settembre 2006, il ricorrente non si presentò al colloquio con i servizi sociali.

25. Lo stesso giorno, il servizio di neuropsichiatria dell’ospedale di Padova depositò la prima relazione sulla situazione del bambino. I due psicologi avevano redatto la relazione dopo aver incontrato la madre, il patrigno ed il ricorrente. Tuttavia, nessun colloquio con il bambino aveva avuto luogo. La relazione parlava del fatto che il bambino era seguito da una psicoterapeuta e che per il momento a causa della fragilità emotiva del bambino, un riavvicinamento con il padre non era possibile. Peraltro, era opportuno continuare la psicoterapia.

26. Il 2 ottobre 2006, il ricorrente informò i servizi sociali che non poteva partecipare al colloquio del 4 ottobre 2006

27. Il 22 novembre 2006, il bambino dichiarò al tribunale di non volere incontrare il padre e minacciò di suicidarsi se il tribunale lo avesse obbligato.

28. Con un decreto del 13 giugno 2008, il tribunale constatò che il ricorrente non aveva incontrato suo figlio dal 2001 e che il decreto del 1° dicembre 2003 non era stato eseguito. Tenuto conto del rifiuto di L. di vedere il ricorrente, della necessità per il bambino di proseguire nel suo sostegno psicologico al fine di comprendere e di incanalare la sua rabbia verso il padre come pure delle osservazioni dei servizi sociali che avevano sottolineato che una ripresa dei rapporti con il ricorrente poteva essere estremamente traumatizzante per L., il tribunale confermò il decreto dell’1 dicembre 2003. Tuttavia, il tribunale rilevò anche che i servizi sociali avevano delegato alla madre del bambino la gestione del sostegno psicologico di L., e ordinò che i servizi sociali attraverso le loro strutture pubbliche seguissero il percorso psicologico di L. e controllassero, al tempo stesso, il comportamento della madre. Il tribunale ordinò ai servizi sociali di continuare il sostegno psicologico per L. come pure la procedura di mediazione per entrambi i genitori.

29. Il 6 novembre 2008 ed il 21 gennaio 2009, il ricorrente fu convocato dai servizi sociali. In questa occasione, il ricorrente domandò a questi ultimi se avevano incontrato il bambino. La risposta fu negativa. Si basavano sulle relazioni depositate dalla psicoterapeuta di L.

30. L’11 marzo 2009, il ricorrente domandò ai servizi sociali di recapitare una lettera al figlio.

31. In una data non precisata, il ricorrente propose appello al decreto del 13 giugno 2008. Sosteneva che non incontrava il figlio da oltre sette anni e domandò che il sostegno di L. fosse affidato ai servizi sociali di un altro comune.

32. Con decreto del 5 gennaio 2009, la Corte di appello di Venezia constatò che il decreto del 1° dicembre 2003 non era stato eseguito e che ciò era dovuto al rifiuto di L. di incontrare il padre biologico. La Corte di appello sottolineò che nessun incontro tra il ricorrente e suo figlio aveva avuto luogo dal 2001 ma che tuttavia, tenuto conto dell’età (17 anni) di L. e del suo rifiuto di vedere il padre, non era possibile accogliere la domanda del ricorrente. Di conseguenza, rigettò il ricorso e confermò il decreto del 13 giugno 2008.

33. Il 12 marzo 2009, il ricorrente si rivolse di nuovo al tribunale per i minorenni di Venezia domandando di dare esecuzione al decreto del 1° dicembre 2003. Con una decisione del 1° aprile 2009, il tribunale rigettò il ricorso del ricorrente per il motivo che il procedimento era archiviato e che sarebbe stato necessario presentare un nuovo ricorso.

IN DIRITTO

I. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

34. Il ricorrente adduce la violazione del suo diritto al rispetto della sua vita familiare derivante dal fatto che, malgrado l’esistenza di una decisione del tribunale per i minorenni che stabiliva le condizioni di esercizio del suo diritto di visita, non ha potuto esercitare questo diritto dal 2001. Egli ritiene che i servizi sociali hanno svolto un ruolo eccessivamente autonomo nell’attuazione delle decisioni del tribunale per i minorenni e che questi non ha esercitato il dovere di vigilanza costante sul lavoro dei servizi sociali affinché i comportamenti di questi non vanificassero le decisioni del tribunale.

