(sent. 1/2011 corte dei conti sezioni riunite della corte dei conti pubblicata il 18 gennaio 2011).

Nelle ipotesi di danno erariale, la giurisdizione penale e quella civile per risarcimento danni sono indipendenti da quella amministrativo-contabile, talchè non si può configurare un conflitto di giurisdizione, ma si può solo ipotizzare una reciproca interferenza nelle modalità concrete dell'esercizio della giurisdizione e quindi nei rapporti tra giudizi (Cass. Civ. SS.UU. n. 639/ord 1991; id. 5943/1993).

La sentenza delle Sezioni Unite 822/99 del 23 novembre 1999 ha puntualizzato che la giurisdizione penale e quella civile risarcitoria, da un lato, e la giurisdizione amministrativa-contabile, dall'altro, sono reciprocamente indipendenti nei profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale e che l'interferenza può avvenire tra giudizi, ma non tra giurisdizioni.

La giurisprudenza contabile afferma che l'eventuale duplicazione dell'azione risarcitoria, inammissibile per il principio del "ne bis in idem", immanente nel nostro ordinamento, determina, pertanto, la carenza non di giurisdizione, ma di semplice interesse processuale.

Tali principi sono aderenti a quelli affermati nella sentenza della Corte Costituzionale n. 773/1988, secondo cui non esiste una giurisdizione esclusiva in materia di danno arrecato alla P.A. ben potendo coesistere due diverse azioni risarcitorie esercitabili entrambe sino a quando attraverso anche una sola delle due azioni sia stato conseguito integralmente il bene delle vita oggetto della domanda (Corte dei conti Sezione I, sentenza n. 331/A del 14.11.2000).

Da quanto sopra emerge la conferma ulteriore dell'autonomia dell'azione contabile rispetto a quella civile, anche a quella civile di danno inserita nel processo penale.

Nella sostanza, da un unico atto o fatto possono conseguire effetti giuridici diversi, ciascuno dei quali rilevante sotto differenziati profili giuridici; pertanto da un unico fatto può nascere una responsabilità penale, una responsabilità disciplinare, una responsabilità civile di natura extracontrattuale, una responsabilità contabile di natura contrattuale.

In conclusione, quando il comportamento di amministratori e dipendenti pubblici venga in rilievo in sede penale per reati contro la p.a., nasce in favore dell'Amministrazione un'azione di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., da esercitarsi innanzi al giudice civile o al giudice penale come in qualsiasi altra ipotesi di danno patrimoniale da reato, ma il medesimo comportamento, indipendentemente dalla sua qualificazione in sede penale, allorchè viene in rilievo come inadempimento di obblighi di servizio dà ingresso ad una azione di responsabilità amministrativo contabile.

Ne consegue che se non vi è sovrapponibilità tra azione civile nascente da reato e l'azione di responsabilità amministrativo-contabile conseguente all'inadempimento colposo di obblighi di servizio perché diversi sono i presupposti, diversi gli effetti, diverse le discipline giuridiche delle due azioni, la preclusione dell’azione contabile di danno  può sussistere solo se stabilita dall'odinamento.

In forza di quanto detto (autonomia dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile rispetto all'azione civile di danno; diversa titolarità delle due azioni, l'una intestata al procuratore Generale /Regionale presso la Corte dei conti, l'altra all'Amministrazione danneggiata) il rapporto tra le due azioni può esplicarsi in termini di preclusione o di improcedibilità solo quando con l'una sia stato ottenuto l'integrale ristoro del danno patito e cioè il medesimo bene della vita oggetto dell'azione, ovvero quando resti del tutto escluso che vi sia un illecito di qualsivoglia natura e conseguentemente un danno in favore dell’amministrazione che si assume danneggiata.

In questi casi, infatti, viene a mancare o ab origine o nel corso del giudizio l'interesse ad iniziare e/o a proseguire l'azione.

Sul punto, peraltro, si rileva che qualora il danno- in sede contabile – sia stato qualificato dalla Procura regionale come il danno che avrebbe potuto prendere in considerazione il giudice penale, ad es. la indebita percezione dei finanziamenti comunitari, ma in sede penale la P.A. NON SI E’ COSTITUITA PARTE CIVILE, in caso di condanna penale del funzionario della p.a. residua per l’Amministrazione sia l’azione civile di risarcimento, sia l’azione contabile.

