I riferimenti normativi in materia di disciplina di mantenimento dei figli sono attualmente costituiti dall'art. 155 e dall'art. 155 quinquies c.c., applicabili anche al divorzio per espressa previsione dell'art. 4 n. 2 della Legge n. 54/2006. A seguito di quest'ultima riforma, come già accennato, la novità sostanziale deve essere individuata nel venir meno dell'impostazione precedente dei rapporti economici con i figli, non più gestiti direttamente dal genitore affidatario, a cui il genitore non affidatario doveva esclusivamente corrispondere l'assegno stabilito dall'autorità giudiziaria, affinchè l'altro la impiegasse per le esigenze dei minori. Attualmente, invece, le norme richiamate stabiliscono che il giudice detti, relativamente ad entrambi i genitori, la misura e le modalità di contribuzione al mantenimento per i figli, privilegiando chiaramente la forma del mantenimento diretto, nel senso che ciascun genitore provveda direttamente a soddisfare i bisogni della prole, senza la consegna d alcuna somma di denaro periodica all'altro. Naturalmente, però, qualora tale situazione non si presenti concretamente realizzabile, l'autorità giudiziaria ben può prevedere la possibilità del mantenimento indiretto, totale o parziale, attraverso la corresponsione di un assegno periodico. Ciò premesso, al fine di evidenziare lo spirito della riforma del 2006, preme precisare che con l'espressione “mantenimento” il legislatore ha chiaramente inteso riferirsi non solo a quanto occorre per il mero sostentamento dei figli, ma anche a tutto ciò che è necessario per la loro educazione ed istruzione e, in generale, per le loro esigenze di vita sociale. Quindi il citato art. 155 c.c., nella sua formulazione vigente, al quarto comma, dispone che il giudice stabilisca, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico in favore dei figli, che risulti proporzionale al reddito del genitore obbligato e che debba essere altresì determinato, tenuto conto: 1) delle attuali esigenze del figlio; 2) del tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori; 3) dei tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) delle risorse economiche di entrambi i genitori, nonché, da ultimo, 5) della valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ogni genitore. Pertanto la posizione reddituale del genitore onerato dell'assegno, che indubbiamente costituisce il criterio base sul quale parametrare la somma periodica da versare in favore della prole, deve essere valutata complessivamente, ossia tenendo conto delle potenzialità economiche dei coniugi in senso ampio, comprensive anche di proprietà non immediatamente produttive di reddito o della disponibilità di spazi e veicoli, nonché, sebbene solo in ultima battuta, delle disponibilità economiche della famiglia di origine dei genitori stessi. La recente giurisprudenza della Suprema Corte sul punto, peraltro, ha ritenuto che non valga ad escludere o ridurre l'obbligo di mantenimento del genitore onerato l'eventuale contributo di tipo coniugale prestato dal convivente more uxorio del genitore affidatario o col quale il minore conviva (cfr. Cass., 3 agosto 2007, n. 17043). Nei limiti del possibile, il legislatore ha inoltre ritenuto di addossare prevalentemente ai genitori il peggioramento del tenore di vita che solitamente consegue alla separazione dei coniugi, cosicchè i figli risentano minimamente delle maggiori spese per alloggi e servizi che i genitori si trovino ad affrontare. I criteri sopra indicati, peraltro, dovranno essere osservati dal giudice anche in ordine alla previsione della partecipazione alle spese straordinarie relative ai figli, sia previste sia impreviste. Un maggiore approfondimento merita l'obbligo di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni. Attualmente, ai sensi dell'art. 155quinquies c.c., il giudice, valutate le circostanze del caso concreto, può disporre il pagamento di un assegno periodico in favore dei figli maggiorenni direttamente a questi ultimi; anzi, qualora l'autorità giudiziaria non disponga diversamente, tale somma dovrà essere destinata direttamente all'avente diritto, e non al genitore con il quale esso conviva. Chiarito tale profilo, occorre interrogarsi sulla durata di tale obbligo economico a carico del genitore non convivente, al fine di determinare, anche sulla base della giurisprudenza, in quale momento costui possa dirsi sollevato da quest'onere. In primo luogo preme richiamare la sentenza Cass., 7 aprile 2006, n. 8221, in base alla quale il termine dell'obbligo di mantenimento non può essere prefissato e determinato in astratto, ad esempio desumendolo dalla media della durata degli studi in una determinata facoltà e dalla normalità del tempo mediamente occorrente perchè un giovane laureato, in una data realtà, possa trovare impiego, bensì deve essere valutato soltanto sulla base del fatto che il figlio, sebbene i genitori gli abbiano assicurato le condizioni necessarie per concludere gli studi intrapresi e conseguire il titolo indispensabile per l'accesso alla professione desiderata, non abbia saputo trarne profitto. Ne deriva che l'obbligo di mantenimento inevitabilmente si protrae fino a quando il figlio non diventi autosufficiente o sia accertato che la mancata autosufficienza sia da attribuirsi ad una sua colpa, magari per avere egli ingiustificatamente rifiutato un'attività lavorativa pure idonea e consona alla sua situazione (in tal senso, Cass., 18 gennaio 2005, n. 951). Peraltro gli interpreti hanno avuto occasione di precisare, a tale riguardo, che la mancanza di autonomia economica del figlio non deve farsi coincidere con l'assoluta assenza di redditi, ma con la mancata percezione di redditi congrui e continuativi, idonei a garantire al giovane l'indipendenza, almeno in relazione alle fondamentali esigenze di vita; di contro, non è ritenuta necessaria, al fine del conseguimento dell'indipendenza economica, l'instaurazione effettiva di un rapporto di lavoro giuridicamente stabile (così Cass., 28 agosto 2008, n. 21773). Da ultimo, non bisogna dimenticare che l'onere di provare l'acquisita autosufficienza economica del figlio compete al genitore obbligato, il quale, per liberarsene, è appunto tenuto a dimostrare che il figlio è in grado di mantenersi autonomamente ovvero che la mancata autosufficienza economica discende da una sua responsabilità (in tal senso la Corte d'Appello di Catania ha ad esempio recentemente escluso il perdurare dell'obbligo di mantenimento in favore di una figlia la cui dedizione allo studio sia risultata tutt'altro che seria e fruttuosa: decreto 29 maggio 2008). Ai figli maggiorenni portatori di handicap gravi, a norma della Legge n. 104/92, si applicano ijnvece integralmente le disposizioni dettate in favore dei figli minori.