Nella formulazione originaria dell'art. 155 c.c. il legislatore si limitava ad affermare che il Tribunale, in sede di separazione dei coniugi, doveva individuare quale dei due dovesse tenere presso di sé i figli, cosicchè, in base a tale disposizione ed in coerenza con il diffuso costume sociale, il compito di curare ed accudire quotidianamente la prole veniva assegnato alla madre in oltre il 90% dei casi. Anche a seguito delle vivaci proteste mosse dalle associazioni dei padri separati, che rivendicavano un maggior riconoscimento del ruolo genitoriale paterno, si diede inizio ai lavori preparatori di una disciplina di riforma in tema di affidamento dei figli, sfociati nella Legge n. 54/2006, anche nota come legge sull'affido condiviso. Il concetto posto alla base di tale normativa, per quanto qui interessa, è presto detto: si afferma il principio della cosiddetta bigenitorialità postconiugale, ovvero del mantenimento di entrambe le figure genitoriali accanto al minore anche a seguito della crisi del rapporto di coppia, in considerazione del preminente interesse del figlio di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi e di continuare ad intrattenere rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ogni ramo genitoriale. Questo criterio generale di riferimento è formalmente sancito dal nuovo testo dell'art. 155 c.c., così come modificato. Peraltro non deve credersi che l'affidamento condiviso in quanto tale rappresenti una novità assoluta nel nostro ordinamento, come alternativa all'affidamento esclusivo precedentemente previsto. Anche nel sistema giuridico previgente, infatti, a decorrere dalla riforma attuata con la legge n. 74/1987, il legislatore contemplava la modalità dell'affido congiunto, per il quale, tuttavia, non era dettata alcuna compiuta disciplina, attualmente stabilita, invece, in modo dettagliato, con riferimento all'affido condiviso. Ne deriva che, nella situazione precedente, di fatto si riscontravano elevatissime percentuali di affidamento dei minori in favore di un solo genitore, mentre, a seguito della riforma del 2006 e delle applicazioni di essa nei primi anni di vigenza, il rapporto tra le due forme di affidamento può dirsi ribaltato. Il legislatore, infatti, indica attualmente in via prioritaria al giudice il modello dell'affidamento condiviso, ponendo invece come eccezionale l'ipotesi dell'affido esclusivo. Dunque, nel sistema attuale, l'affido del minore deve sempre cercare di realizzare, ove possibile, il concetto già enunciato della bigenitorialità postconiugale, che tuttavia deve necessariamente essere rapportato dal giudice alla situazione familiare concreta che va delineandosi. Tale principio è stato recepito fin dalle prime pronunce giurisprudenziali (cfr. Trib. Min. Trento, decreto 11 aprile 2006; Trib. Ascoli Piceno, decreto 16 marzo 2006, Trib. Catania, ord. 1 giugno 2006), in cui, tra l'altro, si rileva come l'esistenza di una normale conflittualità tra i coniugi per effetto della separazione non possa di per sé condurre il giudice a negare l'affidamento ad entrambi i genitori. Ancora, l'esistenza di una forte tensione tra padre e figlio non è stata ritenuta circostanza sufficiente ad escludere la disposizione dell'affidamento condiviso, se del caso supportato da adeguata terapia psicologica (cfr. Corte d'Appello di Catania, decreto 9 giugno 2008; Tribunale di Potenza, ordinanza 7 aprile 2008). Al contrario, è stato considerato non rispondente all'interesse del minore l'affido condiviso, qualora il padre o la madre, «avallando» la vita sregolata condotta dal figlio, abbiano dimostrato la propria inidoneità educativa (in tal senso, in particolare, si veda Tribunale di Catania, ordinanza 2 maggio 2008). Analogamente, una circostanza ostativa all'affidamento condiviso è stata individuata nella reiterata violazione, da parte di un genitore, dell'obbligo di mantenimento della prole, tenuto conto della gravità di una simile condotta (cfr. Tribunale di Catania, decreto 14 gennaio 2007). Si può pertanto tranquillamente