OMISSIS

B. Valutazioni della Corte

52. Come la Corte ha sottolineato a più riprese, se l’articolo 8 ha essenzialmente per obiettivo di tutelare l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a questo impegno piuttosto negativo possono aggiungersi degli obblighi positivi inerenti il rispetto effettivo della vita privata e familiare. Tali obblighi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita familiare anche nei rapporti tra gli individui, compresa l’istituzione di un arsenale giuridico adeguato e sufficiente per assicurare i diritti legittimi degli interessati come pure il rispetto delle decisioni giudiziarie, o di appropriati specifici provvedimenti (vedi, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, n° 4842/99, § 53, 23 giugno 2005).

53. Concentrandosi sul caso di specie, la Corte constata anzitutto che al momento della separazione dei coniugi nel 1993, il ricorrente e la sua ex moglie avevano raggiunto un accordo sulle modalità del diritto di visita dell’interessato. Tuttavia, dopo il trasferimento ed il nuovo matrimonio della ex moglie (C.), quest’ultima ha molto presto cominciato ad opporsi, ed il ricorrente depositò nel 2002 un ricorso davanti al tribunale dei minorenni («tribunale») per domandare il rispetto del diritto di visita. Sua moglie sostenne che L. aveva rivelato di aver subito dei palpeggiamenti sessuali da parte del padre e della sua famiglia. In queste condizioni, il tribunale, in data 19 giugno 2002, ordinò una perizia sul bambino (paragrafo 11 di cui sopra). La relazione depositata dal perito ha messo in evidenza l’incapacità di entrambi i genitori di esercitare «tutte le funzioni di un genitore». Inoltre, i tentativi della madre di aizzare il bambino contro il padre potevano condurre, nel caso di specie, ad una sindrome di alienazione parentale. Secondo lo psicologo, era improbabile che L. avesse subito dei palpeggiamenti sessuali da parte del padre. In queste circostanze, il tribunale limitò l’autorità parentale di entrambi i genitori sul bambino ed autorizzò il ricorrente ad incontrare suo figlio in presenza degli assistenti sociali secondo le modalità stabilite dagli stessi servizi sociali. Gli incontri dovevano aver luogo ogni quindici giorni per un’ora. Le autorità avevano dunque l’obbligo di adottare delle misure volte a ricongiungerlo a suo figlio. Non è oggetto di controversia che le azioni intraprese da queste nel caso di specie non hanno raggiunto il risultato desiderato e che il ricorrente non vede suo figlio dal 2001.

54. Eppure, il fatto che gli sforzi delle autorità sono stati vani non porta automaticamente alla conclusione che lo Stato è venuto meno agli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione (vedi, mutatis mutandis, Mihailova c. Bulgaria, n° 35978/02, § 82, 12 gennaio 2006). In effetti, l’obbligo per le autorità nazionali di adottare delle misure al fine di riconciliare il padre ed il figlio che non vivono insieme non è assoluto, e sia la comprensione che la cooperazione di tutte le persone interessate costituiscono sempre un fattore importante. Se le autorità nazionali devono sforzarsi di facilitare tale collaborazione, un obbligo per loro di ricorrere alla coercizione in questa materia non può essere che limitato: bisogna tener conto degli interessi, dei diritti e delle libertà delle stesse persone, compresi gli interessi superiori del bambino e dei diritti che gli riconosce l’articolo 8 della Convenzione (Voleský c. Repubblica Ceca, n° 63267/00, § 118, 29 giugno 2004). Come la giurisprudenza della Corte riconosce in maniera costante, la più grande prudenza s’impone quando si tratta di ricorrere alla coercizione in questo delicato settore (Reigado Ramos c. Portogallo, n° 73229/01, § 53, 22 novembre 2005), e l’articolo 8 della Convenzione non può autorizzare il genitore a far adottare delle misure pregiudizievoli alla salute ed allo sviluppo del bambino (Elsholz c. Germania [GC], n° 25735/94, §§ 49-50, CEDH 2000-VIII). Il punto decisivo consiste, dunque, nel sapere se le autorità nazionali hanno preso, per facilitare il riavvicinamento, tutte le misure necessarie che si potevano ragionevolmente esigere dalle stesse in questo caso (Nuutinen c. Finlandia, n° 32842/96, § 128, CEDH 2000-VIII).

