Con l’espressione “contratti negoziati fuori dai locali commerciali” il legislatore ha inteso riferirsi a tutte quelle situazioni nelle quali il contratto tra professionista e consumatore si perfeziona con modalità diverse da quelle ordinarie e, in particolare, fuori dai locali commerciali del professionista stesso. In tali casi sussiste il concreto rischio che il consumatore venga preso alla sprovvista, colto dal c.d. effetto sorpresa, ed indotto ad un acquisto non meditato, del quale potrebbe anche eventualmente pentirsi. Inoltre, generalmente, in simili situazioni la possibilità per il consumatore di confrontare prezzo e qualità dei prodotti è alquanto limitata.   In considerazione delle suesposte ragioni in legislatore italiano, in attuazione di una direttiva comunitaria, ha apprestato idonea disciplina al fine di garantire e tutelare i diritti del consumatore, con particolare riguardo al profilo della tutela della effettiva volontà negoziale. Attraverso tale disciplina, posta dagli artt. 45 e ss. del Codice di consumo, il legislatore ha voluto proteggere il consumatore contro i rischi connessi alla conclusione di contratti fuori dei locali commerciali garantendogli la facoltà di liberarsi dall’impegno, già assunto o in corso di formazione, in un congruo "spatium deliberandi". Le fattispecie contrattuali sottoposte alla disciplina “protezionistica” sono quelle specificatamente individuate dall’art. 45 del Codice del consumo, norma che annovera i contratti stipulati: a)     durante la visita del professionista al domicilio del consumatore o sul posto di lavoro del consumatore o nei locali ove questi si trova, anche temporaneamente, per motivi di lavoro, studio, cura; b)    durante un’escursione organizzata dal professionista al di fuori dei propri locali commerciali; c)     in un’area pubblica o aperta al pubblico mediante sottoscrizione di una nota d’ordine comunque denominata; d)    per corrispondenza, o comunque, in base ad un catalogo che il consumatore ha avuto modo di consultare senza la presenza del professionista. Tra le varie situazioni tipizzate, merita qualche chiarimento l’ipotesi prevista sub b). Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che il concetto di “escursione organizzata”, che rileva ai fini dell’integrazione della fattispecie e ne comporta l’applicazione della relativa disciplina, ricorre in tutte quelle ipotesi nelle quali il professionista abbia invitato il consumatore a recarsi personalmente in un luogo determinato, situato ad una certa distanza da quello in cui il consumatore abita, distinto dai locali nei quali il professionista eserciti abitualmente le proprie attività e non chiaramente individuato come locale di vendita al pubblico. A tal proposito, basta far riferimento a situazioni che sovente si verificano nella vita quotidiana, si pensi al caso degli incontri a casa di amici in occasione dei quali vengono presentati prodotti da ordinare “preferibilmente” subito, quali lozioni, cosmetici, etc. In definitiva può affermarsi che nella generale categoria dei “contratti conclusi fuori dai locali commerciali” rientrano numerose fattispecie, tra le quali si possono ricordare i contratti conclusi tramite il sistema di vendita porta a porta oppure durante una visita sul luogo di lavoro o una gita, tramite televendita oppure internet. Sono esclusi dall’ambito di operatività della previsione normativa dell’art. 45 del Codice del consumo i contratti di assicurazione, quelli per la costruzione, vendita o locazione di immobili, quelli relativi alla fornitura di prodotti alimentari o bevande consegnati a scadenze frequenti e regolari e, infine, i contratti relativi a strumenti finanziari. Inoltre, sono comunque esclusi i contratti aventi ad oggetto la fornitura di beni o la prestazione di servizi il cui importo non superi i ventisei Euro. Ricorrendo una delle fattispecie contrattuali esemplificate dall’art. 45 del Codice di consumo, incombe in capo al professionista l’obbligo di informare il consumatore in ordine al suo diritto di recesso nonché in merito alle ulteriori obbligazioni previste dall’art. 67 dello stesso. L’informazione deve essere fornita per iscritto e deve contenere l’indicazione di una serie di dati idonei a garantire l’effettiva operatività del suo diritto, dati che sono stati espressamente previsti dal legislatore. Si tratta, ad esempio, dell’indicazione del soggetto nei riguardi del quale va esercitato il diritto al recesso e del suo indirizzo, dell’indicazione dei termini, delle modalità e delle eventuali condizioni per l’esercizio del diritto di recesso. Il consumatore chi si trovi “vittima” di un contratto non voluto o ritenuto, successivamente al suo perfezionamento, non conveniente ha diritto di recedere, senza incorrere in alcuna penalità e senza l’obbligo di specificarne il motivo, entro il termine di giorni dieci lavorativi. Per esercitare il diritto di recesso è onere del consumatore inviare alla sede del professionista una comunicazione scritta mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro i termini previsti dal codice o dal contratto, se diversi. È possibile inviare la dichiarazione di recesso anche a mezzo fax, telegramma o posta elettronica a condizione che la stessa venga confermata, entro le quarantotto ore successive, dall’invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Ai fini della verifica dell’effettivo rispetto dei termini per l’esercizio del diritto di recesso fa fede il timbro postale, in altre parole la lettera raccomandata dovrà essere consegnata all’ufficio per essere spedita entro il termine utile. Ad ulteriore tutela del consumatore si prevede, infine, che qualora espressamente previsto nell’offerta o nell’informazione relativa al diritto di recesso in luogo di apposita comunicazione è sufficiente la restituzione della merce ricevuta. A tal proposito però occorre precisare che, sarebbe opportuno, in tali casi che il consumatore rifiuti di accettare la merce pervenuta al suo indirizzo rimandandola indietro, dando prova attraverso tale comportamento di voler recedere dal contratto. Da quanto esposto emerge chiaramente che il legislatore pur volendo privilegiare, ai fini del valido esercizio del diritto al recesso, lo strumento che è in grado di fornire la maggiore certezza possibile, ci si riferisce ovviamente alla lettera raccomandata con avviso di ricevimento, non ha voluto al tempo stesso prescrivere una formalità precisa ed inderogabile a pena di inefficacia del recesso, ma si è piuttosto principalmente preoccupato di indicare i contenuti minimi, ai fini della certezza e idoneità della comunicazione, in presenza dei quali la disdetta deve essere ritenuta valida ed efficace anche se effettuata attraverso strumenti alternativi o forme ugualmente sicure.