Per condizioni generali di contratto si intendono quelle clausole che un soggetto, definito predisponente, utilizza al fine di dare una regolamentazione uniforme ai suoi rapporti contrattuali.

I
n altri termini, si tratta di clausole predisposte da un imprenditore, al fine di regolare in maniera uniforme i rapporti con la propria clientela, che hanno ad oggetto l’erogazione di beni o servizi, come ad esempio nel caso dei contratti di somministrazione di gas, acqua, energia elettrica, etc. Ne consegue che tali clausole non sono frutto di specifiche trattative relative alla conclusione del singolo contratto ma, al contrario, sono identiche per tutti i rapporti contrattuali aventi il medesimo contenuto. I contratti che ne derivano sono definiti contratti per adesione o di massa, in quanto destinati a regolare una serie indefinita di rapporti ed inoltre aventi un contenuto predisposto unilateralmente dal professionista, che l’aderente si limita ad accettare non potendovi apportare alcuna modifica. In altre parole, il contraente forte impone un certo regolamento contrattuale, rigido e uniforme, al contraente più debole.  Va però precisato che perché si configuri la fattispecie del contratto per adesione non è sufficiente che uno dei contraenti abbia predisposto l’intero contratto al quale l’altra parte ha prestato adesione, ma occorre che lo schema negoziale sia precostituito e le condizioni generali siano determinate mediante appositi strumenti (moduli o formulari) in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti ( Cass. 24 marzo 2003 n. 4241). L’art. 1341 I° comma del codice civile stabilisce che “ Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza”. Il 2° comma dell’art. 1341 c.c. prevede poi che “(…) non hanno effetto se non sono specificatamente approvate per iscritto le condizioni che stabiliscono a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni,(…)” In altre parole, la norma in esame in considerazione della possibile debolezza contrattuale del contraente aderente, che molto spesso coincide con il consumatore, disciplina il regime giuridico delle condizioni generali di contratto, subordinando l’efficacia delle stesse al rispetto di due condizioni fondamentali. In primo luogo, le c.g.c. predisposte da una parte vincolano l’aderente solo se al momento della conclusione del contratto (non successivamente) sono da lui conosciute o conoscibili mediante l’ordinaria diligenza, cioè senza compiere particolari sforzi. A fronte di ciò viene previsto in capo al predisponente l’onere di pubblicità, ossia l’obbligo di renderle conoscibili all’aderente attraverso l’uso di un linguaggio intellegibile. Le clausole, pertanto, devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile a pena di inefficacia e/o nullità. In caso di dubbio sul senso di una clausola prevarrà l’interpretazione più favorevole al consumatore. Il 2° comma dell’art. 1341 c.c. disciplina la situazione specifica nella quale le c.g.c. rilevano come clausole vessatorie, ossia clausole che determinano un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, nel senso che le stesse abbiano l’effetto di aggravare la posizione del consumatore favorendo al contrario il professionista/aderente. Ricorrendo tali ipotesi, affinché venga riconosciuta l’efficacia vincolante delle clausole vessatorie nei confronti del contraente debole, queste dovranno essere approvate “particolarmente” per iscritto da quest’ultimo, in modo tale da potersi evincere, attraverso tale adempimento, la sua consapevolezza di assumere un obbligo gravoso. La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione numerose volte si è pronunciata sulla questione precisando che, affinché tale requisito sia soddisfatto, occorre un’apposita sottoscrizione avente ad oggetto la medesima clausola. Pertanto, non può ritenersi a tal fine idonea la sola firma apposta in calce al modulo a stampa predisposto dall’altro contraente, al contrario, l’approvazione della stessa dovrà avvenire attraverso sottoscrizione specifica e separata, senza che sia necessario che alla sottoscrizione stessa segua una letterale enunciazione della clausola. Nell’ipotesi in cui il consumatore/aderente decida di accettare più clausole vessatorie dovrà manifestare tale volontà, attraverso apposita dichiarazione scritta ove vengano richiamate espressamente tutte le clausole. L’art. 33 del Codice del consumo, dopo aver definito le clausole vessatorie, elenca una serie di clausole che si presumono tali sino a prova contraria. Ad esempio, è qualificata vessatoria la clausola che deroga al principio del foro del consumatore. Può accadere, infatti, che nei contratti conclusi tra professionista e consumatore sia prevista una clausola avente come effetto quello di individuare il giudice territorialmente competente a dirimere l’eventuale controversia tra le parti in quello avente sede in una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore. La presunzione di vessatorietà vale sino a prova contraria, cioè viene meno nel caso in cui si dimostri che la stessa ha formato oggetto di trattativa individuale. Tale onere di prova incombe sul professionista. Con riferimento invece alle clausole che escludono la responsabilità del professionista, è stata ritenuta vessatoria e dunque inefficace e nulla la clausola che escludeva la responsabilità di un ente gestore del servizio di emissione di carte di credito, per l’omesso controllo di conformità delle firme recate negli scontrini con quella apposta sulla carta di credito in caso di abusivo utilizzo da parte di estranei, addossando al titolare tutti i rischi discendenti dall’omissione al dovere di custodia della medesima. Oppure, è stata considerata vessatoria la clausola contenuta nel contratto di vendita di una macchina limitante l’obbligo del venditore alla sostituzione dei pezzi rotti per accertato difetto materiale ed escludente il diritto del compratore di chiedere la risoluzione ed il risarcimento dei danni, in quanto limitativa della garanzia dei vizi ammessa dall’art. 1490 c.c. Infine, va segnalato l’ art. 37 del Codice del consumo, che ha sostituito l’originaria disciplina di cui all’art. 1469sexies del codice civile, che ha introdotto la legittimazione collettiva delle associazioni dei consumatori e dei professionisti per agire in giudizio al fine di inibire l’inserimento di clausole vessatorie nelle c.g.c. Al consumatore si prospettano due strade ugualmente percorribili: può agire uti singulus in via repressiva, per ottenere in giudizio la declaratoria di inefficacia della clausola afferente il suo contratto; in secondo luogo, in via preventiva e per il tramite delle associazioni rappresentative può ottenere che attraverso la suddetta azione inibitoria venga impedita l’immissione sul mercato di clausole abusive. L’inibitoria può essere concessa ricorrendo motivi di urgenza, in altre parole le clausole “incriminate” devo rilevare come suscettibili di recare un pregiudizio a beni e /o servizi c.d. essenziali, in quanto diretti a soddisfare interessi primari dei consumatori (quali la vita, la sicurezza, la salute, l’alimentazione, l’illuminazione elettrica, etc.) che altrimenti verrebbero irreversibilmente o irreparabilmente pregiudicati. Va ricordato, infine, che la legge Finanziaria del 2008 ha previsto l’introduzione nel nostro ordinamento della class action, azione collettiva risarcitoria e tutela dei consumatori.