La garanzia per i vizi costituisce un elemento naturale della compravendita e comporta per il venditore l’obbligo di garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che possano diminuirne il valore o renderla inadatta all’uso cui è destinata (art. 1490 c.c.).
I vizi coperti dalla garanzia sono individuati dalla giurisprudenza in quelle imperfezioni materiali della cosa inerenti ad anomalie nel processo di produzione, fabbricazione e formazione, ed in genere ogni altra imperfezione od alterazione della cosa stessa (cfr. Cass., 19 ottobre 1994, n. 8537).
Come detto, però, non tutti i vizi sono rilevanti ai fini della garanzia, ma solo quelli che comportino una diminuzione apprezzabile del valore della cosa oppure che siano tali da rendere la cosa stessa inidonea all’uso cui è destinata, avendo riguardo alla sua funzione economico-sociale o alla particolare funzione prevista nel contratto.
Non è però dovuta tale garanzia se al momento della conclusione del contratto il compratore era a conoscenza dei vizi di cui era affetto il bene oppure se tali vizi erano facilmente riconoscibili dallo stesso (art. 1491 c.c.)
Il compratore, nel caso in cui riscontri nel bene acquistato la presenza di vizi, ha a disposizione due rimedi alternativi (in quanto l’esercizio dell’uno impedisce il ricorso all’altro): la risoluzione del contratto (actio redibitoria), che obbliga il venditore a restituire il prezzo e l’acquirente a restituire la cosa, e la riduzione del prezzo (actio quanti minoris), che tiene in vita il contratto con una riduzione però del prezzo di acquisto in proporzione al diminuito valore del bene.
Peraltro l’esercizio di dette azioni è sottoposto ad un regime particolare per quanto riguarda la decadenza e la prescrizione: il compratore deve infatti denunciare, a pena di decadenza, il vizio entro 8 giorni dalla scoperta (ma questo sembra valere solo per i vizi occulti, giacché l’art. 1511 prevede, per la vendita di cose da trasportare, che il termine decorra dal giorno della consegna nel caso che i vizi siano apparenti), fatto salvo un diverso termine previsto dagli usi o dalla legge.
In ogni caso, l’azione si prescrive entro un anno dalla consegna della cosa.
Qualsiasi azione venga esercitata, l’art. 1494 attribuisce poi al compratore anche un diritto generale al risarcimento dei danni, a meno che il venditore non provi di non aver conosciuto senza colpa l’esistenza dei vizi, nonché un diritto più specifico al risarcimento dei danni subiti dal compratore stesso o da altri suoi beni a causa dei vizi della cosa acquistata (cfr. BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI, NATOLI, Diritto Civile, 3, Obbligazioni e Contratti, 1989, p. 325).

Diversa dalla garanzia per i vizi è la mancanza di qualità promesse o essenziali, che l’art. 1497 c.c. assoggetta comunque alla stessa disciplina per quanto attiene alla decadenza e alla prescrizione dell’azione.
Infatti il secondo comma di quest’ultimo articolo opera un rinvio al disposto dell’art. 1495 c.c. che, come detto, fissa il termine di decadenza di otto giorni dalla scoperta, in capo al compratore, per far valere la garanzia per i vizi della cosa, ed un termine di prescrizione di un anno dalla consegna per esercitare la relativa azione.
Peraltro la prevalente dottrina (cfr. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tr. Vassalli, pp. 888 e ss.) sembra individuare una completa uniformità di disciplina tra mancanza di qualità e presenza di vizi, estendendo anche alla prima la possibilità di esercitare l’azione estimatoria per ottenere la riduzione del prezzo pagato.
La giustificazione di una tale parificazione risiederebbe nel fatto che sia l’azione di risoluzione che quella di riduzione del prezzo costituirebbero rimedi generali (ovvero esperibili a fronte di qualsiasi inadempimento) posti a tutela del contraente, salva l’operatività dei già ricordati termini abbreviati di decadenza e di prescrizione che non riguardano però il contenuto delle azioni.
La giurisprudenza e parte della dottrina non sembrano però condividere questa impostazione, in quanto solo l’azione con cui si facciano valere i vizi della cosa rappresenterebbe un’azione di garanzia in senso stretto, mentre quella prevista dall’art. 1497 rientrerebbe nella disciplina ordinaria degli inadempimenti contrattuali, tanto che ad esempio la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 639/00, ha richiesto, in applicazione delle norme generali sulla risoluzione, che sia dimostrata la colpa del venditore (cfr. CIAN-TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, 2004, p. 1473).
Si considerano qualità del bene quegli elementi sostanziali che ne caratterizzano la funzionalità, l’utilità o il pregio e che sono tali da determinare la specie cui il bene appartiene.
In particolare poi, le qualità la cui mancanza determina la possibilità di risoluzione del contratto ex art. 1497 c.c. devono essere o essenziali per l’uso cui le cose sono destinate, cioè “inerenti alla natura della merce” e concernere “tutti quegli elementi essenziali e sostanziali che, nell’ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie, piuttosto che in un’altra” (Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 1997 n. 224); oppure promesse dal venditore, ovvero deve trattarsi di qualità atipiche o particolari della cui esistenza il venditore risponde appunto solo se le stese siano state inserite nel vincolo contrattuale.

Un istituto giuridico completamente diverso è invece la vendita di aliud pro alio, che ricade sotto la disciplina generale della risoluzione (artt. 1453 e ss. c.c.), e che quindi legittima l’acquirente ad agire per ottenere o l’adempimento o la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento dei danni.
La vendita di aliud pro alio, per costante giurisprudenza, “si realizza quando la cosa consegnata sia completamente diversa da quella contrattata, appartenendo ad un genere del tutto diverso” (Cass. Civ. sez. II, 3 agosto 2000 n. 10188), oppure quando la cosa “presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale …. facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto” (Cass. Civ., sez. II, 13 gennaio 1997 n. 244).
In questa prospettiva la giurisprudenza considera consegna di aliud pro alio il caso in cui l’utilizzo della cosa consegnata sia condizionato al rilascio di autorizzazioni amministrative (ad esempio un certificato di abitabilità) e queste non possano essere conseguite dall’acquirente.