IL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO.
Art.1138 C.C..
La riforma ha introdotto una lieve modifica all’art.1138 C.C. con riferimento al regolamento di condominio.
La norma disciplina il cosiddetto regolamento assembleare ossia quello ad adottarsi con delibera dell’assemblea condominiale che è diverso dal cosiddetto regolamento contrattuale ossia quello redatto ed accettato con il consenso di tutti i condomini oppure redatto dal costruttore del fabbricato ed accettato da tutti i condomini alla sottoscrizione dell’atto di acquisto e trasmesso ai successivi aventi causa.
Rimane confermata la obbligatorietà della redazione del regolamento condominiale negli edifici con un numero di condomini superiore a dieci e l’approvazione dell’assemblea condominiale con la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136 C.C. (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).
Il comma 3 è stato integrato con la previsione della allegazione (… anziché la trascrizione …) del regolamento di condominio al registro dei verbali delle assemblee di cui all’art.1130 n.7 C.C..
Tale registro, ai sensi dell’art.71 delle disp.att. C.C., avrebbe dovuto tenersi “presso l’associazione  professionale dei proprietari dei fabbricati” , forma di pubblicità mai attuata e norma soppressa con D.Lgs. n.369 del 23.11.1944.
La restante parte della norma è rimasta invariata con l’aggiunta, però di un ultimo comma, che prevede che le norme del regolamento di condominio “non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.
Cosa succederà per i divieti imposti nei regolamenti di condominio preesistenti?
Non vi è dubbio che nel nostro ordinamento vige il principio secondo cui la legge non può disporre che per l’avvenire (principio di irretroattività delle leggi sancito dall’art.11 delle disposizioni sulla legge in generale del Codice Civile) per cui, in difetto di specifiche disposizioni transitorie che regolino i rapporti in essere, per il passato dovrebbe rimanere tutto inalterato.
Se il divieto è contenuto in un regolamento assembleare, i condomini potranno rimuoverlo con una delibera a maggioranza; se, invece, il divieto è contenuto in un regolamento contrattuale, cioè quello approvato con consenso unanime di tutti i condomini oppure accettato e sottoscritto unitamente all’atto di acquisto della proprietà e, quindi, trascritto, i condomini potranno rimuoverlo sempre con la unanimità.
La norma fa suo un principio che era stato seguito anche dalla Suprema Corte nella sentenza 15.02.2011 n.3705 che, cassando e decidendo nel merito una sentenza della Corte di Appello di Bari del 14.05.2004) aveva stabilito: “in tema di condominio negli edifici, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva”.
Ma l’introduzione del libero accesso agli animali domestici incontra comunque il limite del rispetto del diritto degli altri condomini ad usare e godere delle parti comuni come già sancito dalla Cassazione con sentenza 3.11.2000 n.14353).
Ciò vuol dire che se il condomino lascia incustodito l’animale negli spazi comuni ne può rispondere anche ai sensi dell’art. 672 C.P. (omessa custodia e mal governo di animali).
La nuova disposizione non impedisce di rivolgersi al Giudice per ottenere un provvedimento inibitorio anche d’urgenza quando l’animale sia fonte di immissioni di rumore o di odori tali da cagionare, per frequenza e intensità, malessere ed insofferenza anche a persone di normale sopportazione (es. il continuo abbaiare di un cane, il suo odore o l’odore dei suoni bisogni fisiologici). Sul punto è intervenuta la Cassazione Penale con sentenza n.36241 del 2004.
   
