L’amministratore, al termine di ogni anno, deve rendere il conto della propria gestione. Si tratta di un preciso obbligo previsto dalla legge. Egli non solo deve presentare ai condomini il prospetto delle spese effettuate (il rendiconto vero e proprio), deve altresì sottoporre all’assemblea un piano di ripartizione delle medesime in ragione della rispettiva quota di partecipazione dei singoli condomini. In sostanza, ai sensi dell’art. 1123 c.c., “le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”. Che cosa succede se non esistono le tabelle millesimali? 
Gli amministratori propongono le soluzioni più varie: ripartizione in parti uguali, ripartizione a titolo provvisorio salvo acconto, ripartizione in base all’effettivo valore della proprietà esclusiva. Naturalmente l’incertezza è foriera di ricorsi all’Autorità Giudiziaria. Secondo la Cassazione l’ultima delle soluzioni proposte in precedenza è quella che rende legittima la deliberazione assembleare di approvazione dei conteggi annuali.  Si legge nella sentenza che “ la ripartizione di una spesa condominiale può, infatti, essere deliberata anche in mancanza di appropriata tabella millesimale purchè nel rispetto della proporzione tra la quota di essa posta a carico di ciascun condomino e la quota di proprietà esclusiva a questi appartenente, dato che il criterio per determinare le singole quote preesiste ed è indipendente dalla formazione della tabella derivando dal rapportala il valore della proprietà singolare quello dell'intero edificio. Ne consegue che il condomino, il quale ritenga che la ripartizione della spesa abbia avuto luogo in contrasto con tale criterio, è tenuto ad impugnare la deliberazione indicando in quali esatti termini la violazione di esso abbia avuto luogo e quale pregiudizio concreto ed attuale gliene derivi. Nella specie, la corte di merito ha evidenziato come i ricorrenti non avessero indicato per quali concreti motivi, con riferimento a violazione di specifici parametri tecnici, la ripartizione di spesa approvata dall'assemblea fosse lesiva dei loro diritti, per cui la domanda, presentandosi generica per indeterminatezza della questione già posta in sede di merito, riprodotta negli stessi termini nel ricorso, rappresenta motivo di inammissibilità della doglianza, in quanto in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non è formulata in guisa da consentire al giudice di legittimità la valutazione, sia pure in astratto, della questione ai fini di una pronuncia della controversia in senso difforme da quella cui è pervenuto il giudice del merito (v. Cass. 3 dicembre 1999 n. 13505 e di recente, Cass. 10 febbraio 2009 n. 3245)” (Cass. 16 febbraio 2012 n. 2237). Il principio espresso è importante, poichè: l’onere di provare l’illegittimità del piano di ripartizione spetta a chi impugna la delibera.  (Avv. Gianluca Perrone)