Fino all’ 8 aprile 2008, in materia di diritto condominiale si faceva riferimento alla disciplina delle obbligazioni solidali per risolvere quelle situazioni in cui la morosità di alcuni condomini rischiava di compromettere il pieno soddisfacimento delle pretese dei creditori. Per la verità, il principio di solidarietà era posto alla base sia di alcune richieste dell’amministratore, che delle azioni dei creditori del condominio. Il primo, una volta azionata la procedura monitoria per il recupero del credito nei confronti del condomino moroso, si rivolgeva agli altri partecipanti al condominio per ottenere - in via provvisoria e dietro la rassicurazione della restituzione della somma una volta recuperatala – da ciascuno una parte della quota del condomino inadempiente. Questa procedura, non scritta nè imposta dalla legge, faceva si che i creditori ancora insoddisfatti per l’importo totale del proprio credito non azionassero a loro volta una procedura d’ingiunzione nei confronti del condominio. Alle volte, inoltre, questo modus operandi permetteva al condominio di non vedersi staccate utenze quali energia elettrica o acqua per l’inadempimento di alcuni condomini. Tutto ciò comportava sempre un maggiore esborso di denaro rispetto alla propria quota parte, ma limitava i danni. Infatti, quando era il creditore ad iniziare un procedimento monitorio, le conseguenze per i condomini, presi singolarmente, potevano essere molto più sgradevoli. In questa situazione, invero, stante il principio di solidarietà per le obbligazioni condominiali, ogni condomino poteva essere oggetto di un’azione esecutiva per il recupero dell’intero importo o di tutta quella parte rimasta ancora insoluta. Non importava avere già pagato la propria quota, al massimo rimaneva il diritto di rifarsi sugli inadempienti. E’ immaginabile che i creditori andassero ad aggredire quei condomini che presentavano maggiori garanzie di solvibilità, anche se magari erano stati tra i più diligenti nell’adempiere ai propri obblighi. Come dire, anche i ricchi piangono!!!
Tutto ciò, dicevamo, fino all’ 8 aprile 2008, data del deposito della sentenza 9148 pronunciata dalla Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione. Questa pronuncia, che è stata definita da alcuni “storica”, pone fine ad un contrasto giurisprudenziale sulla natura delle obbligazioni condominiali. Nel dirimere questo contrasto tra due opposti orientamenti giurisprudenziali, le Sezioni Unite hanno scelto di fare propria l’impostazione minoritaria rintracciabile in qualche sparuta sentenza (tra le ultime vedi Cass. 8530 del 1996). L’iter argomentativo della Suprema Corte è suddivisibile in due parti. La prima va ad analizzare i requisiti che deve possedere un’obbligazione perché la stessa possa essere definita solidale. La seconda procede ad una verifica delle caratteristiche delle obbligazioni condominiali alla luce dei requisiti appena citati. Nello specifico, ci dice il Giudice nomofilattico, per aversi obbligazione solidale devono ricorrere tre requisiti: 1) pluralità di debitori 2) stessa causa dell’obbligazione ( eadem causa obbligandi ) 3) unicità della prestazione ( eadem res debita ). Su quest’ultimo punto si concentra l’attenzione del supremo consesso. Infatti, in materia di obbligazioni condominiali per i primi due requisiti nulla quaestio, mentre, per il terzo non è rintracciabile quest’unicità della prestazione. La motivazione del Giudice di legittimità va scovata in due elementi: 1) essendo un’obbligazione di denaro, è indubbio che sia divisibile 2) la natura del condominio non è quella di ente di gestione così come propugnato dalla stessa giurisprudenza, di merito e di legittimità, in diverse occasioni; il condominio non è un soggetto giuridico ex se, l’amministratore del condominio è mandatario dei singoli condomini in ragione della propria quota. Questo porta la Cassazione a dire che, in mancanza di un’esplicita previsione normativa (sulla solidarietà nel condominio, non essendo applicabile l’art. 1115 c.c. riferito alla solidarietà nella comunione in una specifica situazione) ed in mancanza dell’unicità della prestazione, l’obbligazione contratta dall’amministratore obbliga ogni condomino solo in ragione della propria quota e non in solido per tutta la prestazione. Si applicheranno perché consimili le norme relative ai debiti ereditari (ciascun erede risponde pro-quota dei debiti contratti dal de cuius art. 752 c.c. e 1295 c.c.).
La pronuncia ha l’indubbio merito di “liberare” i condomini diligenti dall’assillo di vedersi esecutati in ragione dell’inadempimento di qualche altro, e solo in considerazione della loro maggiore solvibilità. Il carattere dirompente della pronuncia, va rintracciato nella modalità del recupero dei crediti e nella mutata situazione in cui si verrà a trovare il creditore. Non è difficile immaginare la maggiore difficoltà nel recupero del credito (con una frammentazione delle procedure esecutive e conseguente moltiplicazione dei costi) e di conseguenza un probabile peggioramento delle condizioni contrattuali proposte al condominio. Solo per fare un esempio, molti creditori potrebbero pretendere di eseguire i lavori solo dopo avere ricevuto un forte anticipo, o addirittura tutta la somma. Altro elemento che deve fare riflettere è il revirement della Suprema Corte sulla natura giuridica del condominio. Considerare errato assimilare il condominio ad un ente di gestione, fa notare ancora una volta la necessità di una riforma organica del diritto condominiale che risolva anche il problema relativo alla soggettività giuridica della compagine condominiale. 
Avv. Alessandro Gallucci