 
L’art.70 disp. att. C.C..
Per le infrazioni al regolamento di condominio la norma ha aggiornato l’importo previsto a titolo di sanzione nella misura di € 0,05 (le vecchie 100 lire), ad una somma che può arrivare fino ad € 200,00 ed ha altresì aggiunto l’ipotesi della recidiva che può comportare addirittura una sanzione pecuniaria fino ad € 800,00.
Non è specificato se la recidiva sia riferita alla ripetuta violazione della medesima disposizione del regolamento di condominio ovvero alla ripetizione di un comportamento illegittimo che possa riferirsi a diverse disposizioni.
Nel regolamento di condominio può essere stabilito il pagamento di una sanzione nelle misure indicate dalla norma e ciò vale per i nuovi regolamenti condominiali che vengano adottati contrattualmente o con delibera assembleare.
Vale la regola solita per l’introduzione della sanzione pecuniaria per le infrazioni nei regolamenti già esistenti.
 
L’art.2569, comma 1, n.1 C.C..
La disposizione in esame in cui è prevista la possibilità di trascrivere presso la conservatoria dei registri immobiliari l’atto che riguardi diritti o vincoli di natura immobiliare, prevede che debbano essere indicati, quando tra i soggetti interessati vi è il condominio, la denominazione, l’ubicazione ed il codice fiscale.
 
 
LE TABELLE MILLESIMALI.
   
   
L’art.68 disp. att. C.C..
La norma attribuisce a ciascuna unità immobiliare un valore millesimale, sulla base di criteri specifici che non attengono al diritto di proprietà in quanto tale bensì alla quantificazione della obbligazione che grava sul condomino in funzione del suo bene esclusivo sito in un edificio condominiale.
Il nuovo art.68 disp.att. C.C., diversamente dalla precedente formulazione, richiama espressamente l’art.1118 C.C. che detta il principio secondo cui il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni è proporzionale al valore della unità immobiliare che gli appartiene.
Sono irrilevanti il valore locativo dell’immobile, gli eventuali miglioramenti e lo stato di manutenzione.
La modifica ha accorpato i primi due comma del precedente testo della norma rendendo più fluido e comprensibile il contenuto.
 
