In relazione alla responsabilità civile della Pubblica Amministrazione si pone il problema di quale sia la norma applicabile nel caso in cui un utente subisca dei danni a causa di un bene appartenente o comunque gestito dalla P.A. stessa (come ad esempio una strada). 

L’orientamento tradizionale della giurisprudenza della Corte di Cassazione, spesso peraltro contrastato dalla prevalente dottrina, è stato sempre costante nell’individuare il referente normativo della responsabilità della P.A., per i danni provocati dai beni ad essa appartenenti, nell’art. 2043 c.c. e nel principio generale del neminem laedere, escludendo invece la possibilità di applicare l’art. 2051, che prevede una responsabilità oggettiva per i danni provocati dalle cose che si hanno in custodia; norma quest’ultima da più parti invocata per ottenere una più ampia tutela degli utenti dei beni pubblici. 

Tale ricostruzione giurisprudenziale è però basata sostanzialmente sull’apodittica affermazione che non sarebbe possibile esigere un obbligo di custodia in capo alla pubblica amministrazione, con gli annessi doveri di vigilanza, riguardo ai beni facenti parte del demanio pubblico, a causa dell’estensione e dell’uso diretto e generalizzato degli stessi da parte dei cittadini. 

Per ravvisare una la responsabilità ex art. 2043 c.c. tale giurisprudenza richiede la presenza della c.d. “insidia o trabocchetto”, caratterizzati, dal punto di vista oggettivo, dalla non visibilità del pericolo, e dal punto di vista soggettivo, dalla non prevedibilità ed evitabilità del pericolo stesso (tra le tante: Cass. 30 luglio 2002 n. 11250; Cass. 12 giugno 2001 n. 7938). 

Spetta quindi all’utente di dimostrare che l’evento dannoso si è verificato a causa di una situazione di pericolo occulto; una volta però che il danneggiato abbia fornito una tale prova la responsabilità della pubblica amministrazione deve considerarsi accertata, a meno che la stessa non sia capace di provare che il danno poteva comunque essere evitato da una diversa condotta, più diligente, da parte del cittadino danneggiato. 

La dottrina ha però ripetutamente criticato questo orientamento giurisprudenziale, sottolineando come esso determinasse un ingiusto privilegio a favore della pubblica amministrazione ed una vera e propria disparità di trattamento tra i privati, gravati di un obbligo di custodia ex art. 2051 nei confronti dei terzi per le cose in loro proprietà (ad esempio su una strada privata), e il soggetto pubblico che risponderebbe nei confronti degli utenti solo ex art. 2043 c.c. (in tal senso si vedano: COMPORTI, Presunzioni di responsabilità e danni da manutenzione stradale, in Riv. Giur. Trasp., 1988, 551 e ss.; VITALE, Responsabilità della pubblica amministrazione per la custodia di beni demaniali, in Giust. Civ., 1997, 1711). 

Ma volendo ricostruire la disciplina della responsabilità della P.A. in base ai più recenti orientamenti giurisprudenziali è necessario esaminare se invece non sia possibile individuare un fondamento giuridico all’applicabilità dell’art. 2051 c.c. nei confronti della Pubblica Amministrazione 

La responsabilità dell’ente pubblico che è proprietario ed incaricato della gestione del bene, potrebbe infatti essere affermata in forza del disposto dell’art. 2051 c.c., in base al quale “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia”. 

Nonostante si sia, come detto, dibattuto per anni, in dottrina ed in giurisprudenza, sull’applicabilità di tale norma alla P.A., appare oggi emergere una certa tendenza nella giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, volta ad ampliare il ristretto ambito cui era limitata l’applicabilità di detta norma, soprattutto dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 1999, che ha chiarito che l’obbligo di custodire e la conseguente responsabilità della P.A. non possono essere esclusi sic et simpliciter per il solo fatto che oggetto della custodia siano beni demaniali. 

Il principio cardine in tema di responsabilità per le cose in custodia è quello per cui il custode deve essere stato “oggettivamente in grado di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sulle cose stesse” così la citata sentenza). 