55. Nel caso di specie, di fronte all’impossibilità di attuare il suo diritto di visita stabilito dal decreto del 1 dicembre 2003, il ricorrente ha in primo luogo cercato l’assistenza dei servizi sociali al fine di fare rispettare detta decisione. Duro è constatare che nessun seguito è stato dato alle domande. Questa mancanza sembra ancora più grave se, tenuto conto dell’età del bambino (undici anni nel 2003) e del contesto familiare perturbato, il trascorrere del tempo aveva effetti negativi sulla possibilità per il ricorrente di riprendere un rapporto con suo figlio.

56. Nel 2006, il ricorrente domandò al tribunale l’attuazione della decisione del 1° dicembre 2003. Nel frattempo, e precisamente tre anni dopo il primo decreto del tribunale, i servizi sociali depositarono la loro prima relazione sulla situazione del bambino e della famiglia. La Corte constata che i due psichiatri che avevano redatto la relazione non avevano mai incontrato il bambino, che in compenso era seguito da un psicoterapeuta scelto dalla madre del bambino. La soluzione prevista nella relazione era di attendere una maggiore maturità del bambino, che per il momento rifiutava di vedere il padre.

57. Con decreto del 13 maggio 2008, il tribunale constatò la non esecuzione della sua decisione del 1° dicembre 2003 ed il fatto che i servizi sociali avevano delegato alla madre la gestione del sostegno psicologico del figlio. Tuttavia, tenuto conto del rifiuto del bambino di vedere il ricorrente, il tribunale ordinò che il bambino proseguisse il sostegno psicologico al fine di comprendere e di incanalare la sua rabbia verso il padre. Il Tribunale ordinò ai servizi sociali di controllare anche il comportamento della madre e di utilizzare nel percorso di sostegno del bambino le strutture pubbliche.

58. Va ricordato che in un caso di questo tipo, l’adeguatezza di una misura va giudicata in base alla rapidità della sua attuazione (Maire c. Portogallo, n° 48206/99, § 74, CEDH 2003-VII). In questo caso, il governo convenuto spiega il comportamento dei servizi sociali e del tribunale con l’impegno di non voler traumatizzare ulteriormente il bambino. La Corte osserva tuttavia che il 19 aprile 2006, il ricorrente aveva domandato al tribunale l’attuazione della decisione del 2003. Ora, il tribunale constatò la mancata esecuzione del provvedimento solamente nel 2008. La Corte rileva anche che dal 2003 nessuna relazione era stata depositata dai servizi sociali sulla situazione psicologica del bambino. Ad avviso della Corte, tali ritardi non possono essere giustificati poiché spetta a ciascun Stato organizzare il proprio sistema giudiziario in modo da assicurare il rispetto degli obblighi positivi che gli incombono in virtù dell’articolo 8 della Convezione.