L’art.69 disp. att. C.C..
Le novità dell’art.69 disp. att. C.C. attengono al recepimento di concetti espressi dalla recente giurisprudenza innovativa ed introducono anche novità assolute con riferimento alla legittimazione passiva nel giudizio eventuale diretto a rettificare o modificare le tabelle millesimali.
Il principio è quello che prevede la possibilità di rettificare o modificare in qualsiasi momento la tabella millesimale con il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.
Tale è stato l’orientamento della Suprema Corte con due decisioni a Sezioni Unite del 09 agosto 2010 n.18477 e 18478 che ha posto fine ad alcuni dubbi interpretativi ed è stato accolto dal legislatore.
Le due pronunce hanno posto fine a quell’orientamento che riteneva che, per procedere alla rettifica o alla modifica delle tabelle millesimali, potesse essere sufficiente una delibera assembleare con la maggioranza di cui all’art.1136 co. 2 atteso che con la medesima maggioranza (metà degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio) poteva essere approvato e/o modificato il regolamento di condominio (art.1138 co.3). Sembrava un paradosso ritenere sufficiente una delibera a maggioranza per approvare o modificare un regolamento di condominio (contrattuale) e, di contro, un consenso unanime per rettificare o modificare la tabella millesimale che costituisce un semplice allegato del regolamento medesimo.
La Corte di Cassazione ha risolto il dubbio interpretativo differenziando le norme del regolamento condominiale che attengono alle modalità d’uso ed al funzionamento dei servizi condominiali e all’organizzazione ed alla gestione delle parti comuni e che, quindi, possono essere anche oggetto di approvazione a maggioranza, rispetto alle norme che invece pongono limitazioni ai diritti dei condomini nell’interesse comune, sia relativamente alle parti comuni e sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle parti proprietà esclusiva che necessitano dell’unanimità dei consensi.
In passato si era anche ritenuto che l’approvazione o la revisione delle tabelle millesimali non rientrasse nelle competenze dell’assemblea condominiale ma che costituisse un negozio di accertamento che, come tale, richiedeva il consenso unanime dei condomini in mancanza del quale alla formazione delle tabelle millesimali provvedeva il Giudice su istanza degli interessati, in contraddittorio con tutti i condomini.
Quando, invece, i valori millesimali siano conseguenza di un errore ovvero, quando a seguito di modifiche apportate alle singole unità immobiliari, vuoi per eseguire sopraelevazioni e vuoi per incrementi o diminuzioni delle singole unità immobiliari, venga ad alterarsi per più di un quinto il valore proporzionale delle unità immobiliari, anche se limitatamente a quella di un solo condomino, le rettifiche o le modifiche possono essere deliberate dall’assemblea con la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio ai sensi dell’art.1136 co.2 C.C..
I costi necessari per la formazione della nuova tabella millesimale vengono posti a carico esclusivo di coloro che hanno dato causa alla variazione.
L’errore che può dar vita alla rettifica deve essere rilevante ed obbiettivamente verificabile, consistente in una obbiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale attribuito a queste ultime dalle tabelle.
La modifica delle tabelle è altresì possibile quando venga alterato “per più di un quinto” il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino. La nuova norma, invece, prevedeva la possibilità delle rettifiche o delle modifiche della tabella millesimale solo nel caso in cui gli eventi modificativi fossero stati in grado di notevolmente alterare il rapporto originari tra i valori dei singoli piani senza una quantificazione.
Gli interventi sulle unità immobiliari che possono dar vita a rettifiche o modifiche dei valori millesimali devono influire concretamente sull’essenza e sull’aspetto dell’edificio.
Non tutte le opere possono avere rilevanza in tal senso.
Tale è ad esempio il mutamento radicale della destinazione di un bene in relazione agli impianti comuni, una cantinola o un vano tecnico che vengano trasformati in vani abitativi con ogni conseguente allaccio ai servizi comuni. Tale non è la mera trasformazione di un sottotetto in vano senza alcun collegamento con gli impianti comuni.
Un’altra novità della disposizione in esame concerne la possibilità, nei casi in cui si proceda giudizialmente ai fini della revisione dei valori millesimali, di convenire unicamente l’amministratore del condominio. Una forte portata innovativa della norma che supera il precedente orientamento che imponeva la proposizione della domanda e dell’azione nei confronti di tutti i condomini.
L’amministratore è tenuto a dare notizia all’assemblea “senza indugio”  pena la revoca ed il risarcimento del danno.
La modifica che viene disposta con sentenza trova applicazione dal passaggio in giudicato con l’iniqua conseguenza che il condomino che il condomino che beneficia degli interventi modificativi dovrebbe essere tenuto al pagamento nella nuova misura solo al termine dei vari gradi di giudizio.
Ma la Cassazione con sentenza n.16643 del 2007 h stabilito che l’effetto della sentenza di revisione della tabella millesimale retroagisce comunque al momento in cui è stata proposta la domanda.
L’assemblea, quindi, potrebbe, una volta iniziata la causa, deliberare di continuare ad applicare le vecchie tabelle in via provvisoria riservando di richiedere i conguagli sulla base della nuova tabella disposta dal Giudice.
Stessa soluzione dovrebbe applicarsi nei casi in cui l’assemblea deliberi di modificare, sussistendo i presupposti richiamati dalla norma, la tabella millesimale. Ciò in virtù di quanto ha stabilito la Suprema Corte (sentenza n.5690/2010) che ha ammesso in questi casi la possibilità di esperire l’azione di arricchimento senza causa (art.2041 C.C.) nei confronti del condomino che, approfittando della permanenza della tabella millesimale errata, ha tratto vantaggio senza giustificazione in danno degli altri condomini.
 
