Il disturbo mentale del genitore non comporta l’automatico affidamento della prole in via esclusiva al genitore “sano”. Ogni situazione va valutata caso per caso e può eventualmente tradursi in una conferma dell’affido condiviso, proprio nell’interesse dei minori.
Infatti il Giudice, nel prendere una decisione, deve considerare esclusivamente l’interesse del minore.
Cosa significa interesse del minore?
 Quest’ultimo è dato dalla realizzazione dei suoi bisogni materiali, psicologici, affettivi, la cui mera imposizione dell’affidamento condiviso potrebbe non risolvere.
Ma quando si può affermare che l’affidamento condiviso è contrario agli interessi del minore?
La giurisprudenza di legittimità e di merito sono unanimi nel ritenere che può derogarsi all’affidamento condiviso quando la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore.
Strumenti di aiuto del Giudice per accertare l’idoneità e/o l’inidoneità del genitore sono indubbiamente la CTU, consulenza tecnica d’ufficio, di un medico o di uno psicologo/psichiatra, le relazioni dei servizi sociali di zona e l’ascolto dei figli se abbiano compiuto i 12 anni ma anche di età inferiore, ove capaci di discernimento (cioè in grado di elaborare idee e concetti in modo autonomo, di avere proprie opinioni e di comprendere gli eventi).
Con riferimento al problema della patologia psichica sofferta da un genitore appare rappresentativa la pronuncia in oggetto con la quale il Tribunale di Milano ha affermato che non bisogna ritenere, in modo aprioristico, la malattia psichica come una causa di impossibilità a crescere un bambino e, quindi, impeditiva dell’affidamento condiviso. Si è detto, infatti, che su chi soffre di una malattia mentale ricadono spesso preconcetti sociali che finiscono col “marchiare” spesso il soggetto come socialmente pericoloso, aggressivo o non curabile.
Difatti le persone sofferenti di disturbi mentali, se adeguatamente curate, possono recuperare capacità intellettive e razionali compatibili con una vita sociale attiva e produttiva ma se, invece, vittime dei pregiudizi, tendono a isolarsi peggiorando il proprio stato di esclusione.
In questo modo i danni alla persona finiscono per trovare origine non tanto nella patologia sofferta, ma nel fatto che il malato, intimorito da tali pregiudizi, tende a chiudersi in se stesso, rafforzando l’etichettatura che la società ha creato su di lui.
In altre parole non è detto che dalla patologia psichica derivi in automatico l’incapacità del genitore di prendersi cura dei propri figli, ma tale incapacità deve essere provata in giudizio con gli strumenti sopra elencati.
In particolare l’obiettivo della Consulenza sarà proprio quello di valutare la presenza e la gravità del disturbo (nevrosi, psicosi, disturbi della personalità, ecc.) e le capacità genitoriali precisando, eventualmente, in quale misura il disturbo mentale riscontrato influisce sulle capacità educative, suggerendo le soluzioni più adeguate ai fini dell’affidamento della prole.
In base al quadro psicologico delineato dal consulente, il giudice può adottare vari provvedimenti di affidamento della prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.
In presenza di un disturbo mentale grave, ad esempio, che limiti o escluda fortemente la capacità educativa di uno dei genitori, l’affidamento del minore all’altro si impone come scelta obbligatoria.
Nel caso sia presente, invece, un disturbo lieve che non incida sulla capacità genitoriale di crescere ed educare il figlio, lo stesso non rappresenta una controindicazione all’affidamento. 
Da tutto ciò consegue che la misura dell’affidamento dei minori, se giustificata per la sola patologia del genitore, costituirebbe non espressione dell’art. 155 c.c., bensì applicazione mera dei pregiudizi sociali.