In questo ultimo anno in cui il Covid-19 ha cambiato i piani di milioni di futuri sposi, molti hanno deciso di posticipare la data delle nozze per tutelare la propria salute e quella di tutti gli invitati. Nella maggior parte dei contratti relativi a questi eventi (così come in molti altri) viene riservato al cliente la possibilità di recedere pattuendo però la perdita della caparra confirmatoria versata. Sostanzialmente, agli sposi non verrà restituito quanto versato al momento della sottoscrizione dell’accordo in caso di ripensamento. E’ una forma di tutela riconosciuta dalla legge alla società scelta per l’evento, in quanto quest’ultima, riservando la data stabilita ad una determinata coppia, non ha potuto prendere altri impegni e dunque ha rinunciato ad altri eventuali guadagni nel rispetto dell’obbligo assunto. Per questo l’articolo 1385 del Codice Civile ha voluto tutelare il soggetto adempiente nei confronti di quello inadempiente stabilendo che se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra possa trattenerla.
Purtroppo, nonostante l’emergenza epidemiologica in corso, il cambio data non sempre è stato accordato agli sposi e questo ha portato gli stessi a dover recedere dal contratto e rinunciare alla caparra confirmatoria versata al momento della sottoscrizione. La funzione di questo tipo di caparra è infatti proprio quella di garantire la parte adempiente del contratto dal danno subito in caso di recesso della controparte; ha dunque una funzione risarcitoria concordata tra le parti.
Una volta inviato il recesso nelle forme previste dal contratto, alcuni sposi si sono visti richiedere l’ulteriore pagamento dell’Iva, calcolata sulla base dell’importo già corrisposto a titolo di caparra confirmatoria. Tuttavia, sulla caparra non è dovuto il pagamento dell’ulteriore somma calcolata a titolo di Iva. La richiesta in questione viene avanza a causa di un errore commesso da molti (non addetti ai lavori), cioè quello di usare in maniera interscambiabile il termine caparra e acconto.
Occorre dunque chiarire che: l’acconto costituisce la somma data dal contraente a titolo di pagamento di parte del prezzo; mentre la caparra confirmatoria, come sopra detto, ha funzione risarcitoria, e tutela la parte diligente contro la parte inadempiente. Tale funzione risarcitoria muta la sua natura solo al momento del saldo dell’intero importo dovuto; in tale circostanza la somma versata a titolo di caparra viene imputata al prezzo pattuito ed assume le vesti di un normale acconto.
Tale differenza è fondamentale perché, mentre sull’acconto l’Iva è dovuta e dunque legittimamente richiesta, sulla caparra confirmatoria questo ulteriore importo non risulta dovuto proprio in ragione della loro diversa natura (l’acconto costituisce una parte del prezzo pattuito sul cui totale viene calcolata l’Iva, mentre la caparra confirmatoria ha natura risarcitoria). Sia in ambito giuridico che fiscale è noto e concordemente sostenuto che sulle somme versate a titolo di risarcimento danni non è dovuta alcuna ulteriore somma calcolata a titolo di Iva.
Ciò è stato pacificamente chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la risposta all’interpello n. 74 del 2019, e avallato da conforme giurisprudenza di legittimità, in quanto è stato chiarito che le somme corrisposte a titolo di risarcimento danni non contribuiscono a formare la base imponibile.
La Corte di Cassazione (Cass. Ordinanza 3736/2019) ha infatti precisato che la caparra confirmatoria risponde ad autonome funzioni:
“oltre a costituire, in generale, indizio della conclusione del contratto cui accede, incita le parti a darvi esecuzione, considerato che colui che l’ha versta potrà perdere la relativa somma e la controparte potrà essere, eventualmente, tenuta a restituire il doppio di quanto ricevuto in caso di inadempimento ad essa imputabile;
inoltre, può svolgere funzione di anticipazione del prezzo, nel caso di regolare esecuzione del contratto preliminare, costituendo, invece, un risarcimento forfettario in caso di inadempimento di questo, poiché il suo versamento dispensa dalla prova del quantum del danno subito in caso di inadempimento della controparte”.
Pertanto, nell’ipotesi di regolare adempimento del contratto preliminare, la caparra è imputata sul prezzo dei beni oggetto del contratto definitivo, assoggettabili ad Iva, andando ad incidere sulla relativa base imponibile; nell’ipotesi di inadempimento, si determina il trattenimento della caparra che serve a risarcire la parte adempiente del contratto.
Anche la Corte di Giustizia UE nella sentenza 18 luglio 2007 causa C-277/05 ha confermato tale orientamento statuendo che un risarcimento non può costituire il corrispettivo di una prestazione e, per conseguenza, non fa parte della base imponibile dell’Iva.
Concludendo, può dirsi che alcuna somma è dovuta a titolo di Iva sulla caparra confirmatoria che assume natura meramente risarcitoria qualora il contratto sia risolto, e che solo in caso di conclusione dello stesso la caparra muta la propria natura in acconto sul prezzo, al quale invece è applicabile l’Iva.
A cura dell’Avv. Vanessa Bellucci
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