Secondo quanto affrontato dal Tribunale di Brescia con la sentenza n. 97 del 18 gennaio 2022, vi è stata emissione di decreto ingiuntivo, con cui ha ingiunto ad una società X il pagamento in favore della società Y della somma di ben oltre € 80.000,00, oltre agli interessi di mora dalle singole scadenze al saldo, a fronte di fatture emesse a titolo di rimborso delle spese anticipate, per determinati mesi, per la manutenzione e gestione degli spazi comuni del Centro Commerciale, del quale fanno parte unità immobiliari di proprietà esclusiva della società ingiunta.
A fondamento del ricorso, Y ha esposto che il predetto centro commerciale dell’ingiunta è di altra società; in precedenza la gestione dei servizi del centro era seguita da un consorzio che poi si è trovato in fase di dissesto e quindi ha cessato l’attività.
Da tale data è stato affidato a Y la gestione (diretta e/o tramite sottoscrizione di nuovi contratti) di tutti i servizi necessari al mantenimento della funzionalità del centro commerciale; D.E.A. ha pagato quindi i fornitori a fronte della presentazione di fatture.
Le richieste di pagamento a X per la quota millesimale di pertinenza non sono mai state soddisfatte.
L’ingiunta X ha promosso opposizione chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo, deducendo che controparte non ha titolo per far valere nei propri confronti crediti per rimborso di spese di manutenzione e gestione di beni comuni, in quanto X è estranea ad ogni incarico che sia stato eventualmente conferito; non è stata consultata né ha approvato i contratti e le spese che controparte assume di avere sostenuto; non vi è prova che gli stessi abbiano ad oggetto le parti comuni del centro commerciale e neppure che le prestazioni siano reali e i costi effettivamente sostenuti.
Peraltro la stessa non è comproprietaria del centro commerciale bensì proprietaria esclusiva di una sola unità immobiliare destinata ad ipermercato.
Fu lei stessa per oltre 6 mesi ad anticipare gli interi costi della gestione dei servizi per la galleria commerciale, fino a quando chiuse al pubblico il suo ipermercato e cessò contestualmente di farsi carico dei contratti per utenze e servizi del centro, dandone comunicazione a tutti gli operatori.
Nella sostanza nega di essere debitrice di alcunché. La società Y si costituisce nel giudizio di opposizione contestando tutte le varie asserzioni dell’opponente.
L’autorità giudiziaria ha dato ragione alla società X, ritenendo fondata la sua opposizione.
Le osservazioni inziali del Tribunale sono che l’opponente ha contestato di essere del tutto estranea agli incarichi che altri abbiano eventualmente conferito a Y (a propria volta non proprietaria né affittuaria di alcuna delle unità e degli spazi vendita del centro commerciale) per la gestione di servizi comuni e di non essere stata neppure consultata per l’approvazione degli impegni di spesa, ma ha anche esplicitamente osservato che è onere del creditore provare che i servizi sono stati in effetti prestati, che gli stessi riguardano gli spazi comuni (o non invece, in tutto o in parte, la galleria commerciale di proprietà esclusiva di altri), e se controparte abbia poi pagato le fatture dei suoi asseriti fornitori.
Poiché si tratta di fatti (pagamenti eseguiti da Y in favore di terzi) rispetto ai quali X è estranea e ignara (non avvenuti sotto la sua diretta percezione e da essa non direttamente verificabili) e che contro di lei vengono dedotti a fondamento del pagamento preteso, l’allegazione del convenuto sostanziale in ordine alla mancanza di prova del fatto costitutivo esaurisce l’onere di contestazione ex art. 115 c.p.c. e non fa cadere l’onere attoreo di dimostrare il fatto costitutivo.
D’altro canto Y non ha documentato né provato i pagamenti in questione.
Ciò comporta che, in assenza di prova dei pagamenti, la domanda di ripetizione fatta valere in via monitoria è per ciò stesso infondata.
Anche se si dovessero considerati provati i pagamenti, il risultato non cambierebbe.
Y sostiene che dalla cessazione dell’attività del consorzio, ha assunto essa stessa la gestione dei servizi comuni del Centro.
La fattispecie giuridica viene inquadrata quale mandato, a cui risulta provato che X non abbia partecipato in alcun modo.
Quanto alla qualificazione, è sufficiente considerare che Y deduce attività di gestione compiuta attraverso la stipulazione di contratti di fornitura di servizi in nome proprio e in favore del centro commerciale e il pagamento delle relative fatture, e che lo schema contrattuale corrisponde esattamente alla definizione prevista dall’art. 1703 c.c.
La provenienza del mandato, confusa nell’allegazione ma che il Tribunale ritiene certamente non riferibile a X, era stata assunta in una certa riunione degli operatori commerciali del Centro, affittuari degli spazi vendita di proprietà esclusiva di altro soggetto.
Y non precisa chi fosse presente né si produce verbale o altro documento attestante lo svolgimento della riunione e quanto deliberato, ma certamente a tale riunione X non fu convocata e non partecipò.
In conclusione il Giudice rileva che anche se gli atti del mandatario siano compiuti nell’interesse del mandante per la conservazione di un immobile in comproprietà con altri, coobbligati a concorrere alle spese inerenti la cosa comune, sarà il mandante, tenuto indenne il mandatario per la totalità dei costi che questi abbia dovuto sostenere, a far valere eventualmente le proprie ragioni di credito nei confronti dei comproprietari in proporzione alla quota di ciascuno.
Non il mandatario nei cui confronti non ha alcun legame il comproprietario che non si è assunto alcuna obbligazione nei suoi confronti.
Nel caso di specie non si può parlare di spese urgenti ex art. 1134 c.c.
Così come non ha attinenza al caso in esame l’invocazione dell’adempimento del terzo ex art. 1180 c.c. perché Y non ha adempiuto spontaneamente ad obbligazione di X, ma ha concluso in proprio nome contratti di fornitura il cui peso economico assume debba a carico di X, terza rispetto alla assunta pattuizione.
Anche l’azione di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. proposta in via subordinata è stata rigettata, perché, oltre a riproporsi la mancata prova del depauperamento e l’incertezza sulla utilità delle spese per le parti comuni (prospettandosi dall’opponente la mera funzionalità delle stesse, in tutto o in parte, all’esercizio della galleria commerciale di proprietà esclusiva), difetta manifestamente il requisito di sussidiarietà, avendo il mandatario azione verso il mandante (e questo eventualmente le azioni derivanti dalla disciplina della comunione).