La direttiva europea 85/557/CEE recepita dal nostro ordinamento con il Decreto Legislativo n°50 del 15/01/1992, prevede che i contratti conclusi dal consumatore in luoghi pubblici o aperti al pubblico, fuori dalla sede commerciale del venditore, debbano contenere l’informazione scritta circa il diritto dell’acquirente/consumatore di recedere dal contratto nel termine di sette giorni dalla sottoscrizione dello stesso.
Tuttavia, con particolare riferimento agli acquisti presso uno stand all’interno di fiere e/o saloni, la Suprema Corte di Cassazione ritiene che la disciplina contenuta nelle norme sopra citate non si applicabile (v. Cass. Civ. n°22863/2014), per i seguenti motivi.
La Direttiva dispone che le cautele in favore del consumatore – ed essenzialmente il diritto di recedere dal contratto entro un termine non inferiore a sette giorni –si applicano non solo ai contratti conclusi al domicilio del consumatore o nel suo posto di lavoro, ma anche a quelli conclusi “in area pubblica o aperta al pubblico”.
Trattasi di espressione ampia, il cui contenuto ed il cui ambito di applicazione devono essere determinati e circoscritti con riferimento alle finalità perseguite dalla Direttiva e dalla Legge che ne ha recepito le disposizioni.
Essa è da intendere riferita, cioè, non a qualunque negoziazione avvenuta in luogo pubblico o aperto al pubblico, ma solo ai casi in cui siano prospettabili autentiche esigenze di difesa del consumatore, a fronte di iniziative inattese, abusive, capziose, o comunque “sorprendenti”: ove il contesto sia tale da giustificare il dubbio che il consumatore sia stato indotto a concludere l’affare senza adeguate possibilità di valutare la convenienza dell’offerta e le sue reali esigenze.
Tali non possono essere considerati i luoghi pubblici o aperti al pubblico che siano appositamente destinati all’esposizione ed alla vendita dei beni e servizi del professionista, ai quali il consumatore accede perché tendenzialmente interessato al relativo acquisto, quale lo stand allestito all’interno di una fiera o di un salone di esposizione.
Fiere, saloni ed esposizioni hanno infatti finalità promozionali del proprio nome, marchio, immagine, ecc., in vista dell’incremento degli affari e delle vendite; ed il pubblico che vi accede è potenzialmente interessato ai prodotti esposti ed alle relative offerte.
In questi casi non si può propriamente dire che la contrattazione avvenga “fuori dai locali commerciali”, poiché lo stand si presenta come sede dislocata, pur se sporadica e provvisoria, di una parte dell’attività e degli affari dell’impresa, per il tempo per cui si protrae la manifestazione commerciale.
Neppure si può dire che il visitatore/consumatore venga sorpreso da un’improvvida iniziativa commerciale altrui, essendo l’accesso allo stand frutto di una sua scelta deliberata e consapevole, alla ricerca dei prodotti esposti ai quali è potenzialmente interessato, in uno dei luoghi lecitamente scelti dall’impresa per la loro commercializzazione.
Per tutti questi motivi le negoziazioni che si svolgono nell’ambito degli stands  delle fiere e/o saloni, non sono in linea di principio assoggettabili al D.Lgs. n°50/1992, pur se si tratti di luoghi ai quali il pubblico possa liberamente accedere.
Lecco, 16 aprile 2015.
Avv. Alan Binda