I CASO Quid juris se la sentenza penale prosciolga gli imputati?

II CASO Che accade se i soggetti del giudizio penale non sono gli stessi del giudizio contabile (es. giudizio penale contro imputati di indebita percezione di finanziamenti e giudizio contabile contro il collaudatore) e gli imputati vengono assolti con sentenza passata in giudicato?

III CASO In presenza di accertamenti definitivi sulla inesistenza del danno civile e penale, sussiste – ed in cosa consiste – il danno all’immagine ex art. 2059 c.c.?

IL I CASO

Secondo i principi generali, nel processo penale la parte danneggiata puo’ costituirsi parte civile, ma la sentenza penale di proscioglimento passata in giudicato fa stato nel senso che è preclusa l’azione di danno in sede civile, avendo la p.a. deciso di costituirsi parte civile.

In tal caso, qualora la Procura Regionale chieda il danno erariale per  gli stessi fatti legittimanti l’azione civile, si tratta degli stessi danni scaturenti da fatti che il Giudice penale ha accertato non sussistere; in sostanza se i presunti autori degli illeciti penali nel procedimento penale vengano assolti, ed in tale sede si è costutita la p.a., come è preclusa l’azione civile deve ritenersi preclusa l’azione di danno erariale vertente sugli stessi fatti, salvo che la procura non richieda il danno come puro danno all’immagine, di cui infra.

Se non esiste il reato di indebita percezione dei finanziamenti, e la p.a. si è costituita parte civile, non puo’ esistere ne’ un danno civile, ne’ un danno erariale, salvo ovviamente che sia intervenuto il patteggiamento, in ordine al quale la sentenza penale avrebbe un effetto neutro.

Se, invece, la p.a. non si è costituita parte civile, la sentenza penale che assolve gli imputati non pregiudica l’azione civile, che dunque puo’ essere liberamente esercitata dalla p.a., ovviamente nei limiti prescrizionali ed è del tutto evidente che se puo’ essere accertato il danno in sede civile, puo’ essere accertato anche il danno erariale; in questo senso, se il danno erariale richiesto dalla Procura Regionale coincide con quello richiesto in sede civile, non vi è alcun dubbio che l’esito di tale azione debba influenzare anche il giudizio contabile, posto che se per ipotesi in sede civile fosse accertato che la P.a. non ha diritto ad alcun danno, non si vede come potrebbe essere tenuto a rispondere di danno erariale il funzionario della P.a.

La sentenza penale di proscioglimento e la sentenza civile che respinge le domande di condanna della p.a. configurano il difetto di causalità accertato in ogni sede, con la conseguente inesistenza del danno erariale.

Se, infatti, vi fossero state circostanze atte a determinare l’evento – il danno - queste sarebbero certamente le condotte dei soggetti autori degli illeciti e dunque non puo’ ritenersi sussistente un danno rivelatosi anch’esso inesistente per inesistenza di tutte le asserite condotte illecite.

Infatti,  le regole dettate dagli articoli 40 e 41 c.p. si applicano anche all’illecito civile e amministrativo, perché il nesso causale, cioè il rapporto che lega la condotta illecita all’evento dannoso costituisce elemento strutturale anche di quelle responsabilità (Cass. 10.10.2008 n. 25028) .

II CASO

E’ ancora piu’ complesso stabilire il rapporto tra giudizio contabile ed altri giudizi, quando gli imputati del procedimento civile o penale  (con il solito esempio l’indebita percezione dei finanziamenti) siano soggetti diversi (es. gli imprenditori) dal soggetto sottoposto al giudizio contabile (es. collaudatore).

Puo’ avvenire che la Procura regionale, in sede contabile, prospetti e contesti un danno al collaudatore o funzionario responsabile del controllo, di importo pari – a parte la possibile graduazione – alla indebita percezione del finanziamento da parte degli imprenditori,  quando gli stessi imprenditori siano stati invece assolti in ogni sede (civile e penale) talchè si pretenderebbe di addebitare un danno erariale che la P.a. non ha subito.