LE INNOVAZIONI.
L’art.1220 C.C..
Possono essere considerate innovazioni le opere che eccedano i limiti della conservazione, dell’ordinaria manutenzione ed amministrazione e del godimento della cosa comune e determinino una modificazione, totale o parziale, nella forma o nella sostanza, delle cose comuni per migliorarne o peggiorarne il godimento alterandone la destinazione originaria. Costituiscono innovazione gli interventi che siano in grado, attraverso trasformazioni, alterazioni, cambiamenti dell’originaria funzione e destinazione di rendere “nuova” la cosa.
Non costituisce innovazione, ad esempio, l’apposizione di una recinzione al posto di paletti con catene per delimitare lo spazio del verde condominiale per disciplinare il traffico pedonale e veicolare ed impedire l’accesso ad estranei mentre costituisce innovazione l’apposizione di un pozzo cisterna in uno spazio comune per l’irrigazione del verde condominiale.
La prima novità della norma risiede nel nuovo quorum deliberativo dell’assemblea per adottare le innovazioni che è in generale quello previsto dal quinto comma dell’art.1136, così come anch’esso modificato dalla legge 11.12.2012 n.220, ossia la maggioranza degli intervenuti in assemblea (e non dei partecipanti al condominio) che sia rappresentativa di almeno due terzi del valore dell’edificio.
Il secondo comma del nuovo art.1120 introduce, però, una serie di interventi che il legislatore fa rientrare tra le “innovazioni c.d. di interesse sociale” prevedendo, però, un quorum deliberativo diverso.
Trattasi di interventi, già considerati in leggi speciali, che oggi vengono sottoposti ad una uniforme disciplina in quanto devono essere deliberati con la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136, ossia con la maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio (e non i due terzi).
Le innovazioni sono comunque vietate se possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o alterare il decoro architettonico o rendere talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.
 Si elencano le singole fattispecie:
-      le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti
ad esempio la nuova destinazione a vani di uso per una migliore utilizzazione (l’ex vano autoclave che diventa saletta per riunioni o ufficio dell’amministratore, l’impianto antincendio al piano interrato adibito ad autorimessa);
 
-      le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche
Il concetto di barriera architettonica è dato dall’art.27, comma 1, della Legge 30 marzo 1971 n.118 che ha convertito il decreto-legge contenente le nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili.
Costituisce barriera architettonica qualsiasi elemento costruttivo che impedisce o limita gli spostamenti o la fruizione di servizi a persone disabili, con limitata capacità motoria o sensoriale (una scala, un gradino troppo alto, una rampa troppo ripida, etc.). Con la legge 09 gennaio 1989 n13 si è stabilito che gli edifici condominiali sia nuovi che già esistenti avrebbero dovuto adeguarsi alle esigenze dei portatori di handicap, prescindendo dalla circostanza che fossero proprietari e, quindi privilegiando la finalità di consentire la “visitabilità”.
Con la riforma del condominio è stata innalzata la soglia del quorum deliberativo necessario per deliberare le modifiche richiedendo la maggioranza del secondo comma dell’art.1120 C.C. (maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore del fabbricato), in luogo di quella di cui al secondo ed al terzo comma dell’art.1136 e quindi, in seconda convocazione, con il voto favorevole di un terzo dei partecipanti al condominio portatori di almeno un terzo dei millesimi.
La richiesta di convocazione dell’assemblea per deliberare gli interventi finalizzati ad eliminare le barriere architettoniche negli spazi comuni può essere fatta sia dal portatore di handicap sia da chi esercita la tutela o la potestà o dall’amministratore di sostegno.
L’interessato può essere, come detto, sia condomino che conduttore di unità immobiliari site nel condominio.
La richiesta di convocazione va fatta in modo formale e, quindi, con raccomandata a.r. con obbligo dell’amministratore di convocare l’assemblea non oltre trenta giorni dalla ricezione della richiesta medesima inviata anche da un solo condomino.
Il termine per l’amministratore è stato abbreviato da tre mesi (previsto nella legge n.13/1989) a trenta giorni;
 