59. Così, invece di adottare delle misure idonee a permettere l’attuazione del diritto di visita, il tribunale ha solo preso nota della situazione del bambino, ed ha ordinato ai servizi sociali di proseguire il percorso terapeutico del bambino constatando che questi si sentiva minacciato in presenza di suo padre e non voleva incontrarlo. La Corte ricorda, a questo proposito, che non si tratta di sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali competenti sulle misure che sono state prese poiché queste autorità sono in linea di principio in una posizione migliore per procedere a tale valutazione, in particolare perché tali autorità sono in contatto diretto con il contesto della causa e le parti implicate (Reigado Ramos c. Portogallo, già citato, § 53). Nel caso di specie, la Corte non può tuttavia trascurare il parere dello psicologo menzionato nel decreto del 1° dicembre 2003, secondo il quale i tentativi della madre di aizzare il bambino contro il padre potevano condurre alla sindrome di alienazione parentale. Non si può ignorare inoltre il fatto che, in data 16 maggio 2008, il tribunale ha rilevato che benché la mancata attuazione del diritto di visita del ricorrente non fu a lui imputabile, i servizi sociali avevano delegato alla madre di seguire il percorso terapeutico del bambino. Nonostante il fatto che nessuna valutazione psicologica fu condotta sulla famiglia, la Corte constata che costei si limitò a verificare lo stato delle cose ed a fare delle raccomandazioni di carattere generale.

60. La Corte riconosce che le autorità erano nel caso di specie in una situazione molto difficile a causa delle tensioni tra i genitori. Tuttavia, la mancanza di cooperazione tra i genitori separati non può esonerare le autorità competenti dal mettere in pratica tutte le risorse disponibili al fine di consentire il mantenimento del rapporto familiare (vedi, mutatis mutandis, Reigado Ramos, citato, § 55). Ora, in questo caso le autorità nazionali sono rimaste al di sotto rispetto a quanto si poteva ragionevolmente prevedere da loro: il tribunale ha delegato la gestione degli incontri ai servizi sociali, che dal loro canto hanno delegato alla madre la gestione del percorso terapeutico del bambino. E poi, sebbene il bambino abbia dichiarato di non voler vedere il padre, la Corte rileva che secondo la relazione del perito citata nel decreto del 1° dicembre 2003, era nell’interesse del bambino rincontrarlo. Le autorità hanno anche fallito nel loro dovere di adottare le misure pratiche in vista di sollecitare gli interessati ad una migliore cooperazione, pur tenendo presente l’interesse superiore del bambino (vedi Zawadka citata, § 67).

61. La Corte osserva che lo svolgimento della procedura dinanzi al tribunale fa piuttosto emergere una serie di misure automatiche e stereotipate, quali le successive domande di informazioni e la delega del sostegno ai servizi sociali a cui ordinava di far rispettare il diritto di visita del ricorrente. Le autorità hanno così lasciato che si consolidasse una situazione di fatto in violazione delle decisioni giudiziarie, sebbene il semplice trascorrere del tempo determinasse delle conseguenze sempre più gravi per il ricorrente, privato dei contatti con suo figlio. A questo proposito, non si può trascurare che al momento della sua audizione in tribunale, il minore si trovava già da qualche tempo sotto l’influenza esclusiva della madre, in un ambiente ostile all’interessato e che oltre 4 anni erano trascorsi senza un solo contatto tra il ricorrente ed il figlio. Per di più, la Corte osserva che i due psicologi che avevano redatto la relazione sulla situazione del bambino lavoravano nella stessa ASL del patrigno del bambino, professore universitario e capo del servizio. Non sembra che le autorità abbiano previsto, tenuto conto delle difficoltà per i genitori di accordarsi sulla scelta dello psicologo, che questi dovevano sottoporsi all’obbligo di seguire una terapia familiare (vedi Pedovi c. Repubblica ceca, n° 27145/03, § 34, 18 luglio 2006) o che gli incontri si svolgessero all’interno di strutture specializzate (vedi, per esempio, Mezl c. Repubblica ceca, n° 27726/03, § 17, 9 gennaio 2007; Zavel c. Repubblica Ceca, n° 14044/05, § 24, 18 gennaio 2007). In queste circostanze, la Corte stima che di fronte a tale situazione le autorità avrebbero dovuto prendere delle misure più dirette e più specifiche, volte al ripristino del rapporto tra il ricorrente e suo figlio. In particolare, la mediazione dei servizi sociali avrebbe dovuto essere utilizzata per rendere le parti più collaborative e gli stessi avrebbero dovuto, conformemente al decreto del 1° dicembre 2003, organizzare gli incontri tra il ricorrente e suo figlio. Ora, i tribunali nazionali non hanno preso alcun provvedimento appropriato per creare pro futuro le condizioni necessarie alla realizzazione di detto diritto di visita del ricorrente (Macready c. Repubblica ceca, n° 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010). Inoltre, la Corte osserva che, alla data odierna, L. è diventato maggiorenne.

