Notai: nessuna responsabilità se l’immobile venduto è abusivo.
Con la sentenza n. 11628 del 26 marzo 2012 la Cassazione ha affermato il principio secondo cui non sussiste alcun obbligo giuridico a carico del pubblico ufficiale rogante di verificare la corrispondenza al vero di quanto dichiarato dal venditore in ordine alla conformità del bene compravenduto agli strumenti urbanistici.
Il fatto: i giudici di merito avevano prosciolto dalle accuse del reato di cui all’art. 476 del codice penale (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici) due imputate alle quali veniva contestato di avere, in due successivi atti di compravendita dello stesso immobile, omesso di rappresentare al notaio come l’immobile fosse già gravato da abusi edilizi, quali l’esser stato trasformato - in assenza dello strumento abilitativo - da magazzino in abitazione civile, e che, come tale, fosse stato locato a terzi, inducendo quindi il notaio stesso a rogare un atto ideologicamente falso, nella parte in cui attestava la conformità dell’immobile agli strumenti urbanistici.
Nel ricorso presentato dalla Procura, per violazione di legge, si afferma che il giudice di merito non aveva tenuto conto che l’art. 46 del D.P.R. 380/2001 impone all’alienante di attestare la conformità dell’immobile oggetto della vendita, stabilendo che “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi ad oggetto il trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17.3.1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire e del permesso in sanatoria”.
Ricevuta questa dichiarazione, gli obblighi del notaio possono ritenersi assolti, non risultando dalle norme un suo obbligo di attivarsi, personalmente o tramite suoi delegati, ad eseguire ulteriori verifiche, atte ad accertare la corrispondenza al vero della dichiarazione ricevuta e quando ciò non emerga già dagli atti a sua conoscenza o comunque in suo possesso.
Nel caso in esame, continuano i giudici della Corte, è ravvisabile a carico delle imputate il reato di cui all’art. 483 del codice penale, che prevede l’ipotesi in cui il pubblico ufficiale si limiti a trasfondere nell’atto la dichiarazione ricevuta, della cui verità risponde solo il dichiarante in relazione a un preesistente obbligo giuridico di affermare il vero, mentre lo stesso pubblico ufficiale risponde solo della conformità dell’atto alla dichiarazione ricevuta.
(Avv. Gianluca Perrone)