LA RESPONSABILITÀ PER I DANNI CAGIONATI DA ANIMALI

La responsabilità per i danni cagionati da animali è prevista e regolata dall'art. 2052 c.c., in forza del quale “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
Ai sensi della citata norma, quindi, il proprietario, o chi ne fa uso, è tenuto a rispondere dei danni cagionati dall'animale sulla base di una responsabilità oggettiva superabile esclusivamente con la prova del caso fortuito.
A tal proposito occorre specificare che per uso deve intendersi la piena disponibilità dell'animale, ai fini dell'utilizzo dello stesso secondo la sua natura e la sua destinazione economico-sociale.
La responsabilità i n oggetto, infatti, costituisce espressione del prinicpio ubi commoda, ibi et incommoda. Ne consegue, pertanto che il solo affidamento dell'animale per ragioni di custodia, di cura, di governo o di mantenimento, non valendo a trasferire il diritto di usare dell'animale per trarne vantaggi, non è idoneo a spostare a carico del terzo la responsabilità per i danni cagionati dall'animale stesso (Cass. n. 5226 del 30-11-77).
Diversamente, invece, deve ritenersi esclusa la responsabilità del proprietario in tutti i casi in cui il danno sia cagionato mentre l'animale, in virtù di un rapporto anche di mero fatto, sia utilizzato da altri e con il consenso del proprietario, per la realizzazione di un interesse autonomo, ancorché diverso da quello che il proprietario avrebbe tratto o di fatto traeva (Cass. n. 12025 del 12-09-2000).
Come sopra accennato, l'art. 2052 c.c. sancisce una presunzione di responsabilità, dalla quale il proprietario dell'animale, o in alternativa, chi ne faceva uso, può liberarsi solo attraverso la prova del caso fortuito.
Si tratta, pertanto, di una presunzione più forte di quella prevista dall'art. 2050 c.c., in forza cui è esente da responsabilità colui che, avendo cagionato un danno nell'esercizio di un'attività pericolosa, provi di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.


Nell'ipotesi in oggetto, infatti, come anche nel caso della responsabilità per cosa in custodia di cui all'art. 2051 c..c, il danneggiante può liberarsi dall'obbligo di rispondere per i danni arrecati dall'animale solo nell'ipotesi in cui provi il caso fortuito, ossia solo qualora provi che l'evento lesivo si è verificato per una circostanza estranea ed imprevedibile, che si sia posta come causa autonoma dell' evento dannoso e tale, quindi, da interrompere il nesso di causalità. A ciò deve , altresì, aggiungersi il fatto del danneggiato o di un terzo (ipotesi univocamente ricompresa dalla giurisprudenza di legittimità nella categoria del caso fortuito). All'uopo occorre, però, precisare che affinché il comportamento del danneggiato elida la presunzione di colpa ex art., 2052 c.c., è necessario che “detto comportamento colposo assorba l'intero nesso causale” (Cass. n. 3686 del 18/11/749. Da qui, ad esempio, l'esclusione da parte della Cassazione della responsabilità del danneggiato che era stato sbalzato da un mulo aggredito da alcuni cani. Secondo la Corte, infatti, non era ravvisabile una colpa del medesimo, tale da interrompere totalmente il nesso di causalità, nel fatto di non essere smontato dalla cavalcatura nell'approssimarsi ad una fattoria.
Nel caso fortuito, quindi, non potrà essere compreso nemmeno il fatto dell'animale che si sia comportato seguendo gli impulsi della propria natura. Infatti il proprietario, o l'utente, non potrà invocare a propria discolpa la mansuetudine abituale o la docilità dell'animale quale esimente della propria responsabilità, perché questa, come già rilevato, non si fonda su di una culpa in vigilando, ma bensì sulla sola relazione di riferibilità dell'animale al soggetto. Questo principio, del resto, è stato recentemente confermato dalla Corte di Cassazione che, disapplicando di fatto il decreto del Ministero della Salute contenente la lista delle razze cosidette pericolose, ha ribadito che pericolosi per l'altrui incolumità devono ritenersi non soltanto gli animali la cui ferocia è caratteristica naturale e istintiva, ma tutti quelli che, sebbene domestici, possono diventare pericolosi in determinati casi e determinate circostanze (Cass. n. 25474 del 05/07/2007).
La Suprema Corte ha infatti ribadito in più occasioni come la responsabilità discende direttamente dal rapporto di proprietà, o d'utilizzo, tra il proprietario e l'animale. Ne consegue che a nulla rileva la diligenza e l'aver provato di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno dimostrati eventualmente dal proprietario: egli sarà comunque responsabile del danno cagionato dall'animale.
Come detto, la responsabilità per i danni causati dall'animale grava alternativamente sul proprietario e sull'utente, a meno che questi non sia comproprietario dell'animale, integrando così un'ipotesi di responsabilità solidale.
In ipotesi di danno da animale, quindi, il danneggiato può decidere di agire sempre e comunque contro il proprietario, restando poi a carico di quest'ultimo l'onere di chiamare in garanzia l'utente.


Dott.ssa Federica Malagesi