Con notevole frequenza gli utenti pongono quesiti relativi alla legittimità o meno dei cosiddetti costi di disattivazione che vengono richiesti dalle varie compagnie di servizi di telefonia nel momento in cui ricevono una comunicazione di recesso o di trasferimento della linea ad altra compagnia.
Tali somme fino al 2007 venivano chiamate "penali" ed applicate agli utenti nel momento in cui decidevano di cambiare operatore telefonico o di esercitare il loro diritto di recesso dal contratto.
Poi è intervenuta la Legge n. 40/2007 (cosiddetto decreto Bersani bis) che ha vietato l'addebito di qualunque penale o spesa che non fosse giustificata da "costi degli operatori".
A questo punto gli operatori che hanno fatto? Hanno iniziato ad addebitare nelle bollette di chiusura i cosiddetti "costi di disattivazione", che di solito sono cifre di importo piuttosto alto, senza però fornire alcuna spiegazione.
Sul punto però bisogna ricordare che l'art. 1 comma 3 della suddetta Legge 40/2007 stabilisce che i contratti telefonici devono prevedere la facoltà del contraente di recedere o trasferire l'utenza presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell'operatore, non potendo inoltre imporre un obbligo di preavviso superiore a 30 giorni.
Tale previsione si applica a tutti coloro che sottoscrivono contratti per adesione, quindi non solo agli utenti consumatori ma anche ai contraenti business, dovendosi escludere solo per i grandi clienti business che hanno concretamente negoziato le clausole contrattuali.
Inoltre, dalla lettura delle condizioni contrattuali l'utente deve poter conoscere e comprendere le eventuali spese che verranno richieste nel caso in cui venga esercitata la facoltà di recesso o di migrazione dell'utenza verso altro operatore.
L'utente non deve versare alcuna penale, comunque denominata, a fronte dell'esercizio delle facoltà previste dalle legge, essendo ammesso solo l'addebito dei costi degli operatori che siano effettivamente sostenuti e dimostrabili. Tali costi sono in genere connessi alle operazioni di disattivazione o trasferimento e l'operatore, ove contestati, deve dimostrare la loro pertinenza e necessità.
Per il caso specifico della migrazione dell'utenza da un operatore ad un  altro, le attività di disattivazione coincidono con le attività tecniche di attivazione effettuate dal nuovo operatore che acquisisce il cliente e sono già remunerate da quest'ultimo: pertanto, non può che concludersi che in tale ipotesi l'addebito di "costi di disattivazione" è sostanzialmente ingiustificato e, ove preteso dalla compagnia telefonica, va contestato da parte dell'utente.
Diverso il caso della richiesta di disattivazione pura e semplice dell'utenza. In tal caso, come chiarito anche dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), è possibile addebitare costi per la disattivazione dei servizi, ma solo se effettivamente sostenuti e dunque dimostrabili secondo un criterio di pertinenza del costo da interpretarsi in modo oggettivo ed imparziale. 
Dunque, se dopo la comunicazione di recesso o di trasferiemnto dell'utenza si riceve una bolletta di chiusura recante addebito di costi di disattivazione che risultino non giustificati ed eccessivi, chi ha già effettuato il pagamento dell'intera somma fatturata può chiedere la restituzione dell'importo corrispondente ai costi di disattivazione illegittimi, mentre chi non ha ancora pagato può contestare tale importo e chiederne lo storno.  

Avv. Giovanni Luca SIMONE
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