62. Tenuto conto di quanto precede e nonostante il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali hanno omesso di esercitare gli sforzi adeguati e sufficienti per far rispettare il diritto di visita del ricorrente permettendogli, almeno, di ristabilire il contatto con il suo bambino, e così hanno ignorato il suo diritto al rispetto della sua vita familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione.

63. Pertanto, vi è stata violazione di detta disposizione.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

64. Secondo i termini dell’articolo 41 della Convenzione, «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. DANNO

65. Il ricorrente rivendica il risarcimento di un danno morale per la lunga separazione dal figlio, e per l’angoscia patita. Egli domanda 240.000,00 Euro.

66. Il Governo stima che questa somma sia eccessiva e richiama la giurisprudenza della Corte nella causa Bove c. Italia, (n° 30595/02, § 61, 30 giugno 2005) e Andlová c. Repubblica ceca (n° 995/06, § 113, 28 febbraio 2008).

67. Tenendo conto delle circostanze del caso di specie e dell’accertamento della rottura delle relazioni tra il ricorrente ed il suo bambino, la Corte considera che l’interessato ha subito un pregiudizio morale che non può essere risarcito dalla sola constatazione della violazione dell’articolo 8 della Convenzione. La somma richiesta a tale titolo è, tuttavia, esagerata. Avuto riguardo all’insieme degli elementi in suo possesso e statuendo secondo equità, come richiede l’art. 41 della Convenzione, la Corte assegna all’interessato 15.000,00 Euro per questa ragione. B. Costi e spese

68. Il ricorrente domanda le somme di Euro 33.724,79 a titolo di rimborso dei costi sostenuti dinnanzi i tribunali nazionali e di Euro 27.131,44 a titolo di rimborso dei costi sostenuti davanti la Corte.

69. Il Governo osserva che il ricorrente ha sommato due fatture, riguardanti i costi sostenuti dinanzi i tribunali nazionali, che non contengono alcuna lista dettagliata degli atti che le stesse sono destinate a coprire. Stima, inoltre, che le somme richieste sono eccessive e si rimette alla saggezza della Corte.

70. Per i costi sostenuti dinanzi i tribunali interni, la Corte rileva che, sebbene almeno parte di questi costi è stata esposta per correggere la violazione dell’artico 8 della Convenzione, le fatture prodotte non indicano nel dettaglio la natura delle prestazioni dell’avvocato del ricorrente.

71. Per ciò che concerne i costi sostenuti davanti la Corte, la stessa giudica eccessiva la somma domandata dal ricorrente.

72. In queste condizioni la Corte, statuendo secondo equità e tenendo conto delle prassi degli organismi della Convenzione, stima ragionevole assegnare ai ricorrente la somma di 5.000,00 Euro. C. Interessi moratori

73. La Corte giudica appropriato calcolare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità del prestito marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’,

1. Dichiara il ricorso ricevibile;

2. Accerta la violazione dell’articolo 8 della Convenzione;

3. Dispone a) che lo Stato convenuto debba versare al ricorrente, nei tre mesi dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva in conformità all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme: ii. 15.000,00 Euro (quindicimila euro), oltre ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per il danno morale; iii. 5.000,00 Euro (cinquemila euro), oltre ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per costi e spese; b) che a partire dalla scadenza del periodo e sino al detto versamento, questi importi sono maggiorati dell’interesse semplice al tasso legale della facilità del prestito marginale della Banca centrale europea applicato durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuali;

4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per l’eccedenza.

Fatto in francese, e poi comunicato per iscritto il 2 novembre 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

François Tulkens, Presidente