-      le opere per il contenimento del consumo energetico degli edifici
Il risparmio energetico è diventata un’esigenza primaria nel diritto comunitario ed ha visto gli stati membri pian piano adeguarsi al fine di addivenire al miglioramento dell’efficienza energetica degli immobili residenziali anche per la salvaguardia dell’ambiente.
L’argomento era stato oggetto di disciplina all’art.26 della legge 9 gennaio 1991 n.10 contenente le norme per l’attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, prevedendo in maniera molto generica che le delibere assembleari potevano essere assunte con la maggioranza senza specificare se con riferimento ai presenti in assemblea o al valore del fabbricato.
Con l’art.7 del D. Lgs.n.311/2006 è stato ribadito che la maggioranza necessaria per delibeare le opere relative al contenimento del consumo energetico dei fabbricati è “la maggioranza semplice delle quote millesimali” lasciando dubbi su quale potesse essere questa “maggioranza semplice”, seppur l’intento fosse quello di semplificare l’iter deliberativo per addivenire alla finalità principale della norma (risparmio energetico e tutela ambientale).
Ancora oggi regna la confusione in materia perché, mentre l’art.1120 C.C. prevede che le innovazioni che hanno ad oggetto le opere e gli interventi per il contenimento del consumo energetico dei fabbricati debbano essere approvate con la maggioranza dell’art. 1136 comma secondo (maggioranza degli intervenuti in assemblea e almeno la metà dei millesimi),  l’art.28 della riforma del condominio, in modifica del comma 2 dell’art.26 della Legge n.10/1991, dispone che le decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza degli intervenuti  con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio.
Alla giurisprudenza il compito di colmare tale lacuna anche se il minor quorum previsto dalla legge speciale sembra essere giustificato dal fatto che gli interventi ivi previsti volti al contenimento del consumo energetico presuppongono la loro individuazione attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica redatti da tecnico abilitato;
 
-      le opere per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio
La legge 24 marzo 1989 n.122, c.d. Legge Tognoli prevede la possibilità per i condomini di realizzare parcheggi anche negli immobili già costruiti, posizionandoli nel sottosuolo o nei locali al piano terra nonché nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato purchè non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovratante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici.
Se l’opera viene realizzata in spazi condominiali, occorre la delibera con le maggioranze di cui all’art.1120, comma secondo, purchè non si arrechi pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, ovvero non si alteri il decoro architettonico dell’edificio oppure non si rendano talune parti comuni inservibili all’uso e al godimento anche di un solo condomino;
 
-       le opere per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune
anche il nostro paese è intervenuto, in ossequio agli obiettivi statuiti dal protocollo di Kioto, per promuovere le fonti di energia rinnovabile.
In particolare con il decreto legislativo n.28/2011 ha ridefinito il quadro istituzionale, finanziario e giuridico necessario per raggiungere entro l’anno 2020 una determinata percentuale (17%) di energia prodotta da fonti rinnovabili.
La norma si riferisce alle innovazioni, in primo luogo, per impianti realizzati da parte del condominio per rifornire di energia quelli comuni serventi l’intero edificio ed, in secondo luogo, al singolo condomino che voglia realizzare a proprie spese e senza ledere il pari diritto degli altri, un impianto fotovoltaico individuale sul lastrico o sul tetto, purchè non alteri la cosa comune e non impedisca agli altri comproprietari di farne parimenti uso e salvo i limiti di cui all’ultimo comma dell’art.1120 C.C..
-      le opere per l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto
La legge 20 marzo 2001 n.66 aveva regolamentato l’utilizzo degli impianti di diffusione per la cui installazione era sufficiente la delibera assembleare presa con il voto di un terzo dei partecipanti al condominio ed almeno un terzo del valore dell’edificio.
Il quorum è stato aumentato con il nuovo art.1120 secondo comma C.C..
Il nuovo legislatore, però, ha precisato che se le modifiche da apportare alle parti comuni per l’installazione degli impianti in questione non siano tali da alterarne la destinazione ovvero di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto, non occorre la maggioranza prevista dalla norma essendo invece sufficiente la maggioranza di cui al comma 3 dell’art.1136 C.C..
La novità della legge speciale sta nel fatto che la spesa per l’installazione di tale impianto nuovo va comunque a gravare su tutti i condomini, anche su coloro che hanno espresso voto contrario oppure che, in quanto possessori di impianto autonomo, non intendono usufruire di quello centralizzato.
Sono sempre fatti salvi i limiti di cui all’ultimo comma dell’art.1120 C.C..
La riforma si estende a qualunque altro genere di flusso informativo.
Come già detto, anche un solo condomino può richiedere all’amministratore la convocazione dell’assemblea per deliberare in merito agli interventi di cui all’art.1120 comma secondo C.C. e l’amministratore entro trenta giorni dalla richiesta deve convocare l’assemblea.
Si conferma la deroga al disposto dell’art.66 disp.att. C.C. che, invece, prevedeva che l’obbligo dell’amministratore a convocare l’assemblea fosse subordinato alla richiesta di almeno due condomini rappresentanti un sesto del valore dell’edificio.
La richiesta deve contenere comunque esattamente gli interventi che si propone di far eseguire e le concrete modalità per darvi esecuzione. In difetto l’amministratore può chiedere integrazioni.
L’amministratore poi è tenuto a darne comunicazione all’assemblea senza indugio.
In mancanza l’amministratore incorre in una delle irregolarità che possono comportarne la revoca.
Va detto che, nel caso della eliminazione delle barriere architettoniche, se l’amministratore non convoca l’assemblea o se l’assemblea rifiuta di eseguire le opere, l’interessato può eseguire le opere a propria cura e spese, salvo azioni nei confronti dell’amministratore o impugnazione della delibera, fermo restando i limiti di cui all’art. 1120 ultimo comma.
 