In applicazione di tale principio la Consulta ha quindi criticato l’atteggiamento della giurisprudenza, anche di legittimità, che escludeva l’applicabilità dell’art. 2051 alla P.A. perché sui beni demaniali non sarebbe possibile un continuo ed efficace controllo idoneo ad impedire l’insorgenza di pericoli per i terzi a causa della “notevole estensione” dei detti beni e dell’ “uso generale e diretto” che ne fanno dei terzi. 

Tali elementi costituiscono però solo degli “indici” dell’impossibilità di un concreto esercizio del potere di controllo e di vigilanza sul bene medesimo; impossibilità che potrebbe essere ritenuta esistente “non già in virtù d’un puro e semplice riferimento alla natura demaniale e all’estensione del bene, ma solo a seguito di un’indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo e secondo criteri di normalità” (così ancora la Corte Costituzionale nella citata sentenza). 

In applicazione dei principi enunciati in questa pronuncia della Corte Costituzionale vi sono state quindi alcune recenti sentenze di giudici di legittimità e di merito che hanno riconosciuto l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. alla P.A. (si vedano ad esempio Cass. 13 gennaio 2003 n. 298, Cass. 15 gennaio 2003 n. 488, Cass. 23 luglio 2003 n. 11446; Trib. Roma, 2 dicembre 2003 n. 39075, Trib. Roma 3 dicembre 2003 n. 39082)
Prima fra tutte emerge la sentenza n. 11446 del 23 luglio 2003 della Corte di Cassazione la quale ha ribadito come debba ritenersi applicabile il disposto dell’art. 2051 c.c. “ogni qualvolta non sia ravvisabile l’oggettiva impossibilità di un esercizio del potere di controllo da parte dell’ente sulla strada in custodia”; spetta quindi al giudice di merito comunque valutare tali elementi e “motivatamente stabilire se sussisteva o meno la possibilità oggettiva del comune di esercitare un potere di controllo sulle condizioni della strada”. 

In applicazione di detto principio di diritto la Suprema Corte, nella pronuncia sopra citata, ha quindi cassato una sentenza della Corte d’Appello di Milano la quale appunto, uniformandosi al tradizionale indirizzo della giurisprudenza, aveva negato il risarcimento del danno per le lesioni subite da un neonato caduto a terra insieme alla madre a causa di una buca formatasi sul manto stradale; nella specie, la Corte d’Appello non aveva quindi ravvisato alcuna responsabilità del Comune di Voghera in relazione alla mancata manutenzione del tratto di strada in cui era avvenuto il fatto. La Cassazione ha invece sottolineato come, trattandosi di strada che attraversava un centro abitato, appariva meno difficoltoso il continuo controllo delle condizioni della stessa e dunque esigibile una maggiore vigilanza da parte dell’ente incaricato della sua gestione. 

Appare dunque condivisibile il nuovo orientamento che emerge dalle recenti pronunce della Cassazione, non solo perché permette di eliminare quello che, come detto, la dottrina considera un ingiustificato privilegio attribuito dai giudici alla pubblica amministrazione; ma anche perché motivare l’esclusione del criterio di imputazione della responsabilità per danno da cose in custodia con la giustificazione che non sarebbero esercitabili in concreto un controllo e una vigilanza sui beni demaniali a causa della loro estensione, sembra in realtà una applicazione errata dell’art. 2051 c.c. 

Questa norma delinea infatti, per costante ed unanime giurisprudenza, una responsabilità fondata esclusivamente sul rapporto oggettivo intercorrente tra la cosa e il custode, al quale, per liberarsi, è concessa solo la possibilità di provare il caso fortuito. 

Allora l’art. 2051, prevedendo un’ipotesi di responsabilità oggettiva, e quindi una presunzione di responsabilità e non di colpa, rende irrilevante che vi sia o meno una possibilità di controllo sul bene, che richiamerebbe invece il profilo soggettivo della colpa per non aver esercitato una custodia pur possibile in concreto (così E. MASCI, La responsabilità della pubblica amministrazione per difettosa manutenzione di strade: un difficile inquadramento, in Giust. Civ., 2003, 1358).