Come molti sanno, a fine novembre 2017 è entrata in vigore la legge sul così detto “whistleblowing”, vale a dire la legge che intende proteggere i lavoratori dipendenti che segnalino ”reati o  irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato” (Legge n. 179/2017).
Gli aspetti più interessanti delle nuove tutele previste da tale normativa possono essere ricondotte a due ambiti, quello lavorativo e quello penale.
Per quanto riguarda l’ambito lavorativo, la nuova legge si pone l’obiettivo di evitare che i dipendenti più virtuosi, che decidano di portare allo scoperto le irregolarità poste in essere sul luogo di lavoro possa subire delle ritorsioni. E’ stato stabilito, infatti, il divieto di sanzionare, demansionare, licenziare, trasferire o sottoporre ad altra misura organizzativa che comporti effetti negativi sulle condizioni di lavoro e che sia motivata unicamente dalla segnalazione.
Non solo. Il lavoratore che sia stato licenziato a causa della sua segnalazione ha diritto ad essere reintegrato nel suo posto di lavoro.
Per quanto riguarda l’ambito penale, invece, è stata creata una tutela che si potrebbe definire indiretta, poiché nell’eventuale procedimento penale che dovesse derivare a carico di chi poneva in essere le irregolarità segnalate, l’identità del whistleblower è coperta dal segreto al pari degli altri atti di indagine. L’art. 329 cpp richiamato dalla legge recentemente approvata stabilisce che “gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”. Successivamente a tale momento, invece, il mantenimento del segreto sugli atti di indagine e, dunque, sull’identità del segnalatore viene rimessa alla decisione del Pubblico Ministero, il quale può:
  1.  disporre l’obbligo del segreto per singoli atti quando c’è il consenso dell’imputato oppure se la conoscenza dell’atto rischia di ostacolare le indagini relative ad altre persone;
  2. vietare la pubblicazione del contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni.
Ma il legislatore, sempre al fine di garantire maggiore protezione ai segnalatori, si è mosso anche su un altro piano.
Il codice penale prevede alcune ipotesi di reato derivanti dalla diffusione di informazioni che si avrebbe avuto l’obbligo di non rivelare. Si tratta, per quanto qui interessa, degli articoli n. 326, 622 e 623, che puniscono la violazione del segreto d’ufficio, del segreto professionale e dei segreti scientifici o industriali.
La legge 179/2017 ha previsto che, nel caso in cui procedere alla segnalazione comporti la diffusione di informazioni, dati o notizie coperte da segreto, “il perseguimento dell’interesse alla integrità delle amministrazioni, pubbliche e private, alla prevenzione e repressione delle malversazioni, costituirebbe giusta causa di rivelazione”.
Dunque, in fase di bilanciamento tra i diversi interessi coinvolti e contrapposti, ha ritenuto prevalente l’interesse a far emergere le irregolarità diffuse nel mondo del lavoro.
Quest’ultima esclusione della punibilità, tuttavia, non trova applicazione in due casi:
  1. se le notizie di cui è venuto a conoscenza il segnalatore sono state acquisite in occasione di un rapporto di consulenza professionale o di assistenza, ipotesi che, peraltro, potrebbero essere difficilmente fatte rientrare in quella del dipendente;
  2. nel caso in cui le modalità con le quali le informazioni coperte da segreto vengono comunicate all’organo deputato a riceverle siano “eccedenti” rispetto alla finalità, considerata degna di tutela, di eliminare un illecito.
Ad ogni modo, può essere utile ricordare che non esiste, in capo ai comuni cittadini, un generale obbligo di denunciare un reato di cui siano venuti a conoscenza, salvo il caso che si tratti di delitti contro la personalità dello Stato per i quali sia prevista la pena dell’ergastolo (ipotesi davvero rare, come quella del cittadino che porta le armi contro lo Stato italiano o presta servizio nelle forze armate di uno Stato in guerra contro lo Stato italiano, ex art. 242 cp).
Diversa è, invece, la posizione di chi comune cittadino non è, come nel caso dei pubblici ufficiali (tra cui devono essere fatti rientrare non solo i consulenti tecnici, i periti d'ufficio, gli ufficiali giudiziari, i curatori fallimentari, ma anche i portalettere, i capitreno e, in alcuni casi, gli impiegati comunali) e degli incaricati di pubblici servizi (tra cui secondo la giurisprudenza vanno inseriti, pe esempio, anche gli insegnanti delle scuole pubbliche).
Gli appartenenti a queste categorie, infatti, possono essere puniti nel caso in cui non procedano a denunciare o denuncino in ritardo un reato, purché si tratti di reato perseguibile d’ufficio e di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio o a causa del ruolo ricoperto.
Analogamente, anche i medici e, in generale, chi esercita una professione sanitaria, che abbiano “prestato la loro opera” in casi che possono presentare gli elementi di un reato procedibile d’ufficio possono incorrere in una sanzione penale nel caso in cui non procedano o procedano con ritardo alla denuncia del fatto all’Autorità competente.
Tornando, per concludere, alla Legge sul whistleblowing, l’obiettivo che si è posto il legislatore, riprendendo quanto si legge nel preambolo alla proposta di legge, è quello di “creare ambienti di lavoro più responsabili e promuovere un vero e proprio cambiamento sociale e culturale di dissociazione nei confronti dell’illegalità e di situazioni di pericolo, incentivando la segnalazione di situazioni critiche a tutela dell’interesse pubblico”.