Art.1121 C.C.
Le innovazioni gravose o voluttuarie rimangono disciplinate dall’art.1121 che non è stato oggetto di riforma.
Qualora l’innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa. Se l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa. Nel caso previsto dal primo comma i condomini e i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera.
 
L’art.1122 C.C.. Opere su parti di proprietà o uso individuale.
Rispetto alla previgente formulazione, la norma ha un nuovo titolo “opere su parti di proprietà o uso individuale”  rispetto a “opere sulle parti dell’edificio di proprietà comune”.
La ratio della vecchia formulazione della norma era diretta ad evitare che il condomino, attraverso l’esecuzione di opere nella unità sua immobiliare, arrecasse danno alle parti comuni.
Le opere che si intendeva perseguire erano quelle realizzate non sulle parti comuni ma su quelle della proprietà esclusiva che andassero a danneggiare le parti comuni.
La nuova formulazione della norma oggi è più chiara e tende a vietare le opere su parti di proprietà o uso individuale che arrechino danno alle parti comuni.
Il diritto di proprietà su una unità immobiliare sita in un edificio soggetto a regime di condominio deve essere esercitato non soltanto in funzione dell’interesse individuale ma anche in consonanza con le esigenze della convivenza. Il singolo proprietario non può fare un uso indiscriminato del suo bene in danno degli altri.
Il limite che viene posto è quello di nonn compiere opere che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza ed al decoro architettonico dell’edificio (divieto di sopraelevazione, divieto di aprire luci e vedute sui muri perimetrali del fabbricato, divieto di aprire varchi su muri portanti).
Limiti possono essere previsti espressamente anche in un regolamento di condominio di natura contrattuale che può subordinare alla autorizzazione dell’assemblea determinate opere.
La novità assoluta sta nel secondo comma dell’art.1122 laddove è previsto che il condomino deve dare preventiva notizia all’amministratore dell’inizio di qualsivoglia intervento nel proprio appartamento affinchè ne riferisca all’assemblea.
E’ sintomatica l’espressione utilizzata “in ogni caso”.
Può l’organo assembleare essere in grado o avere il potere di decidere se le opere a realizzarsi dal condomino nella sua proprietà siano lesive rispetto alle parti comuni dell’edificio?
La norma è destinata ad aumentare il contenzioso giudiziario.
La delibera di rifiuto o autorizzazione può essere oggetto di impugnazione del condomino interessato e di qualsiasi altro condomino.
 