sostenere che, nella normalità dei casi, oggi l'esercizio della potestà genitoriale spetta sia al padre sia alla madre, indipendentemente dalla figura con cui il minore conviva, ovvero entrambi hanno il diritto – dovere di assumere tutte le decisioni normalmente demandate alla coppia dei genitori in ordine alla vita del figlio, imprimendo ad essa un indirizzo ed una guida. Quanto alla scelta del cosiddetto genitore collocatario o convivente, poi, alcuni recenti provvedimenti hanno evidenziato come essa debba essere compiuta previa valutazione dell'attitudine del genitore ad essere un buon educatore ed a perseguire, primariamente, il corretto sviluppo psicologico del figlio, anche alla luce della sua capacità di non allontanare quest’ultimo dall’altra figura genitoriale, indipendentemente dalle ragioni del fallimento del matrimonio, garantendo così il più possibile le frequentazioni del coniuge con la prole minorenne, sempre nell'ottica del principio della bigenitorialità ripetutamente richiamato (cfr. Trib. Bari, decreto 10 marzo 2009). Ove, invece, l'autorità giudiziaria ravvisi che, nella fattispecie concreta, appare maggiormente idonea a soddisfare le esigenze del minore la soluzione dell'affidamento monogenitoriale o esclusivo, essa deve dettare disposizioni specifiche in relazione all'esercizio della potestà, senza che debba farsi necessariamente discendere dall'adozione del modello esclusivo il venir meno della potestà in capo al genitore non affidatario, dovendo comunque farsi salvo, per quanto possibile, il diritto del minore alla bigenitorialità. E' dunque possibile un'ipotesi di affido esclusivo con esercizio di potestà congiunto. Sempre in considerazione dell'estrema duttilità e flessibilità che caratterizza la nuova normativa in tema di affidamento, che qui si commenta, il terzo comma del nuovo testo dell'art. 155 c.c. consente inoltre al giudice di stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente su questioni di ordinaria amministrazione, così da aiutare, soprattutto nelle prime fasi dell'affido, la ricerca di un equilibrio nella gestione del figlio nel periodo successivo alla crisi familiare. Così, attribuendo, a titolo esemplificativo, ad uno solo dei genitori, la competenza ad adottare le decisioni in ambito sportivo o scolastico inerenti il minore, il giudice ha la possibilità di dare impulso all'affidamento condiviso, prevenendo i contrasti tra i genitori in una determinata materia. Da ultimo, preme sottolineare un'altra importante novità recata dalla recente riforma in tema di affidamento, ossia la tendenziale equiparazione dei genitori in relazione alle modalità di mantenimento del figlio minore. Se infatti, nel sistema previgente, il genitore affidatario provvedeva al mantenimento diretto della prole, mediante la diretta corresponsione ad essa di quanto le risultava necessario, mentre il genitore non affidatario era chiamato ad elargire all'altro genitore un assegno previamente determinato, perchè il ricevente lo impiegasse per soddisfare le necessità del figlio, allo stato attuale il mantenimento, in linea di principio, è diretto per entrambi i genitori, così da agevolare massimamente una continuazione del rapporto genitoriale, come esso si prospettava in costanza di convivenza della prole con entrambi i genitori. Ciò non vieta che il giudice, ove ne ravvisi la necessità, possa stabilire un assegno dall'ammontare determinato posto a carico di uno dei genitori, ma, in caso contrario, debbono essere preferite le forme di mantenimento diretto. Particolarmente esplicativa, a tale riguardo, appare un'ordinanza emessa dal Tribunale della Spezia il 14 marzo 2007, con la quale, essendo disposto un regime di affidamento condiviso della prole con suddivisione paritaria della convivenza e del tempo trascorso con ciascuno dei genitori, veniva statuita la revoca dell'assegno di mantenimento dei figli da parte di un genitore nei confronti dell'altro, provvedendo entrambi al mantenimento stesso mediante la preferibile forma diretta.