L’assurdo ed ingiustificato procedimento non puo’ in alcun modo essere ritenuto legittimo, al di là di tutte le tecniche giuridiche; se gli autori degli illeciti sono stati prosciolti e la P.a. non ha subito alcun danno (ne’ perche’ nel I caso si è costituita parte civile,  né perché ha iniziato l’azione civile di danno ed è risultata soccombente ) non puo’ ritenersi che il Funzionario sia tenuto a rispondere di un danno che non  sussite.

III CASO

IL DANNO ALL’IMMAGINE

Una problematica ulteriore riguarda la richiesta di condanna in sede erariale del cd. danno all’immagine, indipendentemente dall’esito degli altri giudizi.

Con riferimento all'art. 2059 c.c., la lesione di un interesse costituzionalmente protetto, esigente la riparazione mediante indennizzo secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. in particolare sentenze nn. 8827 e 8828 del 31.5.2003) comprende ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona comprendendo tra essi il danno (definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona stessa.

Alla stregua di tale interpretazione, recepita anche dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 233 del 2003, deriva che il danno non patrimoniale trova collocazione nella previsione dell'art. 2059 c.c..

Sul danno all’immagine si è pronunciata di recente la Corte dei Conti a Sezioni Riuntite (sentenza n. 1/2011 pubblicata il 18 gennaio 2011).

Questo il quesito: se per la configurabilità del danno all’immagine delle amministrazioni pubbliche occorre sempre che il soggetto danneggiante arrechi un pregiudizio identificabile con le spese sostenute o sostenibili per il ripristino dell’immagine (c.d. danno-conseguenza), e soltanto se sia data prova della effettiva o probabile erogazione, ovvero se ricorra danno all’immagine anche ove l’amministrazione non abbia effettuato spese per il ripristino del prestigio leso (c.d. danno-evento)”.

Nella fattispecie, il Procuratore regionale aveva chiamato in giudizio un tale, richiedendo il risarcimento del danno di € 10.000,00 (Diecimila/00) subito dall’Agenzia delle entrate per la Puglia.

Nei confronti dell’incolpato era stato aperto presso la Procura della Repubblica di Bari un procedimento penale iscritto al n. 21665/04 per il reato di concorso in concussione.

All’arresto in flagranza di reato erano seguite l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari e la sentenza del G.U.P. n. 389 del 18/24 maggio 2005, di applicazione della pena (sospesa) di anni due di reclusione, divenuta irrevocabile in data 24 luglio 2005.

L’atto introduttivo aveva precisato che la vicenda non aveva cagionato danno patrimoniale all’Amministrazione finanziaria, sotto il profilo di maggiori spese o minori entrate, pur determinando un notevole nocumento alla sua immagine, reputazione, prestigio e credibilità istituzionale.

La Procura regionale aveva inoltre richiamato la configurazione del danno come “danno-evento”, piuttosto che come “danno-conseguenza”, in applicazione dei principi di diritto affermati dalle Sezioni riunite della Corte dei conti nella decisione n. 10/QM/2003 del 24 marzo 2003.

La sezione remittente ha preliminarmente rilevato, ai fini della verifica della giurisdizione, che non poteva trovare applicazione la novella legislativa di cui all’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009, convertito nella legge n. 102/2009 e s.m., con cui “(..) è stata limitata la promovibilità della azione erariale e, di riflesso, la giurisdizione della Corte dei conti, in relazione alle ipotesi di danno all’immagine della Pubblica amministrazione, con la conseguente sanzione della nullità processuale degli atti processuali ed istruttori compiuti in violazione di detti limiti, anche per quanto concerne i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della conversione del decreto legge n. 78/2009 (..)”.

Infatti nella fattispecie il danno all’immagine era stato correttamente ricollegato dal Procuratore regionale ad un reato (concussione) rientrante nella categoria dei reati contro la Pubblica amministrazione ed era intervenuta sentenza irrevocabile, come prescritto dal citato art. 17, comma 30-ter, del decreto legge n. 78/2009, convertito nella legge n. 102/2009 e s.m., che subordina – appunto - a queste due condizioni la possibilità di perseguire in sede contabile le condotte causative di danno all’immagine delle amministrazioni pubbliche.

Ciononostante, il giudice a quo ha richiesto una rimeditazione della complessa problematica, da parte delle sezioni riunite, che hanno cercato di risolverla, in via definitiva, con la decisione n. 10/QM/2003, ma in ordine alla quale permangono i contrasti in giurisprudenza ed irrisolti alcuni snodi fondamentali. Ciò al fine di evitare – osserva ancora il remittente - il formarsi di orientamenti giurisprudenziali che sono in contrasto con le elaborazioni della giurisprudenza della Corte di cassazione e della dottrina civilistica, giacché non è pensabile che vi possano essere tante nozioni di danno quanti sono gli ordinamenti nei quali se ne faccia applicazione e tenuto conto, altresì, che soltanto le disposizioni del codice di rito si applicano in quanto compatibili (ex art. 26 r.d. 1038/1933) ai giudizi innanzi alla Corte dei conti, ma non le norme del codice civile, di cui il giudice contabile deve fare applicazione senza deroghe (..)” (cfr. ord. remissione).

Nella sentenza I/2011 la Corte dei Conti a Sezioni riunite osserva che “Il giudice remittente, dopo aver operato preliminarmente una ricostruzione ampia ed articolata delle nozioni di danno non patrimoniale, di danno esistenziale, di danno all’immagine  alle persone giuridiche e in particolare alla pubblica amministrazione, con riferimento all’evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale, della Corte di cassazione e della Corte dei conti,perviene alla constatazione dell’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza della Corte dei conti, la quale risulterebbe – secondo il remittente - in parte ferma su una qualificazione del danno all’immagine in termini di “danno evento”, non in linea con l’evoluzione seguita dalla Corte di cassazione, ormai pervenuta alla diversa configurazione dello stesso danno in termini di “danno conseguenza”. Il superamento di detto contrasto necessiterebbe in particolare una riconsiderazione delle affermazioni contenute nella sentenza n. 10/QM/2003, con le quali le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno, a suo tempo, provveduto alla definizione dell’istituto ai fini della giurisdizione contabile.

Sempre in punto di ammissibilità, continua la Corte nell’affermare che “la Procura generale osserva altresì come “la sentenza n. 143/2009 del 9 aprile 2009 della Terza Sezione centrale d’appello, richiamata dal giudice remittente nell’ordinanza di remissione, non appare, invero, prospettare un superamento dell’impostazione consolidata sul danno all’immagine, tale da evidenziare un contrasto giurisprudenziale con le altre sezioni di appello;” .. “ In particolare, attraverso ampi richiami alla predetta sentenza n. 143/2009 (richiamata e confermata nei suoi contenuti anche dalla più recente sentenza n. 305/2010 del 21 aprile 2010), la Procura generale rileva come “dalla lettura della stessa si evince che la Sezione terza centrale ha già operato una ampia riflessione sulla configurazione del danno all’immagine alla Pubblica amministrazione rientrante nella giurisdizione contabile, anche alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 26972/2008 dell’11 novembre 2008, che il giudice remittente ha posto a base del provvedimento di rimessione, confermando nella sostanza l’impianto giurisprudenziale consolidato, comprendente anche la sentenza delle Sezioni riunite n. 10/QM/2003”. . “ In sostanza detta decisione fornisce – a parere della Procura generale - gli elementi necessari ad una corretta interpretazione della nozione di danno all’immagine, anche in relazione alla giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi successivamente alla emissione della sentenza delle Sezioni riunite n. 10/QM/2003, e ciò senza ritenere necessaria una nuova decisione di massima al riguardo.

Secondo la citata sentenza 1/2011, “la più recente giurisprudenza contabile di appello, pur non ignorando i recenti approdi della Corte di cassazione richiamati nell’ordinanza di rimessione, esprime orientamenti uniformi e consolidati sulla individuazione, sulla prova e sulla quantificazione del danno all’immagine  alla pubblica amministrazione rientrante nel proprio ambito di giurisdizione, sicché non risulta sussistente il contrasto giurisprudenziale sostenuto nell’ordinanza di rimessione. “

Questa la tesi della Procura:

a) vi è uniformità di orientamenti, nell’ambito delle Sezioni centrali di appello, in ordine alla configurazione e quantificazione del danno all’immagine alla pubblica amministrazione

b) tali orientamenti tengono conto anche delle decisioni adottate dalle Sezioni unite della Corte di cassazione 11 novembre 2008, n. 26972 e n. 26975 in punto di danno;

c) la questione di massima appare configurare un contrasto di orientamenti in ordine alla classificazione del danno all’immagine tra le anzidette decisioni della Corte di cassazione e quanto espresso dalle Sezioni riunite della Corte dei conti nella sentenza n. 10/QM/2003 del 23 aprile 2003 di cui viene chiesto il ripensamento, così individuando un’ipotesi di contrasto giurisprudenziale fra giudici di diverse giurisdizioni, che non appare rientrare nell’ambito delle previsioni normative sulla disciplina delle questioni di massima di competenza delle Sezioni riunite della Corte dei conti;

d) gli stessi assetti definitori in tema di danno non patrimoniale indicati dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nelle sentenze n. 26972 e n. 26975 del 2008 non appaiono di per sé costituire orientamenti definitivi o non superabili, come evidenziato dalla stessa Corte di Cassazione nella sentenza n. 29191 del 12 dicembre 2008, sulla distinzione fra danno morale e danno non patrimoniale;

e) l’espressa attribuzione normativa alla Corte dei conti in materia di danno all’immagine ricollega direttamente detta ipotesi dannosa all’art. 2059 c.c., con una conseguente, chiara indicazione dei criteri e parametri di riferimento in ordine alla individuazione e quantificazione di tale fattispecie;

f) la consolidata giurisprudenza contabile di appello in precedenza richiamata, sviluppatasi sulla base della sentenza delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 10/QM/2003 del 23 aprile 2003, e tuttora confermata nel suo impianto generale, ha raggiunto una definizione puntuale e analitica dei presupposti e dei criteri di riconoscimento del danno e degli elementi per la sua quantificazione, così assicurando il rispetto dei necessari limiti rispetto ad un possibile, non controllato ampliamento delle richieste risarcitorie, in linea con quanto affermato dalla stessa Corte di cassazione;

g) anche qualora si voglia procedere ad una riqualificazione del danno all'immagine in termini di “danno conseguenza”, ciò non sembra comportare gli effetti indicati nell’ordinanza di rimessione, dovendosi considerare che anche la recente evoluzione normativa determina la necessaria affermazione della configurabilità del danno all'immagine in termini di “danno non patrimoniale” con riferimento all'art. 2059 c.c. e alle specifiche disposizioni di legge che ne prevedono il risarcimento. In tal modo va precisato che il danno (“non patrimoniale”) previsto nelle anzidette disposizioni normative, anche se inteso come “danno c.d. conseguenza”, è costituito “dalla lesione” all’immagine dell’ente, “conseguente” ai fatti lesivi direttamente individuati dal legislatore come potenzialmente produttivi della lesione stessa (compimento di reati o altri specifici casi), da non confondersi con “le spese necessarie al ripristino”, che costituiscono solo uno dei possibili parametri della quantificazione equitativa del risarcimento.

Nella citata sentenza 1/2011 la Corte conferma l’impostazione seguita dalla Terza Sezione centrale d’appello nella sentenza n. 143/2009 del 9 aprile 2009 - condivisa anche dalla più recente giurisprudenza delle altre sezioni di appello (cfr. Sez. giur. app. per la Regione siciliana, n. 103/2010 dell’11 marzo 2010, nonché Sez. II centr. app., n. 106 del 29 gennaio 2008, e, da ultimo, Sez. II centr. app., n.  294 del 15 giugno  2009, e Sez. I centr. app., n. 494 del 2 ottobre 2009) – che fornisce gli elementi necessari per una corretta interpretazione della nozione di danno all’immagine, anche in relazione alla giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi successivamente alla sentenza di queste Sezioni riunite n. 10/QM/2003, e ciò senza ritenere necessaria una nuova decisione di massima al riguardo.

Al riguardo, precisa la Corte che nella sentenza n. 143/2009 del 9 aprile 2009, la Terza Sezione centrale d’appello, operando una rivisitazione di sintesi anche alla luce della giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione intervenuta dopo la sentenza di queste Sezioni riunite n. 10/QM/2003 (cfr. SS.UU. Cassazione n. 26972 e n. 26975 dell’11 novembre 2008), ha affermato, fra l’altro, che “(..) a fronte della intervenuta lesione dell’immagine pubblica, negli amministrati, o se si vuole nello Stato Comunità, si incrinano quei naturali sentimenti di affidamento e di “appartenenza” alle istituzioni che giustifica la stessa collocazione dello Stato apparato e degli altri enti, e specialmente degli enti territoriali (quali enti “esponenziali” della collettività residente nel loro territorio), tra “le più rilevanti formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell’uomo”, ex art. 2 della Costituzione. Il recupero di tali sentimenti e, con essi, il recupero dell’immagine pubblica, – ha osservato ancora la Terza Sezione centrale d’appello nella riferita sentenza n. 143/2009 - è essenziale per l’esistenza stessa della Pubblica amministrazione e impongono di intervenire per ridurre, in via preventiva, ed eliminare, in via successiva, i danni conseguenti alla lesione della sua dignità e del suo prestigio, con ovvie implicazioni anche di costi per l’Erario. In questa ottica, - ha affermato la Terza Sezione d’appello nella richiamata sentenza n. 143/2009 - da tempo la Corte regolatrice ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti sul danno all’immagine della Pubblica amministrazione, quale danno conseguente alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell’immagine e della personalità pubblica che, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di una valutazione patrimoniale, sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso” (cfr. SS.UU. Cass., n. 5668/1997 e successivo consolidato indirizzo, per il quale si veda, tra le tante, SS.UU. Cass., n. 744/1999; Id., n. 17078/2003; Id., n. 14990/2005; Id., n. 20886/2006; Id., n. 8098/2007). “Trattasi, dunque, - ha affermato ancora la Terza Sezione d’appello - di un vero e proprio danno patrimoniale e non già di un “danno non patrimoniale”, (..) ovvero di un “danno patrimoniale in senso lato”; (..) trattasi, inoltre, di danno da responsabilità contrattuale e non già extracontrattuale, da ricondurre perciò all’art. 1218 c.c. e non già all’art. 2043 c.c., in quanto, come chiarito dalla Suprema Corte con la seconda delle pronunce che ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti in materia (cfr. SS.UU. Cassazione n. 744/1999), interviene tra i medesimi “soggetti attivi e passivi” di un qualsivoglia altro danno erariale, ed in “violazione dei medesimi doveri funzionali” di servizio”.

La Corte respinge, cosi’ la tesi ipotizzata nell’ordinanza di remissione, per la quale non vi sarebbe danno all’immagine “in assenza di spese di ripristino”, perché in contrasto con la stessa ricostruzione del danno in termini di “danno conseguenza” , con la conclusione che il danno all’immagine della Pubblica amministrazione (“non patrimoniale”), anche se inteso come “danno c.d. conseguenza”, è costituito “dalla lesione” all’immagine dell’ente,“conseguente ai fatti lesivi produttivi della lesione stessa (compimento di reati o altri specifici casi), da non confondersi con “le spese necessarie al ripristino”, che costituiscono solo uno dei possibili parametri della quantificazione equitativa del risarcimento, rilevando altresi’ che , quand’anche fosse ravvisabile una diversità di orientamenti in tema di danno all’immagine fra la giurisprudenza della Corte dei conti e la giurisprudenza della Corte di Cassazione, come pure ipotizzato dal giudice remittente ai fini della prospettata questione di massima, la stessa, più che configurare un effettivo contrasto giurisprudenziale orizzontale in secondo grado, atto ad introdurre, in base alla vigente normativa, un intervento nomofilattico per la risoluzione di una questione di massima da parte delle Sezioni riunite, raffigurerebbe  una asserita diversità di orientamenti in ordine alla classificazione del danno all’immagine tra le anzidette decisioni delle Sezioni unite della Corte di cassazione (sent. nn. 26972 e 26975 dell’11 novembre 2008) e quanto espresso da queste Sezioni riunite della Corte dei conti nella sentenza n. 10/QM/2003 del 23 aprile 2003.

Tale conclusione appare criptica e comunque di difficile interpretazione; infatti, se la nozione del danno all’immagine poggia comunque sull’art. 2059 c.c., non è chiaro come la giurisprudenza contabile possa discostarsi dalla giurisprudenza di legittimità; né come il funzionario possa rispondere di danno erariale, ossia di danno all’immagine,  ex art. 2059 c.c. qualora non vi siano accertamenti in altre sedi ne’ sulla illiceità del fatto – penale- ne’ sul danno – in sede civile.

4 Febbraio 2011

Avv. Stefania Comini

Ultimo aggiornamento (Martedì 08 Febbraio 2011 13:09)