 
L’art.1222 bis C.C.– Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili.
La disposizione in esame offre la possibilità al singolo condomino di installare impianti per la ricezione televisiva (parabole) e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informatico, anche via satellite o via cavo avvalendosi delle parti comuni dell’edificio condominiale.
L’intervento non richiede la preventiva autorizzazione dell’assemblea ma deve essere eseguito in modo tale da arrecare il minor pregiudizio possibile alle parti comuni ed alle proprietà esclusive, fremo restando il dovere di rispettare il decoro architettonico dell’edificio.
La norma nasce nell’ottica di favorire la tutela del diritto alla libertà di informazione e del cosiddetto “diritto all’antenna” riconosciuto anche nella normativa comunitaria ed espressione dell’art.21 Cost. per  favorire un accesso maggiore dei consumatori e delle imprese alle tecnologie moderne.
La presenza in condominio di un impianto centralizzato non impedisce al singolo condomino di installarne uno proprio.
Il diritto di collocare nell’altrui proprietà antenne televisive, già riconosciuto dalla legge 6 maggio 1940 n.554 e dal D.P.R. 29 marzo 1973 n.156, è attualmente previsto dal D. Lgs. 1 agosto 2003 n.253, anche se l’utente non può utilizzare spazi a suo piacimento (v. Cassazione n.9427/2009).
Né il regolamento di condominio o l’assemblea possono vietare l’installazione di singole antenne ricetrasmittenti altrimenti verrebbe menomato il diritto di ciascun condomino all’uso delle parti comuni, salva l’osservanza dei limiti di tollerabilità dei livelli di potenza per l’inquinamento elettromagnetico.
L’unico limite per il condomino è che l’antenna o l’impianto individuale venga realizzato in modo da recare il minor pregiudizio alle parti comuni e alle unità immobiliari di proprietà individuale, preservando in ogni caso il decoro architettonico dell'edificio, salvo quanto previsto in materia di reti pubbliche.
Il comma 2 dell’art.1222 bis C.C. prevede anche la possibilità di installare impianti di energia da fonti rinnovabili ad uso esclusivo sui lastrici ed in genere su ogni altra superficie comune.
Gli interventi di cui innanzi possono essere eseguiti dal singolo condomino senza la necessità di una preventiva autorizzazione dell’assemblea.
L’assemblea, però, è chiamata ad intervenire quando l’impianto voluto dal singolo condomino renda necessario apportare modificazioni alle parti comuni condominiali.
Per modificazione si intende, ai sensi dell’art.1102 C.C., ogni atto finalizzato ad una maggiore e più intensa utilizzazione della cosa comune, senza comportarne una sostanziale alterazione e senza precludere agli altri partecipanti la possibilità di utilizzare la cosa al pari di chi ha effettuato la modificazione stessa.
Qualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi.
L'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al quinto comma dell’art. 1136 (maggioranza degli intervenuti e valore di almeno due terzi dell’edificio), adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio e, ai fini dell'installazione degli impianti di cui al secondo comma, provvede, a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto. L'assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali.
L’ultimo comma dell’art.1222 bis impone al singolo condomino l’obbligo di consentire l’accesso alla propria unità immobiliare se ciò si rende necessario per la programmazione e per l’esecuzione delle opere di cui alla norma in esame.
Nel diritto all’informazione e alla c.d. antenna trova giustificazione anche l’onere che viene posto a carico del condomino di sopportare l’accesso alla sua proprietà per consentire ad altri di esercitare il proprio diritto costituzionalmente garantito.
L’art.1222 bis si applica ai nuovi impianti da installare dopo la data di entrata in vigore della legge di riforma del condominio (18.06.2013).
 
L’art. 155 bis disp.att. C.C.prevede, invece, che per adeguare gli impianti già esistenti alle nuove disposizioni di cui all’art.1122 bis C.C., possono essere adottate delibere assembleari con le maggioranze più risicate di cui all’art.1136 comma 2 e 3 C.C., ossia con la maggioranza degli intervenuti e con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio.
E’ evidente la volontà del legislatore di premiare ancora una volta il diritto costituzionalmente riconosciuto all’informazione (art.21 Cost.), tutelando il diritto anche del singolo condomino di continuare ad avere un proprio impianto autonomo di tal genere.
 
Art.1122 – Impianti di videosorveglianza sulle parti comuni.
La norma sancisce che il quorum necessario per poter legittimamente adottare una deliberare assembleare che decida l’installazione di un impianto di videosorveglianza sulle parti comuni è quello di cui al comma secondo dell’art.1136 C.C., ossia la maggioranza degli intervenuti portatori di almeno la metà del valore dell’edificio.
La tutela della sicurezza attraverso la video sorveglianza impone la necessità di trovare il giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza e quelle della privacy.
Il Garante della Privacy ha emesso in data 8 aprile 2010 un provvedimento per individuare e regolamentare il giusto equilibrio tra sicurezza e privacy individuando tre principi generali: liceità, necessità e proporzionalità tra i mezzi usati e gli obiettivi da perseguire.
Al fine di evitare interferenze illecite nella vita privata, l’angolo visuale delle riprese deve essere limitato agli spazi di competenza di natura condominiale o privata, a seconda che l’impianto sia a servizio del condominio o del singolo condomino.
Il Garante della Privacy è intervenuto spesso nella materia condominiale dettando i tempi di conservazione delle immagini memorizzate, obbligando il condominio a designare custodi, responsabili o incaricati del trattamento dei dati personali, stabilendo che il condominio deve apporre nelle zone di videosorveglianza apposita segnaletica.
Prima della riforma la installazione di un impianto di videosorveglianza, esulando dalle attribuzioni tipiche dell’assemblea condominiale di cui all’art.1135 C.C., era sottratta ai deliberati assembleari (Cass. 20 aprile 1993 n.4631); qualche Giudice di merito la ammetteva ma subordinandola alla unanimità dei consensi (Tribunale di Varese 16 giugno 2011 n.1273.
Successivamente, contemperando i principi costituzionalmente garantiti ed inviolabili, quale il diritto di proprietà, di libertà personale e di domicilio, con quello della integrità personale, si è trovata una giustificazione alla installazione degli impianti di videosorveglianza.
Il Tribunale di Milano, con sentenza 16 maggio 2012 n.5624, ha affermato che nulla osta a che l’assemblea o anche il singolo condomino decida di installare telecamere a presidio delle proprietà comuni o di quelle esclusive, essendo sufficienti delibere con le maggioranze di cui ai comma 2 e 3 dell’art.1136 C.C..
Un’evoluzione che è stata tracciata dai ripetuti interventi del Garante della Privacy che aveva sempre sottolineato il vuoto legislativo in materia condominiale.
Anche le video registrazioni dell’assemblea erano subordinate al consenso informato di tutti i presenti.
 
Art.1124 – Manutenzione e sostituzione delle scale e degli ascensori.
La novella in esame recepisce quanto già da tempo affermato dalla giurisprudenza (Cass.n.3264/2005) ed estende anche agli impianti di ascensore la disciplina dettata dalla vecchia norma per il riparto delle spese inerenti la manutenzione e la ricostruzione delle scale, disponendo che devono essere sostenute dai condomini per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari per l’altra metà esclusivamente in ragione dell’altezza di ciascun piano.
Se un impianto ascensore è stato installato successivamente alla costruzione dell’edificio condominiale, la proprietà spetta solo ai proprietari degli appartamenti serviti dall’ascensore e che hanno sopportato tutte le spese di installazione.
Il criterio di ripartizione si applica sia per la manutenzione che per la sostituzione dell’impianto ascensore.
(Avv. Alessandro Moscatelli del